Dopo le nozze/Il matrimonio del povero
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IL MATRIMONIO DEL POVERO
La ricchezza può contribuire alla felicità domestica, ma non ha la virtù di render felici quelli che non lo sono, e molte volte regna nella casa del povero quella felicità che cerchiamo inutilmente nel palazzo del ricco.
S’io fossi ricca! esclama spesso la fanciulla nata in povera condizione. Eppure se sapesse che forse esser ricca vorrebbe dire fare un matrimonio di convenienza invece che d’inclinazione, essere inutile al mondo invece che utile, aspirare ad una meta alla quale non potrà arrivare, e forse condurre una vita uggiosa, disoccupata, piena di preoccupazioni, invece di passarla serena e tranquilla, colla soddisfazione che provano coloro che hanno bene impiegata la loro giornata, forse si contenterebbe del suo stato; ma chi mai è contento a questo mondo? Domandatelo ai ricchi e ai poveri, ai felici ed agli sventurati: tutti avranno qualche cosa da desiderare, e guai se non fosse così il mondo, la vita, sarebbero come uno stagno dove l’acqua s’imputridisce, e il progresso diverrebbe una parola morta.
È un fatto che nel popolo i matrimonii si concludono nel modo più semplice e naturale e come dovrebbe succedere in tutte le classi sociali, se l’interesse non facesse tacere ogni miglior sentimento.
Nel popolo le donne vivono, per così dire, emancipate; sono in caso di poter senza soggezione avvicinare ed essere avvicinate dai giovani della loro classe sociale, e purchè siano oneste ed operose, difficilmente rimangono zitelle, sicchè da questo lato si trovano in miglior condizione delle ragazze di una classe più agiata.
Nel popolo non è questione di danaro, ma di simpatia e di convenienza reciproca. Se la donna ha, come in tutte le condizioni, bisogno dell’appoggio d’un essere più forte che la protegga e la difenda, l’uomo ha invece la necessità d’una donna che gli tenga in assetto la sua stanza e la sua roba, che gli prepari il desinare, gli sorrida e lo rallegri nelle ore del riposo; del resto se per il ricco la moglie significa un aumento di spesa non indifferente, per il povero è invece un’economia, perchè la moglie gli rammenda la biancheria, gli mette in assetto i suoi oggetti, gli fa da mangiare con molto vantaggio della sua borsa e del suo benessere, e poi è molto facile che possa anche trovar tempo da guadagnarsi qualche cosa da aggiungere al salario del marito, e finalmente vivendo n un centro laborioso lontana da certe vanaglorie, non prova i bisogni smodati che sentono le persone in condizione migliore, e la moglie dell’operaio avrà forse ambizione di poter lavorare o d’essere brava massaia, ma non si sognerà nemmeno di schiacciare le vicine sfoggiando un nuovo abbigliamento in ogni occasione, e per un operaio un elogio del suo principale varrà come per un giovane alla moda l’aver detto una frase spiritosa che possa fare il giro dei salotti eleganti.
Se nel popolo, marito e moglie amano il lavoro saranno certo felici; prima di tutto, chè occupati tutto il giorno, non hanno tempo da litigare nè d’annoiarsi l’uno dell’altro, e quando si ritrovano la sera gustano con grande voluttà la fumante minestra guadagnata col lavoro delle loro mani, che sembra loro assai più saporita degli squisiti manicaretti che rallegrano le mense dei ricchi, perchè condita coll’appetito acquistato conducendo una vita operosa. Se uno si ammala, l’altro si sente in obbligo di lavorare per tutti e due; se vengono figliuoli, è uno sprone per raddoppiare ancora il lavoro; insomma fino che il povero lavora tutto va a gonfie vele, ma....
C’è un ma ed è che non tutti i poveri hanno voglia di condurre una vita operosa, che molti si sposano per vivere alle spalle della moglie e molte donne per farsi mantenere dal marito e passare le giornate andando a zonzo per la città o chiaccherando colle comari del vicinato; naturalmente l’ozio è seguìto da una quantità di vizii: si abbandona l’officina e si comincia a frequentare la bettola, poi vengono i dissapori coniugali, le busse, la miseria, la fame e giù di grado in grado fino all’abiettezza e all’abbrutimento del vizio. È uno spettacolo che non voglio evocare colla mia mente e penso invece alle giornate serene passate col lavoro, alle giornate di riposo trascorse allegramente in mezzo alla felice famiglia, ai divertimenti che il povero si può procurare senza spesa e che gode assai meglio di quelli che il ricco si procura a prezzo d’oro. Le passeggiate all’aria aperta, le corse nei prati, le merende sull’erba, una funzione in chiesa, una corsa attraverso le baracche d’una fiera, una passeggiata ai giardini pubblici, sono veri godimenti per quelli che passano tutta la settimana rinchiusi in un’officina occupati col lavoro.
Però il povero per poter essere tranquillo anche nell’avvenire, deve essere non solo laborioso, ma previdente, e quando è forte e vigoroso deve pensare al tempo che non lo sarà più e mettere da parte un piccolo gruzzolo, per non trovarsi sprovveduto nei giorni tristi delle malattie o della vecchiaia, non deve fidarsi troppo delle sue forze le quali possono venir meno da un giorno all’altro. Aver qualche risparmio vuol dire la pace e la tranquillità dell’onesta famigliuola, e la privazione di qualche sigaro o qualche bicchiere di vino sarà quello che più tardi gli impedirà di privarsi delle cose più necessarie. Se il ricco si può permettere qualche superfluità e qualche capriccio, per il povero sarebbe addirittura un delitto. Guai se il povero non si contenta di poco, se vuol uscire dalla sua cerchia e invidia i piaceri dei ricchi, diviene la rovina della propria famiglia, e poi egli che ha il passatempo del lavoro non ha bisogno d’altri godimenti perchè nella sua casa non entra la noia. Se sapesse invece come s’annoia sdraiato sulla sua poltrona quel ricco al quale pensa con tanta invidia! quanta infelicità si crea colla sua mente disoccupata! ora imagina che i ladri si vogliono impadronire delle sue ricchezze, ha sonni agitati e si sveglia di soprassalto. Qualche altra volta è invece tutto preoccupato della sua salute e prende inutili rimedii che gli creano poi delle vere malattie. E poi dalla noia nasce il mal umore e da questo i litigi in famiglia. Quanti mariti tormentano le loro mogli per sfogare in qualche modo la loro noia! Quante mogli bisbetiche, insofferenti, si rendono insopportabili ai mariti per il loro carattere, e tutto perchè passano le loro giornate fra l’ozio e la noia!
Avete la casa piccola; ma che importa? Anzi ci si sta più uniti, e quando ci si ama, stare uniti vuol dire una gioia continua; non vi sono ricchi cortinaggi davanti alla vostra finestra, i vostri mobili sono semplici e non c’è pericolo che si guastino, così il sole può entrare liberamente e portarvi la luce e la salute e l’allegria; non avete tesori e la porta può restare aperta impunemente, dal povero non vanno i ladri, e voi il vostro tesoro lo portate con voi, lo avete nelle vostre braccia e lo create col vostro lavoro, è una ricchezza che non conoscete e che non apprezzate che quando siete ammalati perchè vi è allora impedito di usarne.
A voi pure non è negata la felicità e potete far risuonare di allegre canzoni le vostre officine, e le mura della vostra dimora, l’allegria non costa nulla, val meglio delle ricchezze. È tanta salute per voi e tanta pace per la vostra famigliuola. Non siete no da compiangere, figli del popolo, se avete un cuore che risponde al vostro, se vedete crescervi intorno una bella corona di figliuoli sani e robusti, se non vi manca il pane quotidiano, e dovete benedire al lavoro che vi permette di essere utili a voi stessi e alla società, che a voi stessi e alla società, che vi fa passare le giornate in un lampo e non vi lascia il tempo di crearvi mali veri o imaginari. Perciò dovete coltivare nella vostra casa la religione del lavoro e insegnarla ai vostri figliuoli, la dovete far regnare sempre nella vostra famiglia, perchè il lavoro è la vera benedizione del povero.