Errori e rimedi nell'Italia meridionale
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ERRORI
E
RIMEDI
NELL'ITALIA MERIDIONALE
SCRITTO DEL CITTADINO
FILENO OLIVIERI.
- Signor Conte,
Spinto dall’amor patrio, per darle una prova del sommo concetto che ho di Lei, e nell’interesse di veder trionfare la di Lei alta politica, che mena la nostra patria ad un ridente avvenire, mi permetto dedicarle un piccolo lavoro sotto il titolo Errori e Rimedi nell’Italia meridionale, nella sicurezza che uno dei primi cittadini d’Italia voglia accettarla con quei sentimenti di profonda considerazione con cui ho l’onore di dirmi
Pinerolo, 26 maggio 1861
Suo dev.° servo ed ammiratore
FILENO OLIVIERI.
Il dovere che incumbe ad ogni leale e buon cittadino, che s’interessa al bene della patria comune, è quello di far rilevare tutti gli errori in cui gli uomini più eminenti, loro malgrado possono incorrere nella gestione della cosa pubblica, onde rintracciare i mezzi più opportuni per rimediare alle funeste conseguenze che le potrebbero arrecare.
È questo l’unico motivo che mi anima a tracciare un quadro genuino ed imparziale dello stato politico in cui versa il mezzogiorno dell’Italia, perchè testimone oculare durante il periodo più importante della rivoluzione di quelle regioni fino al mese di marzo ultimo; e fino ad ora corrispondente degli uomini più integerrimi e benemeriti della patria, delle di cui assertive posso rispondere senza riserva alcuna. Finchè il Governo dittatoriale resse l’ex-reame delle Due Sicilie, ciò che si operò e che si potè credere errori governativi, poteva essere l’effetto della necessità delle circostanze eccezionali in cui versava quel paese; e quindi non solo meritevole di scusa, ma degno di quell’ammirazione che non può negarsi per le gigantesche e favolose intraprese coronate dal più splendido successo che mente umana possa concepire.
Però, se dopo ch’il plebiscito dei popoli meridionali d’Italia chiamò il Governo del nostro amato Re Vittorio Emmanuele a sostituire il dittatoriale, per unificare l’Italia, gli uomini sommi preposti all’amministrazione della cosa pubblica non ottennero ancora il risultato, che al certo si son proposti; non debbesi attribuire alle cause che i nemici diretti ed indiretti della patria, sia per ambizione o interessi personali sono spinti a divulgare e vogliono far credere a quei popoli affatto nuovi alle istituzioni liberali; essi vogliono profittare dell’effetto prodotto su quel popolo da un Governo che da più di un secolo ha cercato con ogni mezzo il più immorale corromperlo, lasciarlo nell’ignoranza o sotto l’influenza delle superstizioni, per rafforzarsi sempre più nel dispotismo e nella tirannide. Questa mancanza di successo però debbesi attribuire soltanto a semplici errori incorsi da grandi uomini, solo perchè quaggiù non possono esservi perfezioni, e perchè la natura e le passioni non possono essere disgiunte dall’essere umano.
Quindi lungi da me l’idea di voler criticare l’opera dei più belli ingegni politici che si abbia oggi d’Italia, preposti dalla provvidenza alla somma della nostra cosa pubblica; ammirerò la loro buona fede e costanza nel retto sentiero, che deve condurci al compimento della sublime meta delle aspirazioni nazionali del nostro bel paese d’Italia... A quella meta che formò per tanti secoli il sogno dorato dei più grandi figli della nostra patria terra.
Cercherò quindi solo esaminare gli errori commessi, e le cause che sostengono l’attuale stato politico dell’ex-regno delle Due Sicilie, onde rintracciare i mezzi più opportuni, per riparare alle gravi inconvenienze cui potremmo essere trascinati nostro malgrado.
È questo l’unico scopo che mi propongo ottenere.
Molti, ed in varie circostanze, hanno trattato, alla spicciolata, quasi tutti i punti cui io accennerò. Ma finora parmi che nessuno abbia riunito, in brevi termini, tutte le cause prime del male che travaglia la più bella parte della nostra penisola; che potrebbe essere fonte di gravi e pericolose conseguenze, se non vi si opponesse un pronto ed energico rimedio.
Perciò senz’altra pretesa che di buon patriota, prendendo animo dall’amor patrio, che è stato sempre, e sarà la mia guida; e garantito dalla mia posizione sociale; perchè non si attribuisca ad ambizione personale la mia condotta; intraprenderò questo piccolo e delicato lavoro, nella speranza che possa produrre un buon risultato alla mia patria, al mio amato Sovrano ed al suo Governo.
ERRORI.
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Art. 1°
Senza esaminare lo stadio della rivoluzione, i mezzi che la necessità delle circostanze obbligavano ad operare, ed i risultati che in un’epoca affatto eccezionale si ottenevano; comincierò dal momento in cui il Governo del nostro Re Vittorio Emmanuele fu chiamato ad assumere le redini dello Stato dell’ex-reame delle Due Sicilie.
Quando le gloriose truppe nazionali entrarono in Napoli, quantunque memori della poca buona soddisfazione che produsse il loro contegno sostenuto colla popolazione di Milano dopo la campagna del 1859, esse non furono diverse colle popolazioni del mezzo giorno d’Italia. Questa condotta, sebbene nulla avesse di riprovevole od offensivo per l’esercito, fu antipolitica; e prova ne sia che il popolo napolitano si sentì punto nel suo amor proprio.
Non mancarono i nemici di avvalersi di questa lieve circostanza per incominciare a suscitare delle idee avversive, vociferando che esse assumevano un’aria di conquista nel paese. I veri amici però del Governo attuale, quantunque a tutta possa si fossero dati per distruggere questa falsa idea, pur tuttavolta non vi riuscirono, perchè non tardarono a presentarsi altre cause di disgusto in quei paesi.
È fuor di dubbio che la formazione dell’Esercito Garibaldino non poteva essere perfetto nei suoi elementi; perchè in momenti così supremi, come quelli in cui si trovò il glorioso Duce dei mille, era impossibile scegliere, ed era necessità assoluta accettare qualunque braccio s’offrisse al riscatto della patria. Però, è fuor di dubbio ancora, che indistintamente tutti i componenti quell’esercito erano ben meritevoli dalla patria. Nè varrebbe il dire che gran parte di essi non presero parte nei differenti fatti d’armi, poichè alcuno esercito al mondo è mai esistito che in una campagna avessero tutti potuto prender parte in combattimenti. Però siccome il soldato in prima linea, seconda, o terza, di guarnigione o di scorta, di sentinella o in commissione, tutti influiscono sia materialmente o moralmente al felice successo d’una campagna; così tutti, siano in Sicilia che in Calabria, sotto Capua o negli Abbruzzi, sia combattendo che conservando le posizioni, tutti dal Governo avebbero dovuto essere considerati, salvo un debito scrutinio per purificare quei corpi, quando lo Stato si fosse alquanto organizzato.
Quando quest’esercito si portò in Napoli a snidare la dinastica belva Borbonica, fu desso e con i suoi elementi, che ottenne quel risultato, che l’istesso illustre Generale Cialdini disse che non avrebbe potuto ottenere nè iniziare al posto di Garibaldi. Fu dunque da questo esercito che Napoli e tutto il reame delle Due Sicilie si vide liberato da quel giogo che da più di un secolo lo tiranneggiava... Fu a questo esercito che la popolazione del sud d’Italia aveva gratitudine, ammirazione e stima; perchè essa sapea comprendere che se in una truppa organizzata e disciplinata da molti anni, vi sono di quelli che denigrano i corpi; con più gran ragione, ed in ben più gran numero debbono esservene in quelli di volontarii formati in momenti così difficili, ed in cui un uomo deve valere molto più che in tempi ordinari..... Perchè comprendeva che la mancanza di taluni individui non dovea ricadere in tutta una benemerita corporazione, la quale se racchiudeva in se dei riprovevoli, conteneva puranche il fiore della nobiltà, della ricchezza, e del valore.
La poca stima, quindi, ed il poco riguardo usato verso di essi dopo l’entrata delle truppe in Napoli; l’eguale inconsiderazione che per tutti questi elementi si è voluto tenere, denigrando così quel corpo e trattandoli tutti in una stessa linea; oltre all’umiliare tutti i buoni fino al più perverso di essi, irritava semprepiù quelli che avevano concepito per loro quella gratitudine e quella stima meritata; e rafforzava ancora quell’idea che dai nemici d’Italia si era incominciato a divulgare, cioè; che i Piemontesi assumevano un’aria di conquista disprezzando quelli che li avean chiamati nel proprio paese. Qui le antipatie si suscitavano, e giornalmente ingigantivano.
Quando poi il Governo, lungi dall’organizzare, dopo debito scrutinio, quelle valorose truppe, dispose si dessero sei mesi di paga a quelli che volevano abbandonare il servizio, (a gran detrimento del tesoro, e considerando così egualmente tanto il buono che il tristo, in luogo di gratificare quelli che fossero rimasti al servizio della patria); disfece un esercito in un momento in cui avea necessità di uomini e di danari.
In questo tratto non solo le truppe Garibaldine, ma più d’ogni altro la popolazione napolitana vide un’atto d’ingratitudine verso quelli che, si voglia o no, avevano liberato il mezzogiorno d’Italia dal dominio borbonico; e se le fortezze del Regno stavano ancora nelle mani delle truppe nemiche, questo fatto non toglieva che tutte le popolazioni si vedevano, di fatti, liberate dall’esercito Garibaldino; e che la quistione politica militare del reame delle Due Sicilie fu ridotto da questo esercito agli ultimi termini; che riservò poi alle valorose armi nazionali la bella gloria di così felicemente risolverla; cogliendo uno dei più bei allori delle campagne d’Italia.
Nè vale a scusare una simile condotta il supporre nell’Esercito Garibaldino principii politici troppo spinti. Un Esercito, che dopo una serie di vittorie cede armi, fortezze e quanto è in suo potere, e senza riserva alcuna, al Governo, che esso contribuisce fortemente a chiamare per reggere il paese da lui in maggior parte liberato; sarebbe altra offesa di stoltezza e tradimento.
Quindi i primi errori furon questi che urtavano contro l’opinione pubblica, contro cui cozzando ogni gran nave naufraga.
Durante la campagna sostenuta dal prode Generale Garibaldi, fu giocoforza prendere dei provvedimenti che in altre circostanze sarebbero stati erronei. La poca forza di cui potea disporre, gli ostacoli innumerevoli a surmontare, e mille incalcolabili altri incidenti l’obbligarono a mettere in libertà una quantità di truppe al servizio borbonico, che forse non avrebbero deposte le armi senza cotesta condizione. Nei primi momenti d’una guerra come quella, era permesso supporre che un atto apparentemente generoso, quantunque indispensabile, potesse ritornare ad utile della causa italiana. Ma disgraziatamente ben presto si ebbero disinganni.
Quelle torme, sbandate per tutto il Regno, non tardarono a mostrarsi nelle file dei briganti, che, sotto il pretesto di un principio politico opposto al principio nazionale, infestavano le provincie degli Abruzzi, saccheggiando ed apportando la morte e l’incendio in quei paesi inermi, ove piombavano come cannibali sui propri fratelli.
Vari ed energici sforzi furono fatti dalle Guardie Nazionali di quelle provincie per reprimere un tale flagello, e vari rapporti furono spediti al Governo, prevenendolo che ciò che si chiamava reazione era sostenuto e fomentato principalmente dai soldati sbandati del Borbone; e si esortava quindi ad impedirne il ritorno onde evitare maggiori sventure. Ciò nonostante capitolò Capua, e si rilasciarono altre migliaia di soldati, i quali come i primi andarono ad ingrossare la reazione. Altri rapporti e premure si fecero dalle autorità provinciali al Ministero sul tenore delle precedenti, ma senza risultato. Cadde Gaeta, ed invece di tener presente quanto avveniva nell’interno delle provincie, questa volta non solo si rilasciarono anche libere moltissime migliaia di Borbonici, ma si diede loro la paga a ciascuno per due mesi, e si fece in tal modo sostenere a quello Stato un esercito per due mesi, nella quasi certezza che essi dovevano servire la maggior parte contro le nostre armi. E, cosa incomprensibile, si permise al Borbone di recarsi nel cuore d’Italia... nel centro d’una implacabile reazione, lasciandogli così tutto l’agio, ed alla miglior portata di servirsi di ogni suo mezzo onde fargli vomitare tutto il veleno del suo perverso cuore sulle disgraziate popolazioni Meridionali.
Difatti così avvenne; nè potea essere altrimenti, poiché coloro che fino agli estremi si erano mostrati partitari del Borbone, si trovavano e si trovano nello stesso caso in cui ci siamo trovati e ci troviamo noi, che siamo loro avversari. Ora se noi con esilii, prigioni, forche e persecuzioni di ogni genere, a noi ed alle nostre famiglie, non ci siamo arresi, non è stoltezza il credere che essi farebbero altrimenti? Varrebbe forse che ciò potrebbe avvenire perchè noi propugniamo una santa causa? Ciò potrebbe essere se i nostri avversari fossero educati a nobili sentimenti!!! Ma per masse incolte.... per gente abbrutita da tanti anni di abbietto dispotismo.... per gente idiota.... per chi non conosce altro Dio che il proprio interesse materiale, vi è causa più santa che la propria?
Ed intanto quali erano gli effetti di questi errori? La reazione ingigantiva ed ingagliardiva, apportando ovunque la desolazione. Il Governo, privo di forze sufficienti per effetto del primo errore commesso, non potendo reprimere coteste violenze, perdeva parte della forza morale, la quale aumentava in proporzione all’inimico. I partitari del Governo, chi per tema, chi per diffidenza, chi per malignità s’alienavano da lui, e per lo meno gran parte divenivano apatici per la causa nazionale; e l’apatia nella cosa pubblica è la vera cangrena del corpo sociale, che lo conduce insensibilmente alla tomba! Essa è peggiore della reazione, perchè questa si vince, ma quella è invulnerabile! Essa è quella istessa peste che trascinò l’ardente popolo meridionale alla bassa schiavitù in cui giaceva or son pochi mesi.
In questo stato di cose il Governo emanava continui decreti, i quali, non avendo esatta esecuzione, rivelavano all’inimico debolezza e poca energia. Non servivano che per trastullo e beffe contro chi li emanava, e non producevano che un maggiore discredito governativo; poichè nulla vi è di più nocivo e più fatale alla forza morale di un governo che emettere delle disposizioni quando non si eseguiscono.
Queste circostanze quindi costituiscono i secondi errori.
La società deve perfettamente considerarsi una macchina d’orologio, in cui se tutte le ruote non compaggiano perfettamente, essa non può aver moto, e se pur l’ha, non può presentare il risultato che l’artefice si propone. Non basta che le ruote principali siano esatte, ma fa d’uopo che ciascuna parte componente cotesta macchina sia coerente e perfetta con le altre. Di fatto spesso per la semplice inesattezza delle sfere d’un orologio (parti ben secondarie al certo) non può vedersi il risultato d’un meccanismo perfetto. Le parti che compongono la macchina sociale sono: la burocrazia, la magistratura, e tutti gli impiegati in genere. In uno sconvolgimento generale di uno stato come quello dell’ex-reame delle due Sicilie, in cui si deve ricostruire la macchina sociale con proporzioni e sostanze ben diverse dalle anteriori, è egli mai possibile che essa possa avere un moto regolare per ottenerne i risultati che si propone un nuovo artefice, se alle ruote di piombo unisce quelle d’oro di differente dimensione? Se pretende che le ruote d’un orologio da campanile possano armonizzare con quelle d’un orologio da tasca e dar un esatto risultato? Certo che no. Quindi, se l’ex-reame delle due Sicilie vuol farsi armonizzare con la gran macchina italiana, è necessario riformarne le singole parti.
Come ogni governo saggio pratica, per straordinario caso, anche il Governo Borbonico, durante il suo dominio in quei paesi, non ha fatto che piazzare negl’impieghi gli uomini che rispondevano allo spirito corruttore del suo governo dispotico. Quindi in genere tutti quelli che erano addetti al servizio del Borbone, sia per cattivo animo, sia per tema di perdere l’impiego, sia per ambizione particolare, sia per stoltezza o debolezza, la massima parte seguiva lo spirito del Governo.
Durante i lunghi anni in cui, a forza di corruzioni e di violenze, regnò quella esecrata dinastia, gli uomini più probi e più benemeriti della patria si videro oppressi, calpestati, derisi, condannati senza prove alla galera, alla forca, o all’esilio, senza poter ricorrere che a Dio. Però la speranza d’una nuova êra, d’un’êra felice, la fede che un giorno la giustizia di Dio avrebbe fatto trionfare la giustizia umana sopra i tiranni, dava animo e coraggio per resistere alle oppressioni cui il solo spirito dei buoni Italiani, rafforzato dalla loro fede, potea reggere.
Quest’ora desiderata e sublime per la nostra patria è giunta; ma un terribile disinganno si osserva ancora che è fatale, ma che lo sarà ancora di vantaggio se il Governo non fa sosta al cammino intrapreso. Quei padri di famiglia che han visti perseguitati i loro figli e le loro case, dileggiati i loro parenti ed amici dagli individui, che tutt’ora veggono negli stessi impieghi, che imprudentemente affettano un sentimento liberale che non hanno mai avuto, e ove spesso non si ritengono dal beffarsi di quelli stessi che tanto soffersero per condurre lo stato sociale di quel paese al punto ove si trova... possono essi esser contenti e soddisfatti di quel Governo da cui si attendevano almeno una soddisfazione morale? Certo che no. Quindi altra parte della popolazione di quel paese è disgustata per questo nuovo atto antipolitico nell’attuale ordine di cose, che cogli altri citati inconvenienti, se non rende avversa al Governo gran parte del popolo, per lo meno la fa cadere in quella fatale apatia di cui ho già tenuto parola. A questo numero aggiungete tutti quelli che sono stati ingiustamente condannati, altri che hanno avuto nell’istesso caso persone a loro care, altri contrariati nei propri interessi, altri insultati dalla sbirraglia borbonica, e tutti questi oggi debbono vedersi umiliati dinanzi i loro stessi carnefici!!! Possono esser contenti?
Nè vale il dire che in una grande amministrazione, col cambiare i capi di essa, si può ottenere una generale riforma. No. Cambiare il capo d’una amministrazione è lo stesso che cambiare una ruota in un vecchio orologio quando le altre fossero tutte rose dalla ruggine.
La burocrazia, o lettori, quando non corrisponde allo spirito del Governo, è una immensa laguna nel mezzo d’un ridente abitato, ove le acque, che dovrebbero irrigare e far germogliare i più bei fiori dei giardini circonvicini, vanno a precipitarsi in essa, ove imputridiscono e tramandano fetide esalazioni che generano la peste sociale.
Ecco i veri mali che han prodotto e mantengono il malcontento nel mezzogiorno d’Italia. Con questi mezzi il Governo ha creduto, tra le altre cose, che si sarebbe accattivato l’animo degl’impiegati, mentre si alienava quelli che l’hanno servito per tanti anni soffrendo privazioni e persecuzioni; e quegl’impiegati stessi che erano suoi nemici, non cessano di esserli ad onta che si ritengano nei loro posti, non potendo essi stessi credere che il Governo sia tanto buono da ritenerli per lungo tempo, perchè si trovano sotto l’usbergo del sentirsi impuro, e perchè suppongono si ritenghino per necessità amministrativa.
Intanto, nella speranza di un ritorno del loro antico padrone, essi contrariano il nuovo Governo per farsene un merito onde migliorare la loro posizione, nel caso si realizzasse la loro lontana ipotesi.
Io non sono partitario delle destituzioni in massa, ma non ammetto neppure l’altro estremo. In tutte le corporazioni vi sono dei buoni e dei tristi; ma nelle corporazioni amministrative del Governo Borbonico i primi non potevano che esser rari, pel sistema corruttore che imperava. Ma una grande riforma nel personale Amministrativo e Giudiziario è di alta ed assoluta necessità, se non vuole il Governo alienarsi tutta la simpatia, l’amore e l’attaccamento che ora si ha per lui nell’Italia meridionale.
È il più sincero e leale suddito e cittadino che parla, è un uomo che, non una, ma mille vite, se ne avesse, darebbe pel suo amato Re Vittorio Emanuele; è un uomo per cui la patria ed il suo Re forma il suo culto.
È certo grave il passo; ma il Governo pria d’ogn’altro dev’esser grato a chi l ha servito e lo serve fedelmente. È questo il primo segreto per ben governare ed esser ben servito.
Se qualcuno bisbiglia: ma può egli cacciarsi in istrada tante famiglie? Io risponderò a questi: che dalla strada alla Reggia vi sono molti stadii; ma in ogni caso quale giustizia vuole che, piuttosto che mettere in strada il carnefice, vi resti la vittima? Piuttosto che il nemico vi resti l’amico o l’indifferente?
Anche nel 1821, col ritorno del governo del Borbone in Napoli, si presero delle misure per riordinare a suo modo il sistema amministrativo del Regno, che gli diedero un buon risultato. Perchè non imitare la parte buona del sistema che si tenne allora per riformare l’attuale amministrazione Civile e Giudiziaria, che sono la base dell’edifizio sociale?
Quindi, riepilogando tutti i principali passi falsi che meritano emenda, e che per conseguenza han tratto tante altre erronee disposizioni governative, che hanno aumentato il malcontento, abbattuto i liberali, da cui solo il Governo deve sperare sostegno, ed hanno imbaldanzito i retrogradi e gl’imbecilli, passerò a suggerirne i rimedi.RIMEDI AGLI ERRORI.
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Quando un male attacca una parte vitale del corpo, se non si vince, esso conduce alla morte. Un buon medico perciò, quanto più osserva in cattive condizioni l’ammalato, tanto più deve affrettarsi per vincere il morbo. Se la cangrena invade alcun membro, allora deve raddoppiare di coraggio e ricorrere al taglio, per salvare la vita del malato; in questo caso però non deve contentarsi di tagliare la parte attaccata dal male, ma deve recidere anche la parte sana necessaria per poter garantire che il male non si riproduca.
In diplomazia spesso i mezzi termini sono i più utili; ma nel riorganamento di uno stato in perfetto sconvolgimento, quando, oltre al materiale, deve formarsi il morale di un governo, e quando specialmente si ha una forza reazionaria a vincere che costantemente ostilizza, i mezzi termini sono i più nocivi e pericolosi.
Nell’ex-reame di Napoli il nostro Governo si trova in questo caso, quindi deve bandire i mezzi termini e le mezze misure se vuol riuscire alla pronta riorganizzazione di quella parte d’Italia, ed armarsi di energia e risoluzione.
I. ERRORE.
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Discioglimento dei Corpi Garibaldini.
Per rimediare a questo errore, siccome non può rivenirsi sul passato, e siccome di quei Corpi non restano che una frazione di uffiziali a contentare, sarebbe mal partito formare dei corpi volontari, perchè antipolitico, e perchè sarebbe assurdo che un governo tenesse due differenti armate.
Dovendo l’Italia aumentare le sue attuali forze, perchè insufficienti anche sul piede di pace, e non essendo giusto che, dopochè l’Esercito meridionale, per opera propria, ha unito alla Corona d’Italia la più bella gemma, esso non abbia neppure la gloria di appartenere all’Esercito nazionale, quasi che ne fosse indegno: così sarebbe prudente e politico fondervi quella parte di Uffiziali che saranno riconosciuti dalla Commissione di scrutinio scevri di macchie, e degni di rivestire una onorata divisa.
Se tra essi vi fossero di quelli che non potessero disimpegnare il grado che rivestono; siccome gli allievi delle scuole militari dopo un anno di studi sortono buoni uffiziali nell’esercito, con più ragione uomini agguerriti potrebbero esserli dopo un eguale o approssimativo tempo d’istruzioni.
Questa disposizione sarebbe di tanto più giusta inquantochè il signor Ministro della Guerra asserì nelle Camere che se gli ufficiali dell’esercito dell’Emilia (che pur non si erano battuti come l’esercito Meridionale) era stato ammesso a far parte dell’esercito nazionale; ciò dipendeva dal perchè quasi tutti erano stati uffiziali lombardi o veneti nel 1848 e 1849; siccome tra gli uffiziali dell’esercito Meridionale vi è una quantità di quelli che han servito nelle campagne del 48 e 49, così a più ragione dovrebbero essere nella condizione dei primi.
II e III ERRORE.
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1° Rinvio dell’Esercito Borbonico con due mesi di soldo a ciascuno; 2° Riconoscimento degl’uffiziali borbonici nell’esercito nazionale.
Per rimediare al primo di questi errori non vi è altro mezzo che la forza onde riavere sotto le nostre bandiere quei soldati.
Per conseguire questo risultato si dovrebbe procedere nel modo seguente:
Tutti i Governatori esiggerebbero, segretamente, dai Sindaci di ciascun Comune la nota esatta dei refrattarii esistenti in essi colla indicazione delle rispettive abitazioni. Da ciascun Capo-luogo di provincia, o distretto, partirebbero nuclei proporzionati di forze regolari i di cui Comandanti sarebbero muniti delle corrispondenti note sopra citate, e sorprendendo alla spicciolata i differenti comuni, sotto pretesto di pernottare in essi oprerebbero l’arresto dei refrattarii. Si porrebbe mente però a non operare nei comuni limitrofi se non contemporaneamente. In questo modo si otterrebbe il doppio scopo di arrestare i refrattarii facendo eseguire la legge, e di far crociare una serie di piccole colonne mobili che avrebbero l’altro scopo di distruggere il brigantaggio e ripristinare la sicurezza pubblica e con esso la forza morale governativa.
Dopo i primi arresti, quando si scorgesse l’energia nel Governo, vedreste che la maggior parte dei renitenti si presenterebbe spontaneamente e la reazione perderebbe i suoi elementi.
Quanto poi al 2° di questi errori, cioè di riconoscere gli uffiziali borbonici a preferenza di quelli dell’esercito Meridionale, è tale passo falso che potrebbe trarre tristissime conseguenze. Difatti quale garanzia può aversi di loro? Chi assicura che essi non prendono servizio sotto le nostre bandiere che per essere utile al loro spodestato tiranno? Oltre a che, quale effetto può egli produrre sugli animi dei nuovi sudditi meridionali il vedere che preposti ai loro primi liberatori i satelliti più fidi del Borbone i più rimarcabili per la loro immoralità, tirannide e nefandezze oggi fanno parte della eletta schiera italiana con gradi superiori!... riflettetevi..... e giudicate!!!
IV. ERRORE.
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Inesecuzione dei decreti emanati.
È semplice il rimedio. Bisogna farli eseguire e se fa d’uopo del rigore, usarne. Per questo non abbisogna che energia.
V. ERRORE.
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Conservazione degl’impiegati borbonici a danno di quelli che han servito la patria, e si son sagrificati per molti anni onde vedere realizzato lo stato attuale delle cose.
Il mezzo più acconcio a mio credere per rimediare a questa mostruosità amministrativa è che si adotti il sistema tenuto nel 1821 in Napoli al ritorno del Borbone, facendovi quelle modificazioni che saprà dettare quella bontà che deve distinguere il nostro Governo, onde non confondersi con un despota esecrato; senza però mai transigere con queste masse d’impiegati amministrativi e giudiziarii, che possono trarre a rovina una nazione, il di cui Governo è chiamato a proteggere, e non ad esporlo ad un disastro orribile per mancanza d’energia e risoluzione.
Tutti i cennati errori sono stati le vere cause che han suscitato il malcontento dei popoli meridionali, e se i rimedi non si somministreranno pronti, il male potrebbe entrare in uno stadio pericoloso.
Siate certi, che qualunque disposizione si darà, che direttamente non tocca questi punti cardinali della reazione, non si potrà raggiungere lo scopo. A che servirà che i Luogotenenti ricordino agl’impiegati i loro doveri e glie ne ingiungano dei nuovi se essi non vogliono eseguirli? Non è noto l’adagio: che il peggior sordo è quello che non vuol sentire? Credete voi di riformare con una circolare o un decreto il morale di uomini invecchiati nella immoralità? I signori Luogotenenti faranno cattive figure e lo Stato andrà di male in peggio.
Prendete in considerazione quanto ho esposto. Sacrificate qualche milione per attivare quanti lavori pubblici sono possibili in tutte le singole parti del Regno; facilitate ogni mezzo, e premurate perchè immediatamente si comincino e si proseguano i lavori delle nuove strade ferrate; pensate che se non si provvede immediatamente a tranquillizzare quelle popolazioni, oltre al male politico presente, la mancanza dei lavori agrari, che ne deriverà, trarrà seco la miseria nel prossimo anno, a cui per rimediare si sarà obbligati a sacrificare molto più di ciò che vi necessiterebbe ora, ed il risultato sarà più incerto. Ricordatevi infine che il saper perdere costituisce la vera scienza dell’economista.
Son queste verità incontestabili, e voi signori preposti alla cosa pubblica, persuadetevene una volta, e fate calcolo di una voce che si manda da un sincero e leale amico del Governo e dell’augusto nostro Re Vittorio Emmanuele.
Certo che queste teorie meriterebbero delle dilucidazioni per mettersi in pratica; se io volessi dilungarmi di vantaggio, lo farei. Ma siccome gli uomini che seggono al potere non hanno d’uopo del mio avviso per bene e convenientemente applicarle; così mi limito ad accennar loro queste poche verità e necessità onde evitare che maggiormente le si facciano congetture poco favorevoli ad essi, e si provveda al migliore andamento della cosa pubblica; per conservare le disposizioni favorevoli pel nostro Governo in tutte le parti della penisola; ed affinchè al più presto e con minori difficoltà si possa vedere compiuta l’opera gigantesca della ricostituzione nazionale dell’Italia.
Fileno Olivieri.