Dolorosa doglienza in dir m'adduce

Pannuccio dal Bagno Pisano

Guido Zaccagnini/Amos Parducci XIII secolo Indice:Rimatori siculo-toscani del Dugento.djvu Duecento Dolorosa doglienza in dir m’adduce Intestazione 16 luglio 2020 25% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Rimatori siculo-toscani del Dugento
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VIII

Vorrebbe trovar rimedio contro le pene d'amore, ma non sa come.

Dolorosa doglienza in dir m’adduce,
non potendo celar, tacendo, ’l core:
tanto m’avanza ognor pen’e dolore
che pregio men che nente vita u’ regno.
Considerando, lasso!, son ritegno
d’ogni languire, avendo mia vita agra
e di ciascun plager lontana e magra,
avendo di vertù perduta luce.
Poi del mio cor disio metter soffersi
o in seguitar, perdendo ragion vera,
e sommettendo arbitro ’ve non era,
ciò è servaggio di natura umana,
u’ non guardai avendo mente sana;
ma or somiso aver non vorea dico,

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15che d’allegrezze, di gioi’ son mendico,
ritegno di dolor fonte diversi.
Disnaturando natura, seguendo
di sottometter voglia ’altrui ’n servaggio,
che chiar conosco che l’uman lignaggio
20d’aver fugge signor naturalmente,
ma diviso da ciò diversamente,
regnando in me avendo gran diletto
d’essere servo di cui son soggetto,
in seguitare affanno sostenendo.
25E poi congiunsi mevi a tal desire,
non mai d’intenzion tal fei partenza,
ma misi ’ngegno a ciò e tutta potenza
e d’altro in me poder già non ritenni
che sol servendo u’ manco lei non venni,
30e che i fosse piager fece mostranza,
siccome quasi me parv’accordanza,
und’alquanto mi fé’ gioia sentire.
Dimorando piager tal quasi un’ora,
se più non manto fu, se bene e’ membro,
35presente a ciò sua vista mevi sembrò
più che dir non porla, crudele e fera,
e visai la sua voglia ch’era intera
di darmi pene, u’ son, si dolorose
che sostenerle alcun tanto gravose
40parva in vita serea sua dimora.
Ed avanzando in me più ’l dolor monta
e quasi dico nente ver’ch’io celo,
che corpo alcun, non credo, è sotto ’l celo
che regni ’n vita, un’or’vi dimorasse
45e che senza dimora noi’ fallasse;
ma per penare più vit’ho languendo
e soccorso di scampo non attendo,
poi non d’aver per me mai ben si conta.
Se, com’eo dico, u’ più mi stringe pena
50di tal cagione, più deggio dolere.

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poi veggio e sento che nel me’ podere
non si riten di ciò che dipart’omo,
ciò è ragion da fera: o lasso! como
ne son diviso e tralassato intero,
55e seguitando voler tanto fero,
quale tuttor seguir mi’ alma pena!
Per che mia vita, dico, è più ferale
che d’animale alcun, perché natura
segue, ma pure in me tanto ismisura
60che fuggo e lasso lei, seguendo ’l contra.
E d’aver signoria non già fui contra,
somettendoli arbitro e mia franchezza;
unde, più ch’aggio ditto, in me gravezza
di greve pene agiunt’anche ogne male.
65Poiché mi sembra e che ’l conosco fallo,
perché non, lasso, in ciò, rimedio prendo?
E no m’ofender più ove m’ofendo,
partir mia voglia di tal signoria?
Dico che ’n farlo in me non ho bailia,
70poich’a ciò falso plager mi congiunse,
che d’anima e da cor vertù digiunse
e ciascuna potenza senza fallo:
perché ’mpossibil m’è farne partenza,
che ’l mio volere a ciò è sottoposto,
75e di maniera tale son disposto
che d’alcun qualsia bene i’ non ho segno:
e conosco a ragion di ciò son degno.
Ma non mi dol però meno ’l tormento
ch’eo doloroso pur languisco e sento
80e che porti conven cor di doglienza.
Provato folle, me dico, simiglia
chi segue ’l suo dannaggio e ha ’l prò contra:
e ’n me quel che contat’ho sovra ’ncontra,
perch ’alcun sia più ch’eo folle non credo,
85poich’eo non presi, allor potea, rimedo,
e di quel ch’ora seguo maggiormente

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poi son disposto tanto malamente,
che s’alcuno, com’i’.è gran meraviglia.
Meo cordoglio e lamento, ora te move
90e te presenta avante a cui ti mando
e cerne ’i meo dolor tutto nomando,
non voglia contar lui el mio tormento
e di’ che sguardi ben s’a ragion sento
e corregga tuo fallo e comendi ove

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