Donne illustri/Donne illustri/Arcangela Paladini

Arcangela Paladini

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ARCANGELA PALADINI







CCelle donne venute in eccellenza nelle arti del disegno sarebbe lungo il catalogo. Di alcuna già parlammo. Continuando per abbicì, troveremmo, tra le più antiche, Angelica Beinaschi, nata nel 1666, e fiorita a Roma: quattro Renieri: Angelica, Anna, Clorinda, Lucrezia, figlie e discepole di Niccolò, e le due ultime sposate a due pittori, l’una a Pietro della Vecchia, l’altra a Daniele Van-Dyck, tutte pittrici. Cinque Anne: Anna Felicita Neuberger figlia di Daniello d’Augusta, che gli fu maestro: a olio, a gomma e con cera formò quadri e figure mirabili; intagliò storie in noccioli di ciliegie, e crocifissi tanto minuti, che passavano per una cruna d’ago. Anna Maria Pfrintia, figlia di Giorgio [p. 132 modifica] scultore, lavorò in cera ritratti simigliantissimi, ad esempio di Alessandro Abbondio, il quale mescolava i colori con la cera, tanto che riuscivano dipinti al naturale; Anna Maria Scurmana, nata a Utrecht nel 1607, morta sessagenaria: di sei anni disegnava; riuscì meravigliosa nel dipinger fiori e nello scolpire in legno e cera ritratti naturali; dotta in molte lingue, in filosofia e in teologia; fortissima nelle dispute, e sgarava i più eruditi e pronti. Anna Metrana, torinese, figlia ed emula della madre, grande pittrice, mirabile nei ritratti. Anna Smyters, di Gand, moglie di Giovanni Heer, primario scultore di Fiandra, e madre di Luca, valente pittore e poeta, si dilettò istoriare quadretti di minutissime e quasi invisibili figure: fra l’altre cose dipinse un molino a vento con le sue ali distese, il mugnaio con un sacco in spalla, un cavallo, un carro, e gente che passava lì presso, e tutto il lavoro si poteva coprire con un chicco di fava. Antonia Pinelli, bolognese, discepola di Lodovico Caracci, sopra i disegni del maestro, nella chiesa dell’Annunziata in Bologna, dipinse la tavola del San Giovanni, ove ritrasse ai piedi sè stessa e Giovanni Battista Bertuno suo consorte e degno pittore. Antonia Gentileschi, pisana, figlia e discepola d’Orazio, lavorò, non solo bellissimi ritratti, ma ancora, come dicevano allora, quadri storiati. — Quattro Caterine: la Cantoni, nobile milanese, ma più nobile per il disegno e per il ricamo, rappresentando nell’una e nell’altra parte delle tele le figure perfettamente effigiate; ridusse l’arte sua sino a fare ritratti al naturale che sembravano piuttosto condotti dal pennello che trapunti dall’ago: fiorì l’anno 1590. La Ginnasi, romana, col disegno del Lanfranchi condusse tutte [p. 133 modifica] le pitture che si ammirano nella chiesa delle monache di Santa Lucia di Roma. Caterina Taraboti, veneziana, discepola d’Alessandro Varotari. S. Caterina Vigri, nata a Bologna nel 1413, ove fondò il monastero del Corpus Domini, e introdusse l’ordine di Santa Chiara, fu diligentissima miniatrice e pittrice; fece l’immagine di Gesù Cristo bambino che per divozione si mandava a baciare agli infermi, de’ quali molti diceano riconoscerne la salute; morì l’anno 1463, e fu santificata da papa Clemente XI il 22 maggio 1712. Ora saltiamo dalla lettera C al P, e notiamo Arcangela Paladini, pisana, le quale nacque il 1599. Dal padre Filippo, pittore, apprese l’arte. Nel 1616 sposò Giovanni Broomans, d’Anversa, e fu chiamata alla Corte medicea dall’arciduchessa Maddalena d’Austria, moglie di Cosimo II. Ella vi ottenne gran plauso per la sua maestria così nel disegno, come nel canto, ed altresì pel suo genio poetico. Nel 1621 per comando dell’arciduchessa pinse sè stessa. Questo ritratto meritò di esser posto e serbato gelosamente nella sala della Galleria di Firenze, dove il cardinale Leopoldo ebbe il felice pensiero di raccogliere le immagini che i celebri pittori lasciarono di sè. Valse soprattutto nel ricamo a colori, arte difficilissima. Quanto ai ricami, si osserva che in quest’arte la scuola milanese si segnalò sopra tutte le altre. Ricordammo la Cantoni, e ne ricorderemo delle altre. Il magistero del ricamare, non pur fiori e foglie, ma figure e storie, era durato in Italia, secondo dice il Lanzi, anche dopo i tempi romani. Ne è un preziosissimo avanzo la cosidetta casula dittica del museo di Classe in Ravenna, o a dir meglio alcune strisce di essa: broccato d’oro ove a ricamo son riportati i ritratti di [p. 134 modifica] Zenone, di Montano e d’altri vescovi. Lo stesso uso di ricamare a figure i sacri paramenti par dalle antiche pitture che continuasse in secoli rozzi: anzi, in certe sagrestie ne avanzano reliquie. Le più intatte sono a San Niccolò in Fabriano: un piviale con figure di apostoli e santi diversi, e una pianeta con misteri della passione, ricamo di rozzo e secco disegno del secolo XIV. Dei milanesi, Luca Schiavone condusse quest’arte al più alto segno; Gerolamo Delfinone fu suo discepolo: visse ai tempi dell’ultimo duca Sforza, e ne fece il ritratto in ricamo. Fece similmente la vita di Nostro Signore pel cardinal di Baiosa. Le caccie di Scipione suo figlio erano accettissime ne’ gabinetti sovrani, e questa virtù passò anche nel figlio Marc’Antonio. La Pellegrini fu la Minerva de’ suoi tempi; ricamò il paliotto e qualche altro sacro arredo, che si conservano nella sagrestia del Duomo.

La Paladini morì di appena ventitré anni, l’8 ottobre 1622, e il compianto fu degno di tanta virtù, sì acerbamente rapita.