Discorsi politici (Guicciardini)/XIV. - Sullo stesso argomento. In contrario

XIV. - Sullo stesso argomento. In contrario

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XIV. - Sullo stesso argomento. In contrario
XIII. - Ragioni che consigliano a Clemente VII di accordarsi con Carlo V XV. - Giustificazione della politica di Clemente VII

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XIV

[Sullo stesso argomento.]

In contrario.


È superfluo parlare delle cose passate, Beatissimo Padre, perché è fuora di tempo; e se pure se n’avessi a parlare non meriterebbe essere ripresa Vostra Santitá di non essere stata neutrale, ma piú presto di non avere fatto scopertamente ogni opera perché e’ franzesi pigliassino Milano; e di manco passione sarebbe da essere giudicato chi confortava questo, perché le cose di Italia restassino contrapesate, che chi consigliava el favorire la grandezza di Cesare, la quale porta seco la servitú degli altri. Ma pretermettendo el parlare di questo perché è tardi, dico che se negli andamenti passati Vostra Santitá non ha veduto quanto bisognava, o se come io credo e lo saprei giustificare facilmente, è mancata al consiglio di quella piú la fortuna che el giudicio, e se però le cose di Cesare ne sono venute in tanta riputazione ed esaltate insino al cielo, non debbe però Vostra Santitá perdersi di animo, né spaventarsi per avere errato, o per avere avuto poca fortuna, perché lo abandonarsi non servirebbe a altro che, con notarsi di eterna infamia, augumentare e’ suoi mali e pericoli, e’ quali quanto sono maggiori tanto bisogna maggiore vigore e generositá.

Non è quella el primo principe che in partiti ardui non abbia bene eletto; anzi interviene spesso a tutti gli altri, perché gli uomini non sono dii, ed el futuro è incertissimo; non è quella il primo principe che sia venuto in avversitá, di poi [p. 179 modifica]con l’aiuto di Dio e di quello che s’ha fatto da sé medesimo, abbia ridotto in buono termine le cose sue, e quella fortuna che da principio se gli mostrava inimica, gli sia tornata prospera e serena. Anzi è proprio della navicella di santo Piero essere combattuta dall’onde e da’ venti, ed alla fine avere non solo el mare pacato ma etiam obedientissimo. Però quella con buono e gagliardo animo si sforzi contro alle difficultá in che si truova, e francamente abbracci quegli rimedi che ci sono, togliendoli sicuri se gli può avere; se non, non gli lasciando ancora che siano dubii e pericolosi: perché è manco male fare provisione difficili e con pericolo, che lasciarsi perire al certo.

Ha detto bene lo arcivescovo che nessuno può essere chiaro come Cesare si abbia a portare con Vostra Santitá in caso che venga personalmente in Italia o stabilisca in altro modo le cose sue di qua, perché essendo articulo che dependerá dalla voluntá di lui solo, non si può avere certezza alcuna che gli abbia o ará nello animo. Pure a me pare che sanza comparazione siano piú e piú potente le ragione che portano dubio, che quelle che portano speranza. È naturale de’ príncipi, come anche fanno gli uomini privati nello essere suo, cercare sempre di augumentare la sua grandezza; e quanto sono maggiori tanto piú desiderano conducersi a quelli gradi suppremi, e tanto piú pare che se gli convenga, ed ordinariamente avendo per obietto questo, tengono poco conto di ogni altra cosa, e fanno uno piano di tutti gli altri rispetti.

Però se io temo che Cesare, quale io veggo che pretende al dominio di Italia, anzi forse alla monarchia de’ cristiani, e che non contento in Italia del regno di Napoli, ha ora occupato lo stato di Milano, abbia a volere farsi signore di Firenze, farsi padrone di Roma e di tanto stato che tiene la Chiesa, e comandare a tutti con assoluta autoritá, mi pare temerne piú ragionevolmente che non fanno coloro che si assicurano del contrario, perché el timore mio è fondato ed in sugli andamenti suoi particulari, ed in sugli appetiti universali di tutti e’ príncipi. [p. 180 modifica]

La sicurtá di questi altri non so che altro fondamento abbia che la voluntá, e questa ragione sola, quando non ci fussino le altre che io dirò apresso, basta a tenere Vostra Santitá in diffidenzia grandissima; ma ci sono di piú le altre. Noi abbiamo veduto che come Vostra Santitá si discostò dalle contribuzione e si ridusse alla neutralitá, quanto mala satisfazione n’ebbono questi ministri suoi, e le parole insolente che usò el viceré, perché quella non volse aiutargli nella impresa di Provenza; perché giá gli pareva debito che l’avessi a essere non compagno loro ma ministro, ed aiutargli non manco nelle imprese che erano solo per la grandezza loro, come aveva fatto in quelle che tendevano a commune beneficio. Sa poi quanto restorono male satisfatti dello apuntamento che fece col re di Francia, quando era sotto Pavia, ancora che non avessi altre obligazione che di neutralitá; perché ogni volta che Vostra Santitá non ha voluto spendere e pigliare la guerra per loro, l’hanno ricevuta per ingiuria, come quelli che giá si erano presupposti che la Chiesa avessi a servire debitamente allo imperadore.

Se adunche innanzi che avessino vinto, e gli paressi che el mondo ragionevolmente fussi loro, pigliavano per offesa la neutralitá, come pensa Vostra Santitá che siano disposti con quella, sapendo le pratiche che ha tenuto per cacciargli di Italia, da poi che ebbono condotto el re in Spagna? Le quali se bene si possono escusare essere nate per e’ cattivi modi che hanno tenuto con quella, questo bastrebbe innanzi a uno giusto giudice, ma apresso a chi gli pare ragionevole che ognuno faccia a suo modo, e che con pazienzia si lasci disporre de’ danari e stati suoi come viene loro bene, non è ammessa ragione alcuna; anzi cosí gravemente offende quello che ricevendo le bastonate non ringrazia, come quello che non provocato se gli oppone.

Ha posto Cesare la mira sua ed e’ fini suoi, e giusti o ingiusti che siano, bisogna che abbia per inimico e desideri la ruina di ognuno che cerchi disturbare e’ suoi disegni; il che avendo fatto Vostra Santitá, e nel modo che ha fatto, [p. 181 modifica]erra assai qualunque presuppone che non gli sia inimicissimo; la quale inimicizia se a lui venissi bene occultarla o dimetterla, come direno di sotto, ci resta el sospetto, che non gli può lasciare usare questa o prudenzia o bontá che la sia. Giá è chiaro che la grandezza sua dispiace a Vostra Santitá e che l’ha cercato di batterlo, in modo che conviene sia impresso che ogni volta che quella vedessi la occasione, gli sarebbe contraria. Né a questo si può trovare mezzo di sicurtá, perché la gelosia è troppo naturale negli stati; né la sicurtá che da’ portamenti suoi potrete avere voi, dará sicurtá a lui, come ha detto l’arcivescovo, anzi saprá che el sospetto che lui ha, tiene di necessitá in sospetto Vostra Santitá, ed el sospetto di quella multiplica el sospetto suo; e’ quali sospetti non si possono medicare se non dal canto di colui che resterá in grado che l’altro non abbia facultá di offenderlo. Adunche quando la ambizione cessassi, quando la indignazione non ci fussi, el sospetto lo sforza a pensare di assicurarsi, ed assicurare non si può se non vi deprime; deprimendo Vostra Santitá, la fa al tutto sua inimicissima, e però mettendovi mano è necessitato o ruinarla totalmente, o abassarla tanto che la resti poco manco che ruinata.

Le quali ragione doverrebbono essere capace a chi non avessi veduto segno alcuno; ma a chi ha tocco con mano, come ha fatto Vostra Santitá, non bisognano anche altre ragione a fargliene credere. La capitulazione fatta doppo la giornata di Pavia, ancora che fussi in grande beneficio suo, perché gli assicurò quella vittoria e fu la scala di conducere el re in Spagna, ancora che da Vostra Santitá fussi osservata cumulatissimamente, ed aggiunto, oltre alle obligazione de’ capituli, tutte le demonstrazione che lui ed e’ suoi seppono desiderare, ancora che la non usassi mai né in fatti né in parole cenno alcuno che gli potessi dispiacere; nondimeno dal canto suo è stata sprezzata in ogni parte, e non solo mancato degli effetti, ma usati termini pieni di contempto e di delusione. Nel pagamento grosso de’ danari vi furono contro a ogni onestá intercetti trentamila ducati; caricato di soldati [p. 182 modifica]el paese della Chiesa donde avevano promesso diloggiare; condotto doppo molte irrisione el legato a Pizzighetone, sotto speranza di ordinare la restituzione di Reggio e Rubiera a che erano obligati, e di poi licenziatolo con manifesto ludibrio; ed intratanto fatto promesse contrarie al duca di Ferrara e mostrato desiderio di capitulare seco e pigliare la sua protezione. Mille altre pratiche sono passate piene di contempto, di fraude, di inganni, come sa Vostra Santitá, non per altro che per dispiacere loro la sua grandezza, la sua autoritá, per tenergli aperte queste piaghe acciò che la sia debile, la sia enervata, e stia a discrezione loro; perché o desiderano torgli lo stato suo, o l’hanno in odio, o la temono.

Né mi sia detto che questi modi sono nati da’ ministri suoi contro alla voluntá di Cesare, perché se fussi uno fatto momentaneo che non aspettassi consulta o approvazione di lá, si potrebbe credere; ma in uno fatto successivo di tanti mesi ed in una cosa di tanta importanza, è scusa troppo ridicula dire che e’ suoi capitani hanno fatto contro alla voluntá sua, massime che chi non è cieco ha potuto vedere, che se bene dalla corte sono venute parole diverse, tamen che in quanto agli effetti el modo di procedere è stato el medesimo, e nelle speranze che hanno dato al duca di Ferrara ed in ogni altro accidente. Però per gli andamenti de’ ministri Vostra Santitá può essere certa dello animo del padrone, ed aspettare da lui, se verrá in Italia o si stabilirá altrimenti, la medesima disposizione, ma gli effetti tanto peggiori quanto sará maggiore la facultá di offendere.

Né si assicuri Vostra Santitá in sulle ragione che dice lo arcivescovo della sua buona natura, della professione che fa di procedere iustificatamente, dello essere poco guadagno el ruinare Vostra Santitá; perché della bontá sua io non voglio parlare, non sendo conveniente parlare di uno tanto principe altro che con somma reverenzia, né voglio dire che la grandezza non sta troppo bene con la conscienzia, e che ogni principe può piú facilmente essere buono principe che buono uomo. Ma Vostra Santitá che è allevata negli stati e ne’ [p. 183 modifica]maneggi grandi, ed ha veduto molte cose presenti, e lette ed udite molte delle passate, sa quanto è difficile frenare lo appetito di crescere la sua grandezza, e quanto sarebbe larga questa materia a chi volessi contradire; perché sono occulti e’ cuori degli uomini, e spesso profonde le simulazione, in modo che facilmente si inganna chi fonda el suo giudicio in sulle parole e cose estrinseche; ed in questo, come è notissimo, sono superate tutte le altre nazione cristiane dagli spagnuoli, che non sono altro che arte e simulazione; e’ costumi de’ quali che abbia preso in qualche parte uno principe che è tra loro io non lo dico, perché in veritá non lo so, ma non sarebbe grande maraviglia. Né è da arguire che insino a ora abbia fatto professione di procedere iustificatamente, che se bene fussi vero, il che per la medesima ragione non voglio disputare, chi lo fa per simulazione lascia communemente queste arte da canto, quando se gli appresenta uno tratto grosso che si può tirare, ma cavandosi la maschera; perché conseguendo uno de’ fini per e’ quali ha usato le simulazione, gli pare minore fatica el porla da canto; ed in proposito el premio di assicurarsi in questi tempi di uno pontefice è sí grande, che se Cesare per farlo uscirá del passo suo non sará maraviglia.

Io non stimerei tanto che si movessi per la cupiditá di tôrre le terre della Chiesa, benché anche questo non sia poco guadagno, quanto per essere sicuro che la potenzia di uno papa non lo possi offendere, anzi avere uno papa di sorte che lui possa fidarsene e valersene; il che potria fare non giá giustamente, ma in modo che non gli manchi qualche colore di iustificazione, sotto nome di uno concilio di reformazione della Chiesa, a che potrebbe fare concorrere tante provincie che si potria quasi chiamare concilio universale. Gli effetti de’ quali quando cominciano con questi modi, sono deposizione di pontefici; o dove sia grande uno imperadore, possono essere abassare tanto la autoritá de’ papi che non restino piú formidolosi. E pigliando queste vie satisfará alla utilitá sua, allo odio che avessi con Vostra Santitá; ará colore [p. 184 modifica]di iustificazione, e forse, perché gli uomini sono facili a ingannare le loro conscienzie massime in quello che gli torna bene, gli parrá non fare cosa che non sia lecita e laudabile.

Non sará questa ambizione o pensiero nuovo in Cesare, perché sempre chi è stato grande ha desiderato unire alla potenzia temporale la autoritá spirituale. Chi in Roma era Cesare era anche pontefice massimo; e’ re di Ierusalem osservorono questo medesimo; alla etá nostra Massimiano, avo di questo, poi che restò vedovo, ebbe tra le altre sue chimere questa di pensare al papato; gli imperadori cristiani antichi, quando erano grandi, perché secondo le legge nostre non erano capaci di essere pontefici, volevano non si potessino eleggere sanza loro ed avergli a suo beneplacito. Che ci maravigliereno se uno pensiero simile nascerá in Cesare presente, quale veggiamo che per le pedate degli altri grandi tende al cammino della monarchia?

Le cose del mondo hanno questa condizione o vogliáno dire circulo: che sempre quello che è, ha similitudine col passato, e quello che sará, sará simile a quello che è stato. È diverso nelle superficie e ne’ colori, ma simile nelli intrinsechi e sustanzialitá; però non si può errare a misurare questo con la misura di quello, ed a temere che e’ príncipi presenti abbino di quelle medesime ambizioni e fini ed arte, che hanno avuto e’ passati; e se noi veggiamo tuttodí e’ pontefici avere appetito alle signorie temporali, che ci maravigliamo che uno imperadore abbia inclinazione alla autoritá spirituale? E quando abbia questo intento, la ragione vuole che non differisca doppo le imprese de’ viniziani e di Francia, perché, come ha detto lo arcivescovo, hanno tempo e potrebbono portare molti accidenti, che non gli sarebbe sicuro lasciarsi drieto uno papa potente e sospettissimo. E però innanzi entri in maggiori pelaghi è conveniente faccia questo, e vadia prima con destrezza smaltendo le cose di Italia che, non avendo ancora digestite queste, si metta nuovi cibi in sullo stomaco. Non sono costoro franzesi che procedono con appetito e con furia; è questa nazione attissima a conservare gli imperi, perché gli sa fondare [p. 185 modifica]ed assicurare bene; e però considerando e la ragione e la consuetudine sua, abbiamo a credere che se non aranno opposizione subito che lo imperadore passi in Italia, o non passando, come aranno avuto el castello di Milano, metteranno mano a assicurarsi, secondo la occasione, in tutto o in parte di Vostra Santitá.

Ma consentiamo, sanza alterare però la veritá, che la buona natura di Cesare vi assicuri che lui sia per osservare le capitulazione e per portarsi bene con Vostra Santitá; non resterá ella in ogni caso, se lui prevale in Italia, sanza riputazione, sanza autoritá, sanza degnitá e maiestá alcuna di principe? Hanno e’ predecessori vostri dato le legge agli imperadori, el moto a tutte le cose del mondo; Vostra Santitá, quando era cardinale, era si può dire adorata da grandissimi re: ognuno faceva a gara di guadagnarla; ora, pontefice, ará a stare a discrezione dello imperadore, a cercare di satisfare non solo a lui, ma di essere grata a e’ suoi; saprá ognuno che la dependerá da quello, però resterá sanza riputazione, sanza credito. Se e’ príncipi seculari fussino buoni e moderati, io confesserei che uno pontefice arebbe minore causa di curarsi della temporalitá, perché assai sarebbono grande le sue iurisdizione, se gli fussino conservate illese; ma chi non sa quanto sia esposto alle ingiurie uno papa che non sia armato e temuto? quanto si stimino poco le sue censure ed arme che non tagliano, e quanto lo spirituale e lo ecclesiastico, se la potenzia del papa non lo fa riguardare, sia in preda di ognuno? Dunche non potete conservare la autoritá del papa, se non conservate quella del principe; e quella del principe resta annichilata, come ha a ricognoscere l’essere suo dalla discrezione di uno maggiore, come ha a dependere da’ cenni suoi. La sustanzialitá del principe, l’anima del principato è el comandare; però, come ha a obedire, ancora che abbia el nome del principe, e’ vestimenti e le immagine del principato, è in fatto ogni altra cosa che principe.

Truovasi apresso gli scrittori essere stato parola de’ savi antichi, e se bene ho in memoria uno ricordo dato a Giove, [p. 186 modifica]che fuggissi non manco che la morte el ridursi in luogo d’avere a raccomandarsi a altri. Però vegga Vostra Santitá che bene gli promette, che luogo gli lascia tra’ príncipi, che gli dá speranza di buona compagnia da Cesare, chi la conforta a metterli el capo in grembo; che non vuole dire altro che spogliarsi di non essere piú principe, che ridursi per paura di male in uno grado che a ogni uomo generoso e virile non è niente piú leggiere che la morte. Non è questo temporeggiarsi ma ruinarsi, non conservarsi vivo, ma morire con eterna infamia; perché tanto si dice vivere el principe, quanto conserva la maiestá sua ed el grado di principe: perduto quello, è piú che morto, piú che sotterrato. Però io ardirò di dire che Vostra Santitá non solo debbe pigliare la impresa di conservare el suo principato, quando la fussi piena di molti pericoli, ma etiam quando fussi quasi desperata; di che parlerò di sotto, esaminato che areno prima, quanto el fare questa lega sia pericoloso, o quanta speranza ci sia di buono fine.

Io non negherò che lo esercito che Cesare ha in Italia, e quello che facilmente potrá ingrossare di lanzichenech, sia esercito gagliardo di capitani e di buone fanterie, e di riputazione grande per tante vittorie e tanta fortuna, e che lui abbia oggi modo di danari per el parentado di Portogallo, di che soleva per el passato essere debole, e che per questi rispetti e per le terre forte che hanno in Lombardia, la impresa di cacciargli dello stato di Milano sia dubia, difficile e pericolosa; ma non consentirò giá che la sia desperata, e che dalla parte di Cesare non siano molte difficultá e pericoli a mantenersi.

E lasciate da canto le ragione generale che sono: che gli effetti delle guerre sono dubii; che spesso la vittoria è da chi pareva inferiore; che molte volte uno piccolo accidente, uno piccolo caso fa variazione ed effetti di momento grandissimo; che nessuno ha la fortuna in potestá, e che chi la ha avuto lungamente propizia e serena, non solo non si può promettere che l’abbia a continuare, ma ancora ha da temere piú che gli altri della mutazione di quella, e tanto piú quanto piú eccessivamente è stata favorevole, perché el solito suo è sempre [p. 187 modifica]stato ed è e sará di essere incerta, inconstante ed instabile; lasciate, dico, da canto queste ragione generale ed altre simili che si possono allegare, io confesso che gli inimici hanno buoni capi e buona gente, ma non però tali che si debbino temere tanto che si abbia a abbandonare loro lo imperio del mondo sanza opporsegli. Non sono altro che uomini; e chi considera e’ loro progressi diligentemente, cognoscerá che hanno vinto piú forse per mala fortuna ed imprudenzia degli inimici che per propria virtú; e se per virtú, non è però stata sí rara e sí mirabile che gli altri abbino a disperarsi di potervi aggiugnere. Le pruove loro sono state fatte in Italia non con altri che contro a’ franzesi, la imprudenzia de’ quali, el disordine e la impazienzia è si nota, che è superfluo el parlarne; e manco è maraviglia che siano stati vinti, perché tutto consiste in sapere sostenere quello loro furioso ed inconsulto impeto, nel principio del quale non sono giá piú che uomini, ma doppo quello sono forse manco che donne.

La impresa ultima di Italia non l’hanno perduta e’ franzesi se non per loro malo governo, avendo perduto tanto tempo ed opportunitá con tanta ignavia intorno a Pavia, sanza mai stringerla di altro che di . . . 1, e di poi usciti gli imperiali in campagna, risolutosi, ancora che avessino diminuito molto lo esercito ed inferiori di numero di fanteria agli inimici, di aspettarli in uno alloggiamento pericolosissimo. La vittoria prima di Milano, della quale fu capo Vostra Santitá, quella sa se fu piú fortuna che virtú, e se al principio di impresa facile diventò per la freddezza de’ cesarei in modo difficile e pericolosa, che molte volte e’ franzesi si trovorono con avantaggio. Non voglio discorrere la giornata di Ravenna, e le cose del Garigliano particularmente; ma la conclusione è che chi gli propone sopra gli altri uomini e gli battezza invincibili, si lascia menare piú al grido che alla ragione. [p. 188 modifica]

El grosso del campo loro saranno fanti lanzichenech, all’incontro de’ quali saranno svizzeri, che in fatto di disposizione, di ordinanza, di animo e di esperienzia in sulle guerre sono una medesima cosa che loro, né mai sono soliti a fuggirgli; e se nella giornata di Pavia si sono portati male, piú presto per disposizione de’ cieli o per malo ordine de’ franzesi, che per altra cagione, questo mi accresce la speranza che abbino ora a portarsi bene, e come hanno fatto in tante giornate in Italia; non solo perché si tratta dello stato loro, sendo la grandezza di Cesare la sua ruina, ma etiam per desiderio di scancellare questa ultima ignominia, e ricuperare la sua antica riputazione. È in effetto verissimo e’ nostri svizzeri essere di virtú almanco equali a’ lanzichenechi; gli spagnuoli che sono tanto temuti non sono piú che tre o quattromila fanti al piú, e se multiplicheranno, saranno uomini nuovi e che non aranno quelle qualitá che mettono tanto spavento; contro a’ quali una fanteria italiana di quattro o seimila uomini scelti, munita bene di scoppietteria ed archibusi, guidata da uno signore Giovanni, combatterá valorosamente, e messa in sulla concorrenzia degli spagnuoli, non ará manco desiderio di vincere, né manco obietto della gloria militare e de l’onore della nazione, che s’abbino loro, né manco saranno uomini a ogni cosa che siano eglino. Quando è accaduto combattere italiani particulari con spagnuoli, e che hanno combattuto la gloria della nazione, n’hanno fatto dimostrazione; ed in ogni luogo dove persone scelte, cioè che stimino l’onore del suo mestiere, saranno bene guidate, faranno el medesimo. Di gente d’arme non aranno vantaggio a noi, né anche a iudicio mio di capitani, ne’ quali confido tanto piú, perché oltre allo stimulo della riputazione e gloria delle arme, ciascuno de’ nominati dallo arcivescovo giucherá lo stato suo.

La quale ragione fa che Vostra Santitá si potrá fidare di loro perché hanno el medesimo interesse, anzi necessitá; e lo essere gli spagnuoli notissimi oramai in Italia di fraude e di infidelitá, è el maggiore freno che si possa avere che nessuno de’ collegati italiani, per migliorare le sue condizione, non [p. 189 modifica]cerchi di accordarsi separatamente con loro. De’ capitani cesarei che hanno la pratica di Italia, se manca el Pescara la salute del quale si intende essere disperata, nessuno da Alarcone in fuora è pure in mediocre estimazione apresso a quello esercito; ed a lui mancano molte di quelle parte che sogliono notarsi ne’ grandi capitani. Però se noi vogliamo avere paura solo delle sustanzialitá e degli effetti, e non de’ nomi ed opinione vane, io non so perché questa lega s’abbia a diffidare di potere fare uno esercito da metterlo a riscontro di costoro.

Non so giá rendere conto ora se la guerra s’ará a fare con impeto o con dilazione, se la giornata s’ará a fuggire, a cercare o aspettare, perché questi partiti s’aranno a pigliare in sul fatto; e se gli inimici abandoneranno la campagna, questo esercito potrá campeggiare le terre forse con piú virtú che non feciono e’ franzesi; e se si ristrigneranno in Lodi, Pavia ed Alessandria, non sará poco principio cavargli el primo di Milano e di Cremona; se le vorranno tenere tutte sará per loro troppo peso, massime che oggidí, come ognuno sa, hanno e’ popoli inimicissimi, el favore de’ quali nella prima impresa spaventò e’ franzesi in modo, che vilmente si lasciorono tôrre Milano, e di poi è stato el principale instrumento con che e’ cesarei hanno difeso tante volte quello stato. Allora per avere e’ viniziani amici o neutrali, e Mantova a suo piacimento, era facile el transito a’ lanzichenechi; ora per avergli contrari, se lasciono Cremona e Milano, potrebbe facilmente difficultarsi questo soccorso.

Se usciranno in campagna e lo esercito nostro sia della qualitá che io dico, potrá, se sará per altro in proposito, non fuggire la giornata; se sará bene non farla, avendo el ridosso di buone terre e facultá di fortificare gli alloggiamenti, potrá facilmente discostarsene sanza pericolo, sendo oramai imparate da ognuno le arte del signor Prospero. Ed ancora che Cesare abbia danari del parentado di Portogallo, saranno piú danari sanza comparazione quelli della lega, e da durare piú lungamente el temporeggiare; tanto piú che gittandosi el fuoco disegnato nel regno di Napoli, se Cesare non vi fará provisione, [p. 190 modifica]potrá fare tale incendio che metterá in troppo disfavore le cose sue, e cominciando a ruinare da uno canto, si tireranno drieto la ruina dall’altro. E’ popoli del reame non possono essere peggio contenti: e’ signori inquieti e cupidissimi per molti rispetti di cose nuove; el regno sanza arme, sanza governo; non ci sará la persona del re di Francia, ci sará el nome franzese, la speranza di uno re particulare che abbia a risedere quivi, cosa sopra modo desiderata da tutti, ci sará la riputazione del papa, de’ viniziani e di tutta Italia: fondamenti da fare maggiore moto in uno regno facile a turbarsi per minore vento.

Alle quali cose se Cesare vorrá provedere, non potrá farlo sanza tempo, difficultá e spese grandissime; e male potrá sostenere a Napoli, che non abbandoni o raffreddi assai le provisione in Lombardia. La guerra apre alla giornata di molte occasione, ed a chi è assaltato gagliardamente scuopre molti impedimenti che da principio non si possono giudicare; de’ quali se bene non si ha certezza, non si ha anche certezza di molti pericoli che sono stati considerati in contrario; e’ quali tutti mettere a entrata è cosa troppo timida e troppo passionata. Gli uomini che per non cognoscere le difficultá ed e’ pericoli, giudicano facile le imprese difficile, sono imprudenti, né hanno nome di animosi ma di bestiali, perché animoso è quello che vede e’ pericoli ma non gli teme piú che si convenga; e questa è la differenzia tra due savi, de’ quali l’uno è animoso, l’altro è timido: che l’uno e l’altro prevede e’ pericoli, ma el timido mette per certi quelli che sono dubii, e gli pare giá vedere in atto tutti quelli che considera che possono accadere; lo animoso cognosce e’ medesimi pericoli, ma sapendo che non sempre succede quello che è pericoloso di potere succedere (perché molti ne sono repulsi dalla forza, assai schifati dalla industria e prudenzia degli uomini, da alcuni ne libera qualche volta el caso e la fortuna per sé stessa), nel pigliare le deliberazione non presuppone tutti e’ pericoli per certi, anzi ne abatte quella parte che gli pare che con qualche speranza si possa abattere. [p. 191 modifica]

Con la quale misura se Vostra Santitá misurerá e’ fondamenti di questa impresa, sono certissimo non la troverrá sí desperata, né sí imprudente; anzi avendo el favore de’ populi, piú danari e modo a mettere e mantenere piú forze insieme, la causa (se questo importa) piú giusta, cioè la libertá della Chiesa e degli altri, mi persuado che ogni uomo che sia savio e sanza passione giudicherá che, presupposto che e’ franzesi non variassino, siano molte piú e maggiore le speranze della lega che di Cesare.

Ma quello che ha dato e dá animo allo imperadore, che fa gagliardo chi contradice, e che in veritá è ragione che importa assai, è el timore che e’ franzesi in sul furore della guerra, per el desiderio di avere el suo re, non si accordino con lui; e poi che si è veduto che l’hanno voluto fare col dargli la Borgogna tutta o parte, saranno molto piú larghi delle cose di Italia; cosa che importa tanto che, levato questo pericolo, la impresa sarebbe per ogni altro rispetto con grandissimo vantaggio. E questo solo non si può negare che la fa dubia, difficile e pericolosissima, massime sendo e’ franzesi imprudenti come sono, ed el regno in mano di donne che si governeranno piú con la tenerezza che con la ragione; nondimanco se noi potesssimo camminare per altra via sicura o meno spinosa che questa, sarebbe pazzia sottoporsi a questo pericolo, ma essendo ogni altra via piena di maggiori pericoli, anzi ruine, mi pare che la necessitá ci sforzi a andare per questa, nella quale chi bene considera tutti e’ casi, possono occorrere facilmente degli accidenti che allevierebbono molto questo pericolo.

Le cose sono in termini che, séguiti accordo o no, non può essere tra questi dua re altro che grandissimo odio; perché el re di Francia, in luogo delle buone promesse che aveva avuto, e della umanitá e generositá che si era presupposto avere a trovare in Cesare, faccendosi conducere a lui in Spagna, ha trovato delusione e tutto el contrario delle speranze sue: a lui negata la presenzia di Cesare, se non quando fu in grado di morte, e Borbone inimicissimo suo, favorito ed onoratissimo; [p. 192 modifica]in modo che è certissimo che non amore, non animo regio, non desiderio di pace inclinerá Cesare agli accordi, ma che della sua prigione o liberazione si fará mercatantia.

Però tutto el punto consiste che la liberazione sua si faccia in modo, che uscito che sia non resti legato di maniera che per necessitá séguiti quelle conclusione che ará fatto nello accordo a danno di Italia. E questo a mio giudicio s’ha a sperare ogni volta che el principio di questa lega avessi qualche buono progresso, di sorte che Cesare si conducessi alla concordia per necessitá e per timore; tanto piú che trovandosi la lega in sulle arme, ed avendo seco e’ svizzeri, e’ quali presuppongo che resteranno con noi ancora che e’ franzesi accordassino, perché è el suo interesse, le esecuzione che s’avessino a fare contro a Italia non possono essere altro che lunghe, il che darebbe tempo al re di Francia di pensare a’ fatti suoi; e ragionevolmente lo moverá piú el timore che lo imperadore, suo inimicissimo e che si vede che aspira alla monarchia, non pigli el dominio di Italia, che sarebbe instrumento a batterlo in Francia, che ogni rispetto di qualunque freno, di figliuoli statichi o di altro che per liberarsi avessi messo in mano di Cesare.

Dirò piú oltre che se bene io fussi certo che cominciata la guerra el franzese avessi a accordare, ed el re liberato avessi a osservare queste prime esecuzione a danno di Italia, cioè a lasciarla cadere in mano di Cesare, che io forse non muterei proposito; perché mi pare questo minore pericolo che lasciare correre le cose di Cesare, perché in questo caso Vostra Santitá si ritirerebbe in Francia, dove el re, liberato giá da’ suoi legami per la osservazione delle prime convenzione, e vedendo el pericolo piú propinquo per essere tanto cresciuta la potenzia di Cesare, arebbe causa di intrattenere Vostra Santitá e ristrignersi con quella; ed el medesimo è da credere farebbe el re di Inghilterra. Ma nello altro partito è molto peggio, perché se è in fatis che le cose di Italia abbino a ruinare, è molto meglio che Cesare per ruinarle sia constretto a lasciare el re, che ci resterá pure ancora qualche speranza, [p. 193 modifica]che gli abbia facultá di farsi padrone di Italia tenendo ancora el re in prigione, perché in tal caso o batterá la Francia sanza difficultá, o almeno Vostra Santitá non v’ará refugio sicuro, perché ará da dubitare che e’ franzesi, per recuperare el suo re, non lo vendino di nuovo. Sono questi, io lo confesso, partiti estremi, ma non sono manco estremi e’ termini in che si truova Vostra Santitá; e sono partiti che nelle estremitá hanno usati gli altri príncipi e spezialmente molti pontefici romani, e’ quali hanno eletto piú presto queste deliberazione che mettersi in mano ed a discrezione degli imperadori. E lo può fare piú facilmente uno papa che qualunche altro principe, perché questo non può portare seco lo stato suo, ma el papa porta seco sempre almanco parte del pontificato e di quella reverenzia e maiestá che ha in Roma.

In somma calculato ogni cosa, non è dubio che se Vostra Santitá insieme con gli altri non piglia le arme contro a Cesare, che lui si insignorirá presto totalmente dello stato di Milano, verrá a suo piacere questa state in Italia, o ci ingrosserá di esercito quanto vorrá. Ed aspirando, come si vede che aspira, alla ruina de’ viniziani ed a battere la Francia, le quali imprese non è sicuro tentare se non stabilisce bene el resto di Italia (e questo non può stabilire se non abbassa Vostra Santitá), ogni ragione fa credere anzi tenere per certo, che lui metterá mano subito a questo, e la riducerá a piccolo pontefice, e forse procurerá che in questa Sedia sia messo altri che dependa in tutto da lui; ed almanco chi confida di bene non negherá che essendo lui grandissimo, Vostra Santitá resterá suo ministro e cappellano, ed in grado che, vedendosi quanto agli effetti privata della maiestá e degnitá sua, ará ciascuno dí cento morte.

Sono questi mali certissimi e presti, e se può venire caso alcuno di morte o simili che ve ne sullevi sará el medesimo se la piglia le arme, le quali non si può negare che abbino qualche speranza di liberarvi da questi pericoli, grandissima se e’ franzesi tengono el fermo; non lo tenendo, ci è pure qualche refugio con piú speranza di salvarsi, che non è se [p. 194 modifica]Cesare, grande in Italia, vorrá malignare. Però chi si spaventa de’ pericoli della guerra, debbe risguardare a’ mali della pace, e con quello occhio medesimo che si risguarderanno quando sará passata ogni opportunitá di fare la guerra; e’ quali sono piú certi, non manco tardi ed in qualche caso maggiori; ed in quegli che sono pure minori, cioè presupponendo che Cesare non volessi la ruina vostra, non si può negare che saranno tanto grandi che Vostra Santitá gli debbe riputare poco manco gravi che la morte; e nondimeno chi spera questo manco acerbo grado, spera a mio giudicio quello che non è ragionevole, non è verisimile, non si debbe sperare.

Veggo bene che lo accordare Vostra Santitá con Cesare gli accresce la facultá di poterla offendere, ma non veggo gli faccia mutare la voluntá; sanza che, chi considera quale partito sia piú glorioso, piú generoso e piú degno di principe, troverrá che lo sforzarsi e fare ogni conato per non andare in servitú, è cosa virile e degna di uomo, ed el contrario è pieno di eterna infamia ed ignominia. Si è veduto a’ tempi nostri, e se ne legge infiniti nelle istorie antiche, re e príncipi grandi che per mala sorte hanno perduto gli stati loro, perché questo è naturale nelle conversione del mondo, che gl’imperi ora creschino, ora abbassino; ma non se ne è visto o udito forse nessuno, parlo de’ grandi e simili a quello di Vostra Santitá, che con piú facilitá si sia mutato. Questo, se Vostra Santitá, di che Dio la guardi, lo perderá sanza fare opposizione, non si potrá dire che gli sia stato tolto, ma bisognerá confesserá che dapocamente gli sia cascato.

Non fu mai alcuno uomo privato sí debole, sí abietto, che vedendo venire chi lo vuole spogliare del mantello che ha indosso, non abbia fatto forza di difendersi o di fuggire; e Vostra Santitá che vede evidentemente che costoro vogliono spogliarla della degnitá ed autoritá sua, si risolve a stare ferma, a non si muovere, a lasciare fare agli inimici quello che vogliono? Non è questa la aspettazione che s’aveva di Vostra Beatitudine; non conviene alle esperienzie che aveva fatto in minoribus, dove aveva provato e la buona e la avversa fortuna. [p. 195 modifica]La notizia che Vostra Santitá ha delle cose, lo ingegno suo, quella capacitá che ha universale, quella diligenzia, quella assiduitá che ha nelle faccende, quella confidenzia che ragionevolmente gli debbe dare la integritá sua, la sua buona mente ed intenzione al bene publico, non meritano giá che ora che si tratta de summa rerum suarum, la faccia una resoluzione tanto vile, tanto dapoca, tanto ignava.

Bonifazio antecessore di Vostra Santitá, sendo rinchiuso da’ Colonnesi nel palazzo suo in Alagna, non avendo modo da difendersi né da fuggire, almanco con animo generoso messosi nella sedia pontificale con lo abito apostolico, oppose agli inimici tutta la autoritá, tutto lo splendore, tutta la maiestá che portano adosso e’ vicari di Cristo; il che se bene non gli bastò a fuggire quella infelicitá, fu causa almanco di fare celebrare la generositá sua, e fare che nella mala fortuna avessi laude, come uomo che agli ultimi pericoli avessi fatto con franco animo tutta quella opposizione che potette. Vostra Santitá ed ogni principe hanno a desiderare che le cose sue vadino prospere, né avere mai a tentare medicine pericolose; ma quando pure caggiono nelle avversitá, hanno con animo constante a tentare tutti e’ remedi che si può, per non perdere lo stato, per non venire in servitú, etiam per non oscurare el grado e la maestá sua. E se non gli succede, perché sempre non si può resistere alla fortuna, non gli resta altro che mostrare nelle estremitá la sua virtú, la sua generositá; la quale quando conservano, possono finire infelici, ma finiscono almanco onorati, lasciano di sé memoria gloriosa apresso a’ posteri, ed apresso a’ presenti compassione. Ma se periscono ignavamente, resta el nome suo infame ed abominabile ed alla etá presente ed alla futura; e questa gloria, questa degnitá della memoria, a chi tocca a considerarla piú che a' príncipi? E’ quali come sono stati posti in grado eccelso sopra gli altri, hanno anche le azione loro a essere eccelse, gloriose e splendente piú che quelle degli altri, ed a desiderare, se io non mi inganno, piú presto la morte che la vita, quando abbino diminuta una dracma della degnitá e maestá sua. [p. 196 modifica]

È adunche Vostra Santitá condotta in luogo che agitur lo stato, la autoritá, la memoria e l’onore suo; accordando con Cesare, questo non si può negare che al tutto annichila la autoritá, el grado del principe ed ogni speranza di memoria onorevole, sanza che, infinite ragione ci sono da credere che el medesimo sará dello stato e della salute. Pigliando le arme ci è qualche speranza di conservare ogni cosa con augumento ancora della gloria e dignitá sua. Ricordisi Vostra Santitá che chi si abbandona da sé medesimo, è abbandonato non solo dalla fortuna ma etiam da Dio, el quale, come è in proverbio, non aiuta chi non si aiuta da sé stesso; e pel contrario la fortuna volentieri favorisce chi si arrischia. Le istorie sono piene di infiniti esempli di persone che da estremi casi si sono liberati con la animositá e con lo entrare francamente ne’ pericoli, de’ quali non debbe spaventare chi è in caso di necessitá; né è temeritá el pigliargli sanza vedere le cose troppo misurate, perché ne’ casi difficillimi non si può avere la sicurtá, né si può una infermitá di tanto pericolo cacciare sanza usare rimedi pericolosi; anzi la troppa prudenzia è imprudenzia nelle difficultá, ed in fatto merita di essere chiamato prudente cosí colui che, quando la natura delle cose lo ricerca, sa rimettersi in qualche parte alla potestá della fortuna, come chi sa eleggere e’ partiti sicuri, quando la sicurtá si può avere. Ma ristringendo el ragionamento, el pigliare la guerra è partito, io lo confesso, molto pericoloso; ma nell’altro partito mi pare che siano certissimi e’ mali; ruinando, la ruina in ogni caso sará grande, ma nell’uno, el fine sará onorevole ed el conato generoso, nell’altro, el procedere ignavissimo, el fine vituperosissimo.

La conclusione, per non mi stendere piú oltre, mi pare che sia questa: se a Vostra Santitá dá el cuore di potere vivere col nome di principe, ma spogliata della degnitá e maestá del principe, se di potere sostenere infinite indegnitá sanza vivere desperata, anzi per dire meglio, sanza morire ogni dí mille volte, e si confida che Cesare, contento di poterla comandare e sforzare, gli abbia a osservare le convenzione, e non [p. 197 modifica]gli fare perdere el pontificato e non gli occupare el dominio temporale, può risolversi agli accordi seco. Ed a volere bene determinare questo, bisogna non solo considerare le cose presenti, ma etiam che ingrosserá eserciti, che vorrá venire in Italia e forse in Roma, e secondo el successo di tutti questi casi fermare bene el punto suo; perché sarebbe pazzia chi volessi temerne allora, non cominciare a difendersi ora. Ma se non può risolvere l’animo a vivere in questa fortuna umile ed ignominiosa, o se pure potendo ridursi a questa bassezza, non confida che Cesare abbia a usare seco umanitá e non gli mancare delle promesse, giá dico che e’ consigli sono superflui, e che Vostra Santitá è fuora di ogni deliberazione, perché la necessitá la sforza, etiam con sommi pericoli, a pigliare la via delle arme, per fare pruova pure con qualche speranza di fuggire quelli mali grandissimi e certissimi che sono nella via della pace; ed avendo a fare questo, quanto piú presto si fará giudico sia meglio, perché el tempo dá a’ cesarei facultá di provedersi, ed è loro commodo per molti rispetti, ed a noi può portare facilmente molte difficultá ed impedimenti. Non dico giá el medesimo, se Vostra Santitá si risolvessi a amicizia con Cesare, perché quanto piú lungamente si potessi tenere sospeso, tanto sarebbe meglio, per ritardare quanto piú si possa el corso de’ progressi suoi, e perché non sará mai troppo tardi el precipitarsi in servitú.

  1. L’autore aveva scritto prima parole, poi cancellò e due volte corresse, in modo che la lettura ne è divenuta quasi impossibile. Potrebbe forse leggersi bandiere. Certamente da scartare è la lezione trinciere adottata dal Canestrini.