Donne illustri/Donne illustri/Elena Corner - Piscopia

Elena Corner - Piscopia

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[p. 186 modifica]ELENA CORNER-PISCOPIA [p. 187 modifica]








CClena Corner-Piscopia nacque il 6 giugno 1646 da Giovanni Battista e Giovanna Corner, detti Piscopia dal nome d’un feudo che i loro maggiori avean tenuto nell’isola di Cipro.

Gl’indizi, che lampeggiavano del suo ingegno, fecero che con solerte cura si attendesse ad erudirla. Da un Valier e da un Bartolotti fu avviata al latino, da un Fabris al greco. Morto il Fabris, gli successe l’abate Luigi Gradenigo, greco di nazione, e pubblico bibliotecario. I progressi della giovanetta furono grandi, e nacque un bel caso. Aspirava il maestro all’abbazia di Cardacchio, nell’isola di Corfù, ma gli opponevano che non fosse molto sperto nel greco volgare. [p. 188 modifica] A provare falsa l’accusa, egli mostrò alcune composizioni dettate da Elena in quella lingua; e furono di tal bontà, da provare abbondevolmente il valore dell’insegnante. Oltre il greco e il latino, ella sapeva d’ebraico. Delle lingue moderne conosceva la spagnuola e la francese, ed avea qualche tintura dell’araba. E non solo parlava francamente, ma cantava poesie in tutte queste favelle, se ne levi l’ebraica.

Dagli studi delle lingue e della musica passò a quelli delle scienze. Nella filosofìa, o, come dicevano, nella dialettica, udì privatamente Carlo Rinaldini, gentiluomo anconitano, che n’era primario lettore in quella Università. Finito il corso, per volere del padre, prese la laurea nel giugno 1678: avea trentadue anni. La ottenne a voti unanimi dopo avere nella cattedrale, allato all’altare della Madonna, in presenza di più migliaia di persone, esposto il testo del filosofo. Fu una dissertazione, ma non vi fu disputa: il che si chiamava addottorarsi alla nobilista; se non che, sedendo poi, come dottore, alle solennità delle lauree, e movendo dubbi ai candidati, si mostrò tanto acuta nell’argomentare quanto nella dissertazione s’era mostrata eloquente.

Dovea laurearsi anche in teologia, che avea studiata sotto un cotal Marchetti da Camerano; ma perchè donna, e secondo San Paolo mulieres non docent, o per una malattia sopravvenuta, il pensiero non ebbe effetto. Era innanzi anche in astronomia, e a ventiquattr’anni, nel 1670, ne avea tenuto discorso, presenti il langravio d’Assia e molti suoi cavalieri. — Ascritta a parecchie accademie, compose discorsi da recitarsi in quelle che si raccoglievano in Padova, dove aveva fermato dimora negli ultimi anni in un palazzo [p. 189 modifica] suo, posto nella contrada del Santo. Passando di Padova il Cardinal d’Estrées, ella, si può dire, improvvisò un’orazione assai bella; ed un padre Foresti, che accompagnava il cardinale, scrisse sotto al 2 gennaio 1681; «Fu a visitare questa donna: e per quanto mi disse Sua Eminenza, conobbe che le sue virtù superavano la sua fama, non solamente nella perizia di tante lingue, ma nella profondità di tante scienze speculative, morali ed istoriche; che questo era un oggetto che poteva tirare a sè ogni gran personaggio delle più remote parti, e che esso ne partiva rapito per encomiarla in tutti i luoghi.» — Ella inviò un elogio a papa Innoncenzo XI, che ne la ricambiò con una amplissima lettera tutta piena di sue lodi. Anche a Luigi XIV furon note le sue virtù, e dalle mani di lei volle che fosse dato al Rinaldini il proprio ritratto e insieme una collana d’oro; onori ch’ella avea fatto istanza gli venissero conferiti.

Nella sua città fu onoratissima. Il Consiglio dei Pregadi differì ad un altro giorno il deliberare, perchè i senatori potessero intervenire ad una sua Orazione. E fu tenuta di sì perfetto giudizio ed equità, che fu eletta arbitra in una lite importante di due famiglie.

Abbiamo parlato della scienza; tocchiamo ora della sua religione e pietà. Già da fanciullina si mostrava aliena dalle vanità del mondo. Vedendo un giorno spendersi dal padre in intagli e dorature, a fregio del proprio palazzo, non poco denaro: «Padre mio, disse la fanciulletta, e perchè non dispensare piuttosto ai poveri questo denaro?» Giovanetta, non prendeva parte volontieri alle gale e feste di casa: e quando, adulta, andò a stare a Padova, non si valeva che [p. 190 modifica] raramente della carrozza; andava il più a piedi; gli argenti non metteva fuori se non alle visite del padre; e del suo assegno spendeva la massima parte in elemosine ed altre opere di pietà. Aveva una gran vocazione alla vita religiosa; e volendo entrare in un monastero, e dibattendosi la scelta fra quattro, ne scrisse i nomi in quattro polizzini, e ne trasse uno. Ma il convento assegnatole dalla sorte era in tale discordia, che ne dovè uscire. Avea fatto voto fin da giovanetta di non prender marito, e l’attenne. Non potendo altro, sotto l’abito secolare vestì quello di San Benedetto, osservandone le regole al possibile nella propria casa, visitando le chiese di quell’Ordine, e soscrivendosi nel carteggiare con que’ padri: Elena Scolastica, essendo questo secondo il nome che aveva deliberato di prendere quando le fosse concesso di professare.

La naturale malsania, l’intensione dello studio, la rigidezza della vita rincrudirono in Padova le malattie cominciate in Venezia.

Ella soffrì costante il malore, ed attese rassegnata la morte. Implorava di essere sotterrata senza veruna pompa e con l’abito di oblata benedettina. «Quattro palmi di terra bastano, ella soleva dire, ai più gran personaggi del mondo.» Spirò a trentotto anni, il 26 luglio 1684, e le fu fatta la cassa, siccome ella aveva detto, del legno di un cipresso che seccò quando ella venne a morte, e che ella in addietro aveva svolto il padre dal tagliare come albero caro a lei e alla madre.

Le esequie, celebrate in Santa Giustina, furono splendidissime. Alla veste benedettina fu sovrapposta la mozzetta [p. 191 modifica] di pelle, segno del suo dottorato. Due ghirlande se le intrecciarono alla fronte, una di gigli per denotare la sua verginità, l’altra d’alloro per la sua dottrina. Sulla bara erano libri ed emblemi delle varie scienze ed arti da lei professate, ch’eran tutte. Le botteghe eran quasi tutte chiuse, come in pubblica calamità. Altre città italiane consentirono al lutto. Le fu posta nell’Università una statua che la rappresenta seduta.

Il padre Bacchini nel 1688 ne diede, a Parma, la vita e una raccolta di alcune sue opere.