<dc:title> L'ingegnoso idalgo don Chisciotte della Mancia Volume secondo </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Miguel de Cervantes</dc:creator><dc:date>1615</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Don_Chisciotte_della_Mancia_Vol._2/Capitolo_XIX&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20161119090216</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Don_Chisciotte_della_Mancia_Vol._2/Capitolo_XIX&oldid=-20161119090216
L'ingegnoso idalgo don Chisciotte della Mancia Volume secondo - Capitolo XIX Miguel de CervantesBartolommeo GambaDon Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu
Avventura del pastore innamorato, con altri veri e graziosi successi.
D
i poco si era don Chisciotte scostato dal paese di don Diego, quando si avvenne in due persone vestite a foggia di chierici o di studenti accompagnate da due contadini, tutti portati da cavalcature dalle orecchie lunghe. Uno dei giovani studenti aveva con sè un portamantello di panno con tela bottana verde, il quale per quanto si seppe poi, non altro conteneva che qualche abito e due paia di calze rigate. L’altro recava seco due spade non punto affilate, e ad uso di scherma, coi loro bottoni. Avevano i contadini altre cose indicanti che venivano da qualche grande città dove le avevano comperate per portarle al contado. Sì gli studenti che i contadini rimasero attoniti, come solevano fare tutti coloro che vedevano don Chisciotte per la prima volta; e morivano di voglia di sapere chi fosse un uomo sì fuori dell’uso degli altri. Don Chisciotte li salutò, e dopo avere inteso dove erano diretti, e che marciavano appunto per la strada a cui egli stesso s’incamminava, si offerse loro compagno, pregandoli di rallentare un po’ il passo giacchè le loro asine camminavano più del suo cavallo. Per obbligarli con poche parole li mise al fatto dell’essere suo e della sua professione ed officio, ch’era di cavaliere [p. 169modifica]errante in cerca di venture per le quattro parti del mondo. Disse loro che chiamavasi don Chisciotte della Mancia per nome proprio, e per soprannome il cavaliere dai Leoni. Tutto questo era pei contadini linguaggio greco o in gergo, ma non già per gli studenti, che da ciò argomentarono come stesse il cervello di don Chisciotte. Guardavanlo con tutto ciò con istupore e con rispetto, ed uno di loro gli disse: — Se vossignoria, signor cavaliere, non ha strada determinata come suol essere di chi va cercando venture, si accompagni a noi, e vedrà una delle più belle e ricche nozze che sino al dì d’oggi si sieno festeggiate qui nella Mancia o in altri luoghi di questi contorni„. Dimandò don Chisdotte se fossero di un qualche principe che le rendesse tanto famigerate. — No, signore, ma di un contadino e di una contadina, rispose lo studente; egli però è il più ricco di questo paese, ed è la giovane la più bella che siasi mai veduta: nuovo e straordinario è il loro apparato, dovendo celebrarsi in un prato vicino al paese della sposa, la quale è per eccellenza chiamata Chilteria la bella, e lo sposo Camaccio il ricco. Conta la giovane l’età d’intorno a diciott’anni, e lo sposo ventidue; sono di eguale condizione, tuttochè certi investigatori che vogliono conoscere le prosapie di tutto il mondo, sostengano che più distinta è la nascita della bella Chilteria di quella di Camaccio; ma non è da farsi molto caso di ciò mentre le ricchezze servono a rimediare a molte rotture. In effetto questo Camaccio è uomo assai [p. 170modifica]liberale, e gli è venuto il capriccio di coprire tutto il prato con rami e con frondi, di modo che il sole ha da durar fatica per visitare co’ suoi raggi le verdi erbe dalle quali resta coperto il suolo. Apprestò egli danze moresche sì di spade che di piccoli sonagli, essendovi nel suo paese chi mirabilmente si esercita in questi allegri giuochi; e non dico niente dei nostri sgambettanti che dimenano e si percuotono le gambe con insolita maraviglia, e faranno crescere la esultanza1. Nessuna poi delle riferite cose, nè altre molte delle quali voglio intralasciare di farvi parola, ha da render tanto memorabili queste nozze quanto quello che attendesi di veder farsi dal disperato Basilio. È questo Basilio un pastore che soggiorna nello stesso paese di Chilteria, di dove prese occasione Amore di rinnovare al mondo l’istoria di Piramo e Tisbe; poichè Basilio si innamorò di Chilteria fino dai suoi teneri anni, ed ella gli corrispose con mille onesti favori, tanto che erano un gradito intrattenimento degli abitanti gli amori dei due fanciulli Basilio e Chilteria. Andò crescendo l’età, e il padre di Chilteria stabilì di vietare a Basilio il consueto accesso che aveva in casa sua; e per non lasciargli nè dubbii nè speranze, determinò di accasare la figliuola col ricco Camaccio, non piacendogli il partito di Basilio, perchè non possedeva tanti doni di fortuna quanti di cuore. Senza che la verità sia adombrata da invidia bisogna però confessare ch’egli è il più svelto giovane da noi conosciuto; gran lanciatore del palo, lottatore eccellente, bravo giuocatore di palla; corre come un daino, salta più di una capra, e traccia i rulli che è un incanto; canta come una calandra, tocca la chitarra in modo da farla parlare, e soprattutto maneggia la spada quanto ogni altro schermitore famoso. — Per questo titolo solo, disse don Chisciotte, meriterebbe un tal giovane di maritarsi non pure colla bella Chilteria, ma colla stessa regina Ginevra, se oggi vivesse, a dispetto di Lancilotto e di quanti ne lo volessero scompigliare. — Sì sì; e bisognerebbe dirlo a mia moglie, disse Sancio ch’era stato sempre tacendo e ascoltando, la quale non vuole che si facciano matrimonii disuguali, perchè si attiene al proverbio che dice: tal guaina tal coltello! Sarebbe stato opportuno che questo Basilio dabbene, cui io mi vo già affezionando, si maritasse con questa signora Chilteria; chè abbiano mille malanni coloro che si oppongono ai matrimonii tra le persone che si vogliono bene. — Se tutti quelli che si vogliono bene, disse don Chisciotte, si avessero a maritare, sarebbe tolta la elezione e il [p. 171modifica]diritto ai genitori; e se alle giovani si lasciasse libera la scelta degli sposi una si mariterebbe col servitore di casa, ed altra con quello che vedesse passare per la strada, e che avesse l’aria di albagioso e galante, fosse pur anche null’altro che uno sguaiato spadaccino. L’amore accieca facilmente gli occhi dell’intelletto, i più necessari per eleggere lo stato, ed è facile l’inciampare in quello del matrimonio che più degli altri ha bisogno di fino discernimento e di particolar favore del cielo perchè riesca in bene. Uno che imprenda lungo cammino, quando sia fornito di prudenza, cerca prima un sicuro e geniale compagno con cui accontarsi: e perchè non deesi regolare in tal modo chi ha da percorrere lo spazio dell’intera sua vita? e Unto più che la sua compagnia ha da essergli indivisibile in letto, alla mensa, da per tutto, com’è dovere della moglie rispetto al marito. Una moglie non è altrimenti mercatanzia che comperata una volta si restituisca, si ritorni o si cambii, ma dura sino alla morte: è un cappio che messo al collo una volta si tramuta nel nodo gordiano, il quale non si scioglie senza tagliarlo, ed inutile è ogni sforzo per isciorlo. Molte e maggiori cose potrei dire su questo argomento se non fosse il desiderio in cui sono di sapere se altro rimanga a dirci dal signor dottore intorno alla istoria di Basilio„. Lo studente o baccelliere o dottore, come lo chiamò don Chisciotte, rispose che altro non gli restava da soggiungere se non che Basilio dal momento in cui seppe che al ricco Camaccio si faceva sposa Chilteria, più non fu visto a ridere nè udito dir cosa a proposito: sempre mesto e pensieroso parla fra sè, e dà certi e chiari indizi di essere uscito di senno: poco mangia e poco dorme; le frutte sono il suo cibo, e la nuda terra, come se fosse un bruto, è il luogo dove dorme se però dorme; alza gli occhi al cielo di tanto in tanto, e talvolta li fissa in terra così stupido e assorto che giudicherebbesi statua se il vento non facesse svolazzare i panni del suo vestito: in fine dà tali segni di aver trafitto il cuore, che tutti noi temiamo pur troppo che il sì che dimani pronunzierà la bella Chilteria sarà la sentenza della sua morte. — Non vi saranno tanti malanni, disse Sancio, chè Dio manda il male e la medicina; nessuno sa quello che ha da essere; da qui a dimani passano molte ore; in un momento casca una casa; nello stesso dì piove e apparisce il sole; un tale va la sera a letto sano e di buona voglia, e ’l giorno dopo si può appena muovere. Favoriscano dirmi: vi è qui alcuno che vanti di avere posto un chiodo alla ruota della fortuna? no certamente, e fra ’l sì e ’l no di una donna non mi arrischierei di mettere una punta di ago perchè non ci capirebbe. S’egli è vero che Chilteria ama Basilio, io do a lui un sacco di buona ventura; [p. 172modifica]chè l’amore, per quanto ho sempre inteso dire, guarda con certi occhiali che fanno parere oro il rame, ricchezza la povertà, perle la cispa. — Dove, disse don Chisciotte, dove vai tu a parare, Sancio mio, che sei pur l’importuno quando cominci a sciorinare proverbi e ad infilzare sermoni? Dimmi per l’anima di Giuda, animalaccio vero e reale, e che sai tu di chiodi e di ruote della cieca Fortuna? — Oh se poi non m’intendono, rispose Sancio, non è maraviglia che le mie sentenze sieno tenute per ispropositi; ma non importa: m’intendo io, e so che non ho mica dette balordaggini in quello che ho proferito, e la signoria vostra, signor mio, non è altro che un eterno friscale delle mie parole e delle mie azioni. — Fiscale hai a dire, soggiunse don Chisciotte, e non friscale, guastatore del buon linguaggio che Dio ti confonda. — Non se la pigli con me, rispose Sancio, poichè ella sa bene che io non sono allevato alla corte, nè ho fatto i miei studii in Salamanca per sapere se io aggiunga o levi via qualche lettera ai miei vocaboli: non è poi conveniente che ella obblighi il Saiaguese a parlare come il Toledano, e potrebbe darsi che vi fossero dei Toledani mal parlatori. — La cosa passa così per lo appunto, disse il dottore, perchè non parlano a uno stesso modo quelli che si allevano tra i cuoiai e stanno in Toledo sulla piazza di Zoccodover, e quelli che passeggiano tuttogiorno pel chiostro del duomo; eppure sono tutti toledani. Il linguaggio puro, proprio, elegante e chiaro sta in bocca dei giudiziosi cortigiani, sebbene fossero nati in qualche contado; e dissi giudiziosi, perchè vi hanno molti che tali non sono. Il fino discernimento è la vera grammatica del buon linguaggio che si accompagna coll’uso: io, o signori, per mia ventura ne ho studiato i canoni in Salamanca, e mi do qualche vanto di spiegare il mio concetto con parole chiare, piane ed espressive. — Se vi deste vanto, disse allora l’altro scudiere, di saper così bene maneggiare la spada di scherma che portate con voi come il linguaggio, potreste, signor prosuntuoso, essere non so se più dottore o maestro. — Riflettete, signor Corcuelo, rispose il dottore, che siete nella più erronea e falsa opinione intorno alla destrezza della spada, se voi la credete un esercizio da non farne alcun conto. — Per me non è erronea opinione, ma verità dimostrata, replicò l’altro; e se volete ch’io ve lo provi col fatto, avete delle spade, ed io ho opportunità di farlo; e vi aggiungo che non mi mancano nè polso nè forza, non disgiunti dal coraggio per astringervi a confessare ch’io non vado errato altramente; smontate e servitevi del compasso dei vostri piedi, dei vostri circoli, dei vostri angoli e della vostra scienza, ch’io ho speranza di farvi vedere le stelle di bel mezzogiorno; e mercè la mia [p. 173modifica]lestezza moderna e la mia scuola, confido che non sia ancora nato un uomo che mi astringa a voltare le spalle, anzi che non sia da me costretto a fuggire. — Io non so di voltare o no le spalle, replicò l’addottrinato, tuttochè addivenire potrebbe che dove per la prima volta conficcaste il piede vi attendesse la sepoltura, e voglio dire che voi restaste morto senza bisogno di tante lestezze e di tante scuole moderne. — Ora si vedrà, rispose Corcuelo: e smontato dal suo giumento, cavò fuora con furia una di quelle spade che il maestro portava sul suo. — La cosa non deve andare di questo modo, disse don Chisciotte a tal punto; chè io voglio esser il maestro di questa scherma e il giudice di questa molte volte agitata e non mai decisa quistione„. Smontato da Ronzinante, e presa la lancia, si pose in mezzo alla strada quando già il dottore con bella positura di corpo e con passo composto se ne andava ad incontrare Corcuelo, il quale veniva alla volta sua gettando, come suol dirsi, fuoco dagli occhi. Gli altri due contadini della compagnia, senza smontare dalle asine, servirono di spettatori alla mortale tragedia. Le coltellate, le stoccate, i soprammani, i rovesci e le imbroccate che tirava Corcuelo erano senza numero; più spesse che nebbia, più minute che gragnuola. Assaliva come un attizzato leone, ma gli usciva all’incontro una stoccata coi bottone della spada del [p. 174modifica]maestro che lo tratteneva nel bel mezzo della sua furia, e gli faceva baciare la spada come se stata fosse una reliquia, benchè con non eguale divozione. Finalmente il maestro gli contò colle stoccate tutti i bottoni di una mezza sottana che aveva indosso, facendo mille strisce della sua falda; gli fece cadere a terra due volte il cappello, e lo straccò di maniera che per la rabbia, il dispetto e la furia, prese la spada per l’impugnatura, e la gettò in aria con tanta forza che uno dei contadini assistenti, il quale era scrivano, e che andò per essa, fece poi testimonianza che trovossi di là discosta quasi tre quarti di lega: testimonio che servì e serve a provare senza contrasto che la forza è superata dall’arte. Stanco si mise a sedere Corcuelo, ed essendosegli avvicinato Sancio, gli disse: — In verità, signor baccelliere, che se la signoria vostra prende il mio consiglio, da qua in avanti non isfiderà più alcuno alla scherma, ma piuttosto alla lotta od a lisciare il palo: bisogna lasciare il mestiere a chi lo sa fare, nè è da intrigarsi con ischermitori tanto lesti e tanto pronti che t’infilzano colla punta della spada la cruna di un ago. — Mi contento, disse Corcuelo, di essere uscito d’inganno, e che l’esperienza mi abbia fatto conoscere una verità ch’era da me troppo rimota„. Alzatosi allora abbracciò il dottore, e rimasero più amici di prima, nè vollero attendere lo scrivano il quale era andato in cerca della spada, sembrando loro che tardato avrebbe soverchiamente. Stabilirono intanto di seguitar il cammino per non arrivare di notte al paese di Chilteria, patria di tutta quella gente. Durante il resto del viaggio provò il dottore l’eccellenza della spada con ragioni di sì grande evidenza e con tante figure e dimostrazioni matematiche, che tutti ne rimasero convinti, e Corcuelo si pentì della sua ostinazione.
Sopraggiunta era la notte, e nell’avvicinarsi sembrò a tutti che di sopra alla loro testa stesse un cielo seminato d’innumerevoli e risplendenti stelle. Udirono similmente confusi e soavi suoni di varii strumenti, come di flauti, tamburi, salterii, timpani, cimbali e sonagliuzzi. Giunti più da vicino videro che gli alberi di un frascato [p. 175modifica]piantato a mano all’ingresso del paese, erano tutti ricchi di lumi, i quali erano mossi ma non già spenti da un lieve soffio di vento. I musici erano i rallegratori delle nozze, che in diversi carri se ne andavano per quel luogo piacevole, altri danzando, altri cantando, ed altri toccando i diversi già accennati strumenti. In effetto scorgeasi assai chiaramente che la letizia e la gioia regnavano insieme in quel prato. Si occupavano molti nell’erigere palchi dai quali nel dì susseguente potessero con agio godersi le rappresentazioni e le danze, che seguir doveano in quel luogo dedicato a solennizzare le belle nozze del ricco Camaccio e le meste esequie di Basilio. Non volle don Chisciotte entrare nel paese, benchè caldamente ne lo pregassero il contadino ed il baccelliere; ma per iscusarsene al parer suo sufficientemente, mise in campo la costumanza dei cavalieri erranti di dormire per le campagne e per le foreste piuttostochè nei luoghi popolosi, quand’anche fosse loro offerto l’asilo sotto tetti dorati. Per tale cagione si appartò alquanto dal cammino, e ciò contro la volontà di Sancio cui tornava a memoria il felice soggiorno da lui tenuto nel castello o piuttosto nella casa di don Diego.
Note
↑Allude a certe danze (danzas de espadas; danzas de cascabel menudo; zapatendores) usate allora dagli Spagnuoli.