Donne illustri/Donne illustri/Properzia de' Rossi

Properzia de' Rossi

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PROPERZIA DE’ ROSSI







CCiorgio Vasari, tessendo le lodi delle donne, con minor estro ed affetto dell’Ariosto, il quale mostra amarle senza fine anche quando ne dice male, conchiude: «Nè si son vergognate, quasi per torci il vanto della superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose meccaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro, per conseguire il desiderio loro e riportarsene fama, come fece ne’ nostri dì Properzia de’ Rossi da Bologna, giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa, come l’altre, ma in infinite scienze, che, non che le donne, ma tutti gli uomini gli ebbero invidia. Costei fu del corpo bellissima, e sonò e cantò ne’ suoi tempi meglio che femmina della sua città; e [p. 92 modifica] perciocché era di capriccioso e destrissimo ingegno, si mise ad intagliar noccioli di pesche, i quali sì bene e con tanta pazienza lavorò, che fu cosa singolare e maravigliosa il vederli, non solamente per la sottilità del lavoro, ma per la sveltezza delle figurine che in quegli faceva, e per la delicatissima maniera del compartirle. E certamente era un miracolo veder in su un nocciolo così piccolo tutta la passione di Cristo, fatta con bellissimo intaglio, con una infinità di persone, oltre i crocifissori e gli apostoli. Questa cosa le diede animo, dovendosi far l’ornamento delle tre porte della prima facciata di San Petronio tutta a figure di marmo, che ella per mezzo del marito chiedesse agli operai (fabbriccieri) una parte di quel lavoro, i quali di ciò furono contentissimi ogni volta ch’ella facesse veder loro qualche opera di marmo condotta di sua mano. Ond’ella subito fece al conte Alessandro de’ Peppoli un ritratto di finissimo marmo, dov’era il conte Guido suo padre di naturale; la qual cosa piacque infinitamente, non solo a coloro, ma a tutta quella città; e perciò gli operai non mancarono di allogarle una parte di quel lavoro, nel quale ella finì, con grandissima maraviglia di tutta Bologna, un leggiadrissimo quadro, dove (perciocché in quel tempo la misera donna era innamoratissima d’un bel giovine, il quale pareva che poco di lei si curasse) fece la moglie del maestro di casa di Faraone che, innamoratasi di Giuseppe, quasi disperata del tanto pregarlo, all’ultimo gli toglie la veste d’attorno con una donnesca grazia e più che mirabile. Fu questa opera da tutti reputata bellissima, ed a lei di gran soddisfazione, parendole con questa figura del vecchio Testamento avere isfogato in parte l’ardentissima sua [p. 93 modifica] passione (1523-1525). Nè volse far altro mai per conto di detta fabbrica, nè fu persona che non la pregasse ch’ella seguitar volesse, eccetto maestro Amico (Aspertini), che, per l’invidia, sempre la sconfortò, e sempre ne disse male agli operai, e fece tanto il maligno, che il suo lavoro le fu pagato un vilissimo prezzo. Fece ancor ella due angioli di grandissimo rilievo e di bella proporzione, che oggi si veggono, contra sua voglia però, nella medesima fabbrica. All’ultimo costei si diede ad intagliare stampe di rame, e ciò fece fuor d’ogni biasimo e con grandissima lode. Finalmente alla povera innamorata giovane ogni cosa riuscì perfettissimamente, eccetto il suo infelicissimo amore. Andò la fama di così nobile ed elevato ingegno per tutt’Italia, e per ultimo pervenne agli orecchi di papa Clemente VII, il quale, subito che coronato ebbe l’imperatore in Bologna (1530), domandato di lei, trovò la misera donna essere morta quella medesima settimana, ed essere stata sepolta nello spedale (o meglio chiesa) della Morte, che così avea lasciato nel suo ultimo testamento. Onde al papa, ch’era volonteroso di vederla, spiacque grandissimamente la morte di quella, ma molto più ai suoi cittadini, i quali, mentr’ella visse, la tennero per un grandissimo miracolo della natura nei nostri tempi. Sono nel nostro libro alcuni disegni di mano di costei, fatti di penna e ritratti dalle cose di Raffaello d’Urbino, molto buoni, ed il suo ritratto si è avuto da alcuni pittori che furono suoi amicissimi.»

A questo affettuoso e poetico ritratto dell’aretino fa alcune appuntature l’eruditissimo signor Michele Gualandi, bolognese, che ha fatte infinite ricerche intorno alla scultrice sua [p. 94 modifica] concittadina, ma come egli ingenuamente confessa, con piccol frutto, concludendo che pare ch’ella si compiacesse di morire e vivere nel mistero.

Nacque, secondo lui, verso il 1490 da un Gerolamo De’ Rossi, cittadino bolognese. Egli crede una favola il matrimonio di lei; e indovinare il giovine di cui il Vasari la dice innamorata, e sarebbe un Antonio Galeazzo Malvasia figlio di Napoleone e di Lucrezia Bottregari, nato allo scorcio del secolo XV, bello di persona e di grande ingegno, e laureato in patria nell’anno 1524. Ed a questo supposto si collegherebbe una accusa data nel settembre del 1520 da un Francesco da Milano, vellutaro, a Properzia, che per dispetto chiama con un nome oltraggioso, e all’amante di lei Antonio, di avere schiantato nell’orto suo ventiquattro piedi di vite ed un arbore di marasca! Non si sa come finisse il processo. Anche il Gualandi racconta di una Properzia, senz’altro, che graffiò il viso a Vincenzo Miola, pittore! — Il Gualandi poi non crede che nel basso-rilievo, rappresentante l’infedele moglie di Putifarre, Properzia volesse perpetuare la sua vergogna! «E poi, egli dice, quivi si figura una ripulsa, e la Properzia e il Malvasia si amavano, ecc., ecc.»

Da queste peregrine notizie, che danno in nonnulla, si potrebbe risalire alla tragedia di Paolo Costa, al racconto romanzesco di Pietro Selvatico, grande maestro in materia d’arte, ma non sappiamo quanto felice novellatore. Come che sia, stiamo contenti al Vasari; e poiché il campo è bianco, la fantasia delle nostre belle lettrici vi dipinga quello che più loro è a grado, e nel Malvasia si figuri ciascuna l’uomo che l’è più caro, ma vinto e amoroso e fedele.