Donne illustri/Donne illustri/Bianca Cappello

Bianca Cappello

../Tarquinia Molza ../Isabella Andreini IncludiIntestazione 23 gennaio 2019 100% Da definire

Donne illustri - Tarquinia Molza Donne illustri - Isabella Andreini

[p. 68 modifica]BIANCA CAPPELLO [p. 69 modifica]







n. 1548, † 1587.



II
o Bthl.io (Bortholamio) Capello brevem.te gli espuonerò non senza lagrime il crudel et atroce caso commesso alla casa mia ppria a meggia notte alli 29 di novembre passato (nella notte del 28 venendo il 29 novemb. 1563) p̈ gli sceleratissimi Piero Bonaventuri con còsenso di Gio. Batta suo barba et altri a me incogniti complici, quali havendo una casa alquanto discosta dalla mia dove habito a S.to Aponal (Apollinare) al ponte Storto, ma che facilm.te però si puoi veder p̈ retta linea in via del Canal: questi scelerati et pfidi, avendo io una unica fig.la d’età di ani XVI in c.a con mali et detestandi muodi a tempo di notte sono [p. 70 modifica]

entrati in casa mia et condotta via la fig.la in casa soa e poi strabalzata (cioè passata da un luogo all’altro per nasconderla) et rubbata con grandiss.a offesa et vgogna di tutta casa mia.» Con queste parole il nobile Bartolomeo narrando il ratto della sua unica figlia Bianca, commesso da Piero Bonaventuri, che in Venezia teneva le ragioni al banco dei Salviati, chiedeva al Consiglio dei Dieci fossero banditi i rapitori con la taglia solita e che la figliuola fosse ritornata e riposta in un monastero di Venezia.

Pare di sentire la querela di Brabanzio nell’Otello di Shakespeare, e schiamazzar coloro che gli diedero avviso del ratto. Bianca però non era una Desdemona, e l’Otello fiorentino appena un Cassio. Anzi, dicono la rapisse per gola della ricca eredità che a lei si aspettava. Ella non fu riposta in un monastero, ma fuggì a Firenze con l’amante, al quale trovò presto un illustre compagno. Francesco Medici, figlio ed erede succedituro di Cosimo I, la prese a proteggere. Fece pratiche a Venezia perchè si revocasse il bando uscito contro di lei e le fossero restituiti i seimila ducati che ella aveva eredati dalla madre e che le si erano sequestrati. Non ottenne nulla; tutta quella nobiltà si teneva offesa del ratto, e mostrava sdegno implacabile del peccato. La Grimani, seconda moglie di Bartolomeo, imperversava più che mai; Bartolomeo crescea la taglia di suo; e il patriarca di Aquileia, un Grimani, vi sopraccresceva i suoi fulmini spirituali. Il solo che pagò il fio nel luogo della colpa fu il zio del Bonaventuri, morto in carcere di petecchie. Bianca, bellissima, armata di vezzi, di lusinghe, di fallacie e di una certa facondia, allacciava sempre più [p. 71 modifica] strettamente il principe, che il padre, poco castigato anch’egli, non potea ravviare. Il Bonaventuri, godea del favore, e si ricattava dell’amore perduto con Cassandra Bongianni, nata Ricci. I Ricci meno pazienti della disonestà di lei, fecero uccidere il Bonaventuri, e Francesco il sapea. Si difese valentemente con due soli servi contro più di dodici sicarj, ne freddò uno, ma soverchiato dal numero perì insieme ad uno de’ servi, e lasciò piazza franca al Medici. Restò di lui una figlia, Pellegrina, ch’ella maritò poi a Bologna, nel 1576, a Ulisse Bentivoglio-Manzoli, e le lasciò per testamento trentamila scudi. Fu romanzeggiata da Gerolamo Brusoni, e del romanzo v’è la chiave nelle Iscrizioni del Cigogna. — Cassandra fu trucidata in quella notte medesima nel suo proprio letto da mascherati sicarj.

Nel 1574 Francesco, morto Cosimo I, di reggente fu duca, ma non lasciò la mal concetta passione; solo la celò finché ottenne a moglie Giovanna d’Austria, bella anche lei, ma impossente contro le seduzioni della Veneziana, il cui trionfo la addolorò tanto, che il io aprile 1578 morì men d’aborto che di spasimo. Il duca, durante il lutto, (il 5 giugno di quell’anno) sposò segretamente Bianca; finito che fu, avutane licenza da Filippo II, volle sposarla pubblicamente ed elevarla al trono. Allegava averne un figlio, e sperarne altri; ora quel figlio, che fu don Antonio Medici, ella lo avea supposto al credulo principe, disponendo tre donne sopra parto a fornirglielo; e dicono ch’ella facesse capitar male le sue complici e forse così la madre del maschio adottato come le altre due che s’erano sgravate di femmine. Il fatto è che il duca scrisse alla Repubblica che egli voleva sposare la [p. 72 modifica] Bianca; e il Senato, posta giù l’ira, la dichiarò di tratto fia della Repubblica, il 16 giugno 1579, e il 17 fece cavalieri della Stola d’oro il padre Bartolomeo, tutto in solluchero pel novello onore, e il fratello Vittorio. Fe’ cancellare dai libri dell’Avogheria le memorie del delitto, che l’industria di un paleografo richiamò in vita, e sotterrare il processo che non si potè più trovare.

Francesco sposò pubblicamente la Bianca il 12 ottobre 1579 presenti tutti gli ambasciatori meno quello d’Austria, e gli ambasciatori veneti, Tiepolo e Michiel Senatori, le posero la corona in capo come a figlia della Repubblica, secondo che già s’era fatto alle cittadine veneziane che aveano sposato i re d’Ungheria e di Cipro. Il Duca le costituì una dote di 100,000 ducati. Sisto V nel 1586 le mandò la Rosa d’oro. I poeti, e tra gli altri lo Speroni e il Tasso, la cantarono. Torquato n’ebbe in dono una coppa d’argento. Il fratello Vittorio tenne ambe le chiavi del cuore di Francesco, ma trascorse per modo che nel 1581 fu scacciato. Dicono che a un ordine di pagamento di tremila scudi datogli dal duca aggiungesse uno zero. Bianca stessa andò scapitando. Ella credeva tener fermo l’amore del marito con malie, con filtri, valendosi più che mai di una Canidia giudea. Non ben paga di don Antonio, voleva altri figli. Una gravidanza, mentre il vescovo di Pistoia, il ravennate Abbioso, giurava aver sentito muovere il feto, si sciolse in una colica.

Il cardinal Ferdinando, che soffriva impazientemente le arti e il dominio dell’intrusa e n’era in continui urti col fratello, mostrò finalmente riconciliarsi, e si trovarono al [p. 73 modifica] Poggio a Cajano. Qui avvenne la catastrofe. Il duca ammalò e morì il 19 ottobre 1587, e Bianca dello stesso male il 20. Il Galluzzi dice che dell’uno e dell’altra fu fatta la sezione cadaverica, e che all’aprir di Bianca assisterono Pellegrina sua figlia e il marito Bentivoglio, e che non si videro tracce di veleno. Ma checché si fosse, s’inventò una torta, fattura esimia di Bianca con che ella intendesse avvelenare il marito, freddo e vólto ad altri amori, o il cognato, e, come Rosmunda, cadesse nel laccio teso altrui. Altri addirittura che il veleno fosse apprestato dal cardinale, che successe e regnò gloriosamente.

Il duca fu sepolto con tutte le onoranze debite alla sua grandezza. La pessima Bianca, come la fece chiamare il duca più volte nell’atto declaratorio dei natali di don Antonio, fu vilmente cacciata nei sotterranei di San Lorenzo. Le sue armi, già inquartate a quelle de’ Medici, tolte via, e rimesse quelle di Giovanna d’Austria. "Fece però il duca pagare puntualmente tutti i suoi lasciti, e ne toccò anche al padre Bartolomeo, che facea tanto lo schifiltoso. La Repubblica proibì che si prendesse il lutto per questa sua fia! — E rimase Bianca favola ai poeti e declamazioni ai romanzieri.