Eureka/Eureka/II.

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II.

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Edgar Allan Poe - Eureka (1848)
Traduzione dall'inglese di Maria Pastore Mucchi (1902)
II.
Eureka - I. Eureka - III.

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II.


Ed ora, prima di procedere al nostro soggetto particolare, mi sia permesso di domandare l’attenzione del lettore sopra alcuni estratti di una lettera abbastanza notevole, che pare sia stata trovata chiusa in una bottiglia galleggiante sul Mare Tenebrarum — un oceano ben descritto dal geografo Nubiano Tolomeo Hephestion, ma poco frequentato, ai giorni nostri, se non da Trascendentali e da alcuni altri palombari d’idee strane. La data di questa lettera, lo confesso, mi sorprende ancor più particolarmente che il suo contenuto; perchè pare che sia stata scritta nell’anno duemila ottocento quarantotto. In quanto ai brani che sto trascrivendovi, essi parleranno, io imagino, abbastanza da sè medesimi1

«Sapete, mio caro amico», dice lo scrittore indirizzandosi, senza dubbio, ad un suo contemporaneo, «sapete che è poco più di ottocento o novecento anni fa, che i metafisici acconsentirono per la prima volta a liberare la gente dalla singolare fantasia che non esistono che due vie praticabili per giungere alla Verità! Credetelo se lo potete! Sembra, tuttavia, che molto tempo fa, nella notte dei tempi, vivesse un filosofo Turco chiamato Aries e soprannominato Tottle.» (Qui probabilmente lo scrittore della lettera intendeva dire Aristotele; i migliori nomi si sono disgraziatamente corrotti in due o tremila anni.)

«La fama di questo grande uomo dipendeva principalmente dalla sua dimostrazione che lo starnuto è una naturale disposizione per mezzo della quale i profondissimi pensatori possono espellere le idee superflue attraverso al naso, però egli ottenne non minore celebrità come il fondatore o almeno come il principale propagatore di ciò che fu detto la filosofia deduttiva o a priori. Egli prese per punto di partenza quegli assiomi, o verità evidenti per sè stesse: e il fatto ora ben noto che nessuna verità è evidente per sè stessa, realmente non nuoce punto alle sue speculazioni: era sufficiente per il suo scopo che le verità in questione fossero del tutto evidenti. Dagli assiomi egli procedeva, logicamente, ai risultati. I suoi più illustri [p. 14 modifica]
discepoli furono un certo Tuclide, un geometra» (egli vuol dire Euclide) «ed un certo Kant, un Tedesco, l’autore di quella specie di Trascendentalismo che porta ancora adesso il suo peculiare nome col semplice scambio di un Cnota per una K.

«Ora, Aristotele fiori sopra tutti fino alla venuta di un certo Hogg nota , soprannominato «il Pastore di Ettrick», che predico un sistema completamente differente, che egli chiamava a posteriori o induttivo. Il suo sistema si riferiva interamente alla sensazione. Egli procedeva, osservando, analizzando e classificando i fatti — instantia Naturæ, come venivano qualche volta affettatamente chiamati — ed ordinandoli secondo le leggi generali. In una parola, mentre il sistema di Aries riposava sul noumeno, quello di Hogg dipendeva dal fenomeno; e così grande fu l’ammirazione eccitata da quest’ultimo sistema, che, al suo primo apparire, Aries cadde in un generale discredito. Finalmente, tuttavia, egli ricuperò terreno, e gli fu permesso di dividere l’impero della Filosofia col suo più moderno rivale; i sapienti si accontentarono di proscrivere tutti gli altri competitori, passati, presentì e futuri, mettendo un line a tutte le controversie sull’argomento colla promulgazione di una legge Mediana, in virtù della quale le vie Aristoteliche e Bacomane erano, e di diritto dovevano essere, le sole vie possibili alla conoscenza. Voi dovete sapere, mio caro amico», aggiunge l’autore della lettera a questo punto. «che «Baconiano» era un aggettivo inventato come equivalente di Hogg-iano, e allo stesso tempo più dignitoso ed eufonico.

«Ora io vi assicuro formalmente», continua l’epistola, «che io vi espongo le cose con imparzialità, e voi potete agevolmente capire come delle restrizioni così evidentemente assurde abbiano contribuito in quei giorni a ritardare il progresso della vera scienza, la quale fa i suoi più importanti avanzamenti — come tutte le Storie lo dimostrano — per mezzo di salti apparentemente intuitivi. Queste antiche idee obbligarono l’investigazione a strisciare; ed io non ho bisogno di farvi osservare che lo strisciare, fra i vari mezzi di locomozione, è Uno dei migliori nel suo genere; ma se la testuggine ha il piede sicuro, dobbiamo noi, per questa ragione, tagliare le ah alle aquile? Per molti secoli fu così grande il fanatismo, specialmente per Hogg, che un arresto virtuale si operò in ogni pensiero, così propriamente detto. Nessun uomo osò pronunciare una verità che sentiva di dovere solo alla sua anima. Non importava che 2 3 [p. 15 modifica]la verità fosse anche dimostrabilmente tale; perchè i filosofi dogmatizzanti di quell’epoca riguardavano solamente la via per mezzo della quale essa era stata raggiunta. Lo scopo, secondo essi, era un punto di nessuna importanza: «I mezzi», essi vociferavano, «lasciateci vedere i mezzi!» — e se allo scrutinio dei mezzi non si trovavano nè nella categoria di Hogg, nè in quella di Aries (che significa Ariete) — giacché, allora, i sapienti non andavano più in là — chiamavano il pensatore un pazzo e tacciandolo di «teorista» non volevano, d’allora in pioi, aver più niente a che fare nè con lui nè colle sue verità.

«Ora, mio caro amico», continua lo scrivente, «non si può sostenere che col sistema esclusivamente adottato dello strisciamento, gli uomini possano giungere al maximum della verità, anche dopo una lunga serie di anni; perchè la repressione dell’imaginazione era un male che non poteva venir compensato neanche dalla certezza assoluta nel procedimento della lumaca. Ma la loro certezza era molto lontana dall’assoluto. L’errore dei nostri antenati era affatto analogo a quello di quel salamistro, il quale pensava die quanto più vicino ai suoi occhi egli teneva un oggetto, tanto più distintamente lo poteva vedere. Anch’essi si accecavano coll’impalpabile e titillante tabacco da naso scozzese dei particolari, e così i fatti tanto vantati degli Hogg-isti non erano mai dei fatti — punto questo di nessuna importanza se non per la presunzione che questi lo fossero sempre. Tuttavia, l’infezione vitale del Baconianismo — la sua più lamentevole fonte di errori — consiste nella sua tendenza a gettare poteri e considerazioni nelle mani di uomini puramente percettivi, di quegli intertritonici pesciolini, microscopici sapienti, scavatori e venditori ambulanti di fatti al minuto, per la maggior parte nella scienza fisica — fatti che essi vendono allo stesso prezzo sulla via maestra; il loro valore dipende, si suppone, semplicemente dal fatto che sono fatti, senza riguardo alla loro applicabilità o inapplicabilità nello sviluppo di quegli ultimi o solo legittimi fatti che si chiamano Legge.

«Quelle persone», la lettera continua a dire, «quelle persone così improvvisamente elevate per mezzo della filosofia Hogg-iana ad una posizione a cui non erano adatte, così trasferite dai lavatoi alle aule della Scienza, dalle cantine ai pulpiti, questi individui sono la più intollerante, la più intollerabile setta di bigotti e tiranni che mai siano esistiti sulla faccia della terra. La loro fede, il loro testo ed il loro sermone erano ugualmente l’unica parola «fatto»

— ma per la maggior parte di essi anche di quest’unica parola non era noto neppure il significato. Per quelli che soavano disturbare i loro fatti collo scopo di metterli in ordine e di usarli, i discepoli di Hogg non avevano [p. 16 modifica]misericordia di sorta. Tutti gli sforzi di generalizzazione furono accolti dalle parole: «teoretico», «teoria», «teoristi» — ogni pensiero in breve fu accolto come un affronto personale fatto a loro stessi. Coltivando le scienze naturali, esclusa la Metafisica, la Matematica e la Logica, molti di questi filosofi seguaci di Bacon — colla loro idea unica ed il loro partito unico e, per così dire, la loro gamba unica — erano più disgraziatamente deboli, più miserabilmente ignoranti, riguardo a tutti gli objetti comprensibili del sapere, del più ignorante villano che almeno prova che sa qualche cosa ammettendo che non sa assolutamente nulla.

«Nè ebbero i nostri primi padri maggior diritto di parlare di certezza quando seguirono, con cicca confidenza, il sentiero a priori degli assiomi dell’Ariete. In moltissimi punti il sentiero era tanto diritto quanto il corno di un ariete. La semplice verità è che gli Aristotelici erigevano il loro castello su di una base molto meno solida dell’aria; perchè mai nessuna di quelle cose che si chiamano assiomi esislel/ero e non potranno esistere giammai. Essi devono essere stati veramente molto ciechi a non vedere ciò o almeno a non sospettarlo, perchè, anche ai loro giorni, molti dei loro assiomi, da lungo tempo ammessi, sono stati abbandonati, come ad esempio: «ex nihilo nihil fit» e ancora: «una cosa non può esistere dove non è» e, «non vi possono essere antipodi», e, «l’oscurità non può derivare dalla luce». Queste e numerose proposizioni simili, anticamente accettate senza esitazioni come assiomi o verità innegabili, si trovarono affatto insostenibili anche nel periodo di cui io parlo: quale assurdità in questa gente, dunque, di persistere nel fare assegnamento su di una base che dicevano immutabile e la cui immutabilità invece si era così ripetutamente manifestata!

«Ma appunto per mezzo della testimonianza data contro sè stessi, è facile convincere questi ragionatori dell’a priori, delle loro maggiori irragionevolezze — è facile dimostrare la futilità — l’impalpabilità dei loro assiomi in generale, lo ho ora qui davanti a me» — si osservi che noi continuiamo ancora colla lettera — «ho ora qui davanti a me un libro stampato circa mille anni fa. Pundit mi assicura che è decisamente il più competente lavoro antico sull’argomento della «Logica». L’autore, che era molto stimato ai suoi giorni, era un certo Millernota o Mill del quale si ricorda come un punto di grande importanza che egli cavalcava un cavallo da mulino che chiamava Geremia Bentham; — ma diamo un’occhiata al volume stesso.

«Ah! —«La capacità o l’incapacità di concepire», dice 4 [p. 17 modifica]Mr. Mill a proposito, «non si deve in nessun caso accettare come un criterio di assiomatica verità. Ora nessun uomo ragionevole può negare che questo non sia un verismo palpabile. Non ammettere la pioposiziorie sarebbe incolpare di variabilità la Verità stessa, il cui vero senso è sinonimo di Immutabilità. Se la capacità di concepire è presa come un criterio di Verità, allora una cosa presa come verità da Davide Hume sarebbe molto raramente presa come verità da Joe; e i novantanove centesimi di ciò che è innegabile in cielo sarebbero una falsità dimostrabile in terra. La proposizione di Mr. Mill è dunque assodata. Io non voglio garantire che sia un assioma e ciò semplicemente perchè io stavo dimostrandovi che nessun assioma esiste; ma con una distinzione che non potrà essure cavillata neanche da.Mr. Mill stesso, sono pronto a garantirvi che se un assioma esiste, allora la proposizione di cui noi parliamo ha pienamente diritto di essere considerata come tale — che non vi è nessun assioma più assoluto — e, per conseguenza, che una proposizione susseguente che fosse in conflitto con quella esposta da prima, non può essere che una falsità in sè stessa — cioè il contrario di un assioma — o, se si ammette l’assiomatico, deve neutralizzale allo stesso tempo entrambe: sè stessa e la precedente.

«Ed ora, colla logica del loro autore, cerchiamo di provare alcuni degli assiomi proposti. Diamo a Mr. Mill buon giuoco. Porteremo la questione ad un esito non comune. Non sceglieremo per la nostra investigazione nessun assioma volgare — nessun assioma di quella classe che egli chiama, non meno assurdamente per quanto tacitamente, classe secondaria — come se una verità positiva per definizione potesse essere più o meno positiva; noi non sceglieremo, io dico, degli assiomi di una certezza così contrastabile come se ne possono trovare in Euclide. Non parleremo, per esempio, di proposizioni come questa: Due linee non possono racchiudere uno spazio, o questa: L’intero è più grande di ognuna delle sue parti. Daremo al logico ogni vantaggio. Noi giungeremo subito ad una proposizione che egli riguarda come l’apogeo della certezza — come la quintessenza dell’innegabilità assiomatica. Eccola: «Due contraddizioni non possono essere contemporaneamente vere — cioè, non possono coesistere in natura.»

Per dare un esempio. Mr. Mill intende dire qui — e io dò il più efficace esempio concepibile — che un albero deve essere un albero, oppure non esserlo— che non può essere allo stesso tempo un albero e non esserlo: il che è affatto ragionevole di per sè, e soddisfa abbastanza bene come assioma, fin tanto che non lo mettiamo a confronto con un assioma riferito poche pag’ne prima; in altre parole — parole che io ho impiegate precedentemente — finché noi non [p. 18 modifica]faremo la prova per mezzo della logica dell’autore stesso.

«Un albero», asserisce Mr. Mill, «deve essere o non essere un albero». Benissimo: ed ora domandiamogli il perchè. A questo piccolo quesito non vi è che una risposta — io sfido ogni essere vivente a trovarne una seconda. L’unica risposta è questa: «Perché noi troviamo che è impossibile concepire che un albero sia niente altro che un albero o non un albero.» Questa, io ripeto, è l’unica risposta di Mr. Mill — egli non pretenderà di suggerirne un’altra; eppure, per la sua dimostrazione stessa, la sua risposta non e evidentemente una risposta — poiché non ci ha egli già richiesto di ammettere, come un assioma, che la capacita o l’incapacità di concepire non si deve mai in nessun caso considerare come un criterio di assiomatica verità? Cosi tutta, assolutamente tutta la sua argomentazione è come una barca in mare senza timone. Non si pretenda che si debba fare un’eccezione alla regola generale nei casi in cui «l’impossibilità di concepire» è così peculiarmente grande come in questo caso in cui noi siamo chiamati a stabilire che un albero può essere tanto un albero come un non albero. Non si tenti, io dico, di stabilire questo non senso; perchè, in primo luogo, non vi sono dei gradi «d’impossibilità», e così nessuna concezione impossibile può essere più peculiarmente impossibile che un’altra concezione impossibile; in secondo luogo, Mr. Mill stesso — senza dubbio dopo una profonda deliberazione — ha più distintamente e più razionalmente escluso tutte le opportunità di fare delle eccezioni coll’enfasi della sua proposizione che non si può considerare in nessun caso la capacità o l’incapacità di concepire come un criterio di assiomatica verità; in terzo luogo, anche se vi fossero delle eccezioni ammissibilissime, rimane da dimostrare se qui se ne possa ammettere una qualsiasi. Che un albero possa essere un albero o non un albero è un’idea che gli angeli o i demoni possono accettare e che senza dubbio molti terrestri Bedlamitinota o Trascendentalisti accettano.

«Ora, io discuto con questi antichi», continua l’autore della lettera, «non tanto riguardo alla frivolezza trasparente della loro logica — la quale, per essere sinceri, era senza base, senza valore e completamente fantastica — quanto riguardo alla loro pomposa e infatuata proscrizione di tutte le altre vie alla Verità che non siano le due anguste e tortuose strade — l’una di viltà e l’altra di strisciamento — a cui, nella loro ignorante perversità, essi hanno osato di confinare l’Anima — l’Anima che non ama nulla di meglio che di librarsi in quelle regioni delle

5 [p. 19 modifica]intuizioni illimitabili che non conoscono assolutamente nessun «sentiero».

«A proposito, mio caro amico, non è questo un segno della schiavitù mentale imposta a quella gente bigotta dai loro Porci e dai loro Arieti, questo che nessuno di essi, a dispetto dell’eterno chiacchierare dei loro sapienti, fra le vie per arrivare alla Verità non abbia mai incontrato, anche per caso, quella via che noi ora vediamo così distintamente essere la più larga, la più giusta e la più utile di tutte le vie — il grande corso, la maestosa strada maestra della Consistenza? Non è stupefacente che essi non abbiano saputo dedurre dai lavori di Dio la vitale e importante considerazione che una consistenza perfetta non può essere che un’assoluta Verità? Quanto chiaro — quanto rapido fu il nostro progresso dacché si enunciò questa proposizione! Per mezzo suo l’investigazione è stata tolta fuori dalle mani delle terragne talpe e data come un dovere, piuttosto che come un compito ai veri — ai soli veri pensatori — a quegli uomini veramente educati e pieni di ardente imaginazione. Questi ultimi — i nostri Keplers — i nostri Laplaces — «speculano» — «teorizzano» — queste sono le vere parole; — non potete voi imaginare l’urlo di scorno con cui queste parole sarebbero accolte dai nostri progenitori, se fosse loro possibile di guardare sopra la mia spalla mentre scrivo? I Keplers, ripeto, speculano — teorizzano — e le loro teorie sono puramente corrette — ridotte — rischiarate — vagliate a poco a poco dalla loro pula di inconsistenza — finché, alla fine, vi appaja una perfetta Consistenza — una consistenza che anche il più stolido uomo — (perchè è una consistenza) — ammetterebbe come una Verità assoluta e incontrastabile.

«Io ho sovente pensato, amico mio, che il determinare da quale dei loro due vantati metodi il criptografista ottenga la soluzione delle cifre più complicate — o da quale di essi Champollion guidò l’umanità a quelle importanti ed innumerevoli verità che, per tanti secoli, sono rimaste sepolte fra i geroglifici fonetici dell’Egitto — avrà non poco imbarazzato anche questi dogmatici di un migliajo d’anni fa.

Sarebbe stato specialmente d’imbarazzo a questi bigotti il determinare per quale delle loro due vie fu raggiunta la più importante e più sublime di tutte le loro verità — il fatto — la verità della gravitazione? Newton la dedusse dalle leggi di Kepler. Kepler ammise che queste leggi — le indovinava — queste leggi le cui investigazioni dischiusero al più grande degli astronomi Britannici quel principio, quella base di tutti i principi fisici (esistenti), seguendo il quale noi entriamo ad un tratto nel regno nebuloso dei Metafisici. Si! Kepler indovinava queste leggi vitali — cioè le invaginava. Se gli avessero chiesto di indicare il metodo [p. 20 modifica]deduttivo o induttivo per mezzo del quale egli le raggiunse, la sua risposta sarebbe stata: — «Io non so nulla intorno ai metodi ma io conosco bene il macchinario dell’Universo. Eccolo qui. Io lo afferrai colla mia anima, lo raggiunsi per mezzo di lina semplice «intuizione». Ohimè! povero vecchio ignorante! Non poteva qualche metafisico dirgli che ciò ch’egli chiamava «intuizione» non era altro che la convinzione risultante dalle deduzioni o dalle induzioni di cui i processi erano tanto tenebrosi da sfuggire alla sua consapevolezza, da eludere la sua ragione e comandare diffidenza alla sua capacità di espressione? Che grande peccato che qualche «filosofo moralizzatore» non lo abbia illuminato su tutto ciò! Come lo avrebbe confortato nel suo letto di morte il sapere che invece di essere andato avanti così intuitivamente e sconvenientemente aveva realmente proceduto decorosamente e legittimamente — cioè — Hogg-iana-mente o almeno, Ram-ianarnente6 — verso i vasti palazzi dove stanno raggianti, non curati e, fin qua, mai toccati dà mano mortale — mai visti da occhio mortale — i segreti imperituri e inapprezzabili dell’Universo!

«Si, Kepler fu essenzialmente un teorista; ma questo titolo, ora così santo, era in quegli, antichi giorni una designazione di supremo disprezzo. È solamente ora che gli uomini cominciano ad apprezzare quel divino vecchio — a simpatizzare colla profetica e poetica rapsodia delle sue sempre memorande parole. Per mia parte», continua lo Sconosciuto corrispondente, «io ardo di un sacro fuoco soltanto quando penso a quelle parole, e sento che non sarò mai stanco di ripeterle: — Concludendo questa lettera, permettete che io abbia il grande piacere di trascriverle di nuovo: — «Non mi curo che la mia opera sia iella ora o dalla posterità. Posso avere il coraggio di aspettare per un secolo i lettori, quando Dio stesso ha aspettato mille anni un osservatore, lo trionfo. Ho rubato l’aureo segreto degli Egiziani. Voglio abbandonarmi al mio sacro furore!»

Qui finiscono le mie citazioni di questa epistola veramente inesplicabile ed anche alquanto impertinente; forse sarebbe una follìa il commentare in ogni punto le idèe chimeriche, per non dire rivoluzionarie, dello scrittore — chiunque egli sia — idee che sono così radicalmente in guerra colle opi*- nioni tanto considerate e tanto stabilite di quest’epoca. Procediamo allora verso la nostra legittima tesi, L’Universo.


Note

  1. Questa lettera si accorda in complesso coi passaggi di “Mellonta Tanta vol II„, pagg. 520-53, Ed.
  2. Cant in inglese significa: affettato, volgare, ipocrita.
  3. Hogg = Porco. Allusione al filosofo Bacon; in inglese significa: prosciutto, lardo.                                                                                 (Note del Trad,)
  4. Miller = Mugnajo.                                                            (Nota del Trad.)}}
  5. Maniaci. — Bedlam, famoso manicomio.                    (Nota del Trad.)
  6. Alla maniera di Bacone e di Aristotele.                    (Nota del Trad.)