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II. Delle prime condizioni delle Biblioteche popolari

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II. Delle prime condizioni delle Biblioteche popolari
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II.

Delle prime condizioni delle Biblioteche popolari.

Quell’eccellente valentuomo che è il signor Giuseppe Sacchi, il cui nome trovasi sempre in prima fila allorchè si tratta di cosa che giovi alla istruzione del popolo, lesse nella tornata dell’Istituto nell’aprile dell’anno 1866, intorno a questo argomento una bella e lucida memoria, la quale vide poscia la luce negli Annali di statistica dello stesso anno.

Il popolo che finqui fu analfabeto, cesserà una volta, giova sperarlo, d’essere tale, od almeno di molto se ne assottiglierà il numero. Ma un popolo che sa leggere, deve leggere; giacchè cotesto sapere elementarissimo non è altro in fin dei conti che uno stromento; e gli stromenti quando non si adoperano, s’irruginiscono e si consumano; mentre invece esercitati per bene si mantengono puliti e si affilano. Quindi dopo avere fornito al popolo la cognizione [p. 27 modifica]del leggere, è mestieri somministrargli od almeno indicargli i libri, ma i veri libri da leggere. La è tanto necessaria questa seconda cosa, che non si saprebbe ben definire se la prima sia più a desiderarsi o a temersi, scompagnata dalla seconda. Laonde stimiamo abbia a tornare gradevole lo esaminare e discutere divisatamente alcune delle quistioni toccate dal benemerito signor Sacchi, ed altre da lui lasciate da banda, perchè troppo pedestri ed umili; ma che tuttavia possono giovare a dare vita presso di noi a questa istituzione. Della cui utilità converrassi agevolmente col Sacchi; giacchè «il bisogno della lettura comincia a farsi sentire più spontaneo e più vivo in qualche classe del popolo minuto, dacchè il benefizio dell’istruzione impartita, nelle tre mila e più scuole serali a più di cento quaranta mila persone in età già adulta ha fatto nascere il gusto di attingere anche dai libri le aspirazioni più care del vero e del bello. E queste elette aspirazioni che attenuano alquanto la pubblica vergogna di aver ancora in Italia sedici milioni di analfabeti, si svolsero per le prime nel seno delle trecento e più associazioni operaie, donde partì quasi unanime il grido dai suoi cento dodici mila e più soci, di voler congiungere al materiale soccorso anche il morale conforto dell’intelletto. E per raggiungerlo si diedero a far ricerche di libri, e cominciarono un primo nucleo di Biblioteche popolari. In Italia si contano più di trenta associazioni operaie, che hanno già inaugurato questo genere d’istituzioni; ma come avviene in tutte le opere che nascono spontanee per senso vivo del bene, e senza un preliminare ordinamento, si è proceduto sinora in modo piuttosto empirico e senza alcun scientifico indirizzo. I promotori delle librerie popolari accolgono e raccolgono libri da chiunque vuol fare qualche dono di opere più o meno [p. 28 modifica]buone; e solo attendono dalla sperienza e dal tempo di darvi un più normale assetto.»

Coteste nobili parole suscitano nella mia mente due questioni, alle quali è mestieri il badare, cioè:

1° È egli un medesimo il formare una Biblioteca pubblica ad uso in genere degli studiosi, od il dare cominciamento ad una raccolta di libri destinati a promuovere la cultura nel basso popolo e segnatamente negli abitanti di comuni rurali? Certo è che per una Biblioteca, diciamo così, erudita, tutto può concorrere ed essere utile. Ogni libro, anzi ogni cosa che si stampi è buona come documento storico vuoi dell’arte tipografica, vuoi della cultura in un dato periodo di tempo o d’un dato popolo. Non così interviene in una Biblioteca popolare: a questa dee presiedere una singolare prudenza nella scelta degli autori e delle edizioni; talchè converrà bene spesso escludere libri che formano invece il corredo principale delle biblioteche erudite. Cotesta proposizione è così evidente che non fa mestieri provarla maggiormente con ragioni od esempi.

2° Si potrà egli mettere insieme una Biblioteca popolare col mezzo di doni? Dalla questione precedente discende chiaramente la risposta negativa. I doni in genere hanno poca efficacia e non portano molto lontano: oltre il pericolo d’essere bene spesso inutili, perocchè non è impresa così agevole quella del giudicare quali sieno i libri degni di mettersi nelle mani del popolo, e a buon diritto Michele Chevalier, nella relazione generale della Esposizione universale di Parigi, dice: «È delicatissima bisogna quella della scelta de’ libri pei diversi generi di biblioteche. Bisogna avere in pronto opere buone nella parte speciale ai fanciulli dei due sessi al disotto dei tredici anni, in quelle pei giovani dai 13 ai 20 anni, nelle collezioni particolari per le giovani figliuole, in quelle altre pei convalescenti, [p. 29 modifica]pei ricoverati negli ospizi, pei maestri, pei soldati, pei comizi agrari, per le ciurme dei bastimenti, pei laboratorii, per le prigioni e simili.» Quindi noi consentiamo col signor Sacchi che «vi ha urgente necessità che le persone più illuminate ed anche i corpi scientifici si occupino di questo genere d’istituzioni per bene avviarle.»

Giacchè parliamo di doni, non conviene dissimulare i pericoli ed i danni che possono cagionare, specialmente in questi nostri tempi, in cui «tutti i buoni hanno pur troppo deplorata la via scorretta per cui da alcun tempo si è messa la pubblica stampa, per servire alla cupida ingordigia di alcuni tristi editori. Non vi ha sozzura che non sia stata dissepolta per dissolvere il senso morale. Gli stessi giornali più serii non arrossiscono di annunziare pubblicazioni che recano persino nel titolo l’impronta di atti per sè nefandi; il popolo che solo adesso comincia a leggere si trova apprestato pel banchetto del sapere non un cibo salubre per l’intelletto, ma un veneficio per l’animo. Questa profanazione della verità e della virtù ha fatto dire ad uno sdegnoso ingegno, che è quasi a da benedire la selvaggia condizione dei nostri sedici milioni di analfabeti, piuttosto che vederli con letture corrotte trasformati in altrettanti milioni di pervertiti.»

Il pericolo veramente esiste, crescerà anzi sempre più, ove non si ponga mano al riparo. Tre cose propone il Sacchi per assicurare gli animi dei peritanti:

1° Egli vorrebbe che si rendesse più robusto il criterio morale del popolo dirigendo più vigorosamente la istruzione impartita al popolo nelle lezioni orali che ad esso si fanno. Ma hoc opus!

2° Vorrebbe che fosse promossa ed incoraggita la pubblicazione di buone opere popolari: ma quanti sono i libri che possano a buon diritto dimandarsi popolari? Quali le [p. 30 modifica]edizioni accomodate all’operaio, vuoi pel prezzo, vuoi per la sostanza?

Il Consiglio provinciale scolastico di Vicenza, presieduto da quel degnissimo uomo che è l’illustre cav. Paolo Lioy, fra i primi suoi atti nel 1867 approvava una energica protesta contro quegli infami uomini che abusano della nobilissima arte, la stampa, per corrompere la gioventù e spingerla alle basse e turpi libidini, ristampando e diffondendo quelle molte oscenità di cui è pur troppo più ricca che non convenga la nostra letteratura.

«La diffusione dei libri osceni, per opera di venditori ambulanti, va prendendo ogni giorno proporzioni maggiori e tali, da seriamente allarmare quanti hanno sinceramente a cuore la popolare educazione. Mentre con tanto impegno e con tanti sacrifizi cercano gli onesti cittadini di snebbiare le tenebre dell’ignoranza nelle classi più derelitte; mentre nelle scuole serali e festive, insegnando a leggere al popolo, cercano innamorarlo della istruzione, ch’è fonte di dignità e di moralità, quali sono poi i libri che vilissimi trafficanti offrono a prezzi disfatti a questo stesso popolo, ch’esce dalle nostre scuole? Sono le poesie di Baffo, le novelle di Battacchi, le turpitudini della Biblioteca galante, ed altri infami libelli, il cui solo titolo è una vergogna, le cui incisioni sono ispirate tra le orgie più schifose de’ lupanari.

«Non manca chi, illuso di potersi intitolare educatore del popolo, distribuisce alla folla periodiche pubblicazioni, nelle quali si invita l’artigiano e il contadino ad abbandonare la credenza della immortalità dell’anima; chiunque ama il suo paese, chiunque combatte ed agisce per vederlo grande, prospero, onorato, non può non temere, mirando che mentre egli si studia di sradicare dagli animi l’ignoranza, altri intanto lavori a sradicarne l’innocenza; [p. 31 modifica]mentr’egli si studia di estirparne la superstizione, sorgente infausta di errori, di pregiudizi e d’ignavia, altri intanto vi propaghi qualche cosa di più sconcio ancora, che è il cinismo e la brutalità; mentre egli vagheggia di educare un popolo laborioso, onesto, con libera e colta intelligenza, con cuore ardente di fede illuminata, altri appresti al futuro una generazione scettica, brutale, miserabile.»

Bisogna pur confessare la grande nostra povertà. Gli editori sono facili assai ad intitolare al popolo le loro edizioni. Ma quali cibi ammaniscono essi al povero nostro popolo? Non parliamo di questo, chè ne verrebbero fuori cose poco cortesi per la maggior parte di loro; diciamo piuttosto che in questo genere di produzioni tutto è ancora a farsi in Italia. E finchè ciò non siasi fatto, non si può avere ricorso al 3° rimedio proposto dal Sacchi, il quale consiste nello istituire Biblioteche vuoi permanenti vuoi circolanti per uso del popolo, le quali contengano libri secondo i suoi bisogni. Giacchè, siccome è impossibile il fabbricare una casa senza avere prima raccolti in buona parte i materiali di essa; così panni non si possa metter su una Biblioteca popolare senza libri popolari. Ai materiali dell’edilizio pensiamo adunque in prima.

Il conte Giacomo Leopardi, commentando i Memorabili di Filippo Ottonieri, molto lo loda perchè non frequentasse come Socrate le botteghe de’ calzolai, de’ legnaiuoli, dei fabbri e degli altri simili; «perchè stimava che se i fabbri e i legnaiuoli di Atene avevano tempo da spendere in filosofare, quelli di Nublana, se avessero fatto altrettanto, sarebbero morti di fame.» Altri invece han fede che anche pel povero artigiano vi sia una filosofia pratica, la quale al postutto si traduce in senno politico, in prudenza economica, in concordia fraterna, in amore di famiglia, in sobrietà di costumi e simili cose, per la quale filosofia basta [p. 32 modifica]tempo delle lunghe serate invernali, e l’ozio delle domeniche, che ora si consuma nelle osterie. Perciò si pone già come fine speciale in alcune associazioni filantropiche di distribuire gratuitamente o al minimo prezzo buoni libri d’istruzione popolare1. Nobilissimo è certamente cotesto proposito; ma dove sono i libri che si vogliono diffondere tra il popolo? Io stimo che anche in questo convenga confessare la nostra massima povertà in confronto delle altre nazioni civili. Verbigrazia negli Stati Uniti d’America non si trova un villaggio, ancorchè piccolissimo, il quale non sia fornito di scuola e di pubblica Biblioteca pel popolo. Ecco come è proceduta la bisogna. Le scuole hanno dato i lettori; questi chiesero libri; scrittori ed editori sorsero a gara ad appagare le loro richieste. La concorrenza portò il miglioramento nella sostanza della merce, e diede per ultimo il buon mercato. Può essere che nel decorrere del tempo la stessa cosa avvenga eziandio presso di noi, ove però non sia miglior consiglio l’accelerare gli avvenimenti, o preparando loro l’occasione, o dirigendogli in modo che colla celerità si accompagni la sicurezza da ogni pericolo.

Da qualche anno al novero dei merciai ambulanti si è aggiunto il libraio, il quale penetra ne’ più remoti paesi e va a pulsare alla porta del più riposto casolare. Lettor mio, quando per caso t’imbatta in uno di questi banchi posticci, sui quali stanno sciorinati i libri che si offrono al popolo, fa di osservare, e troverai che il numero più piccolo di quei libri apparterrà alla schiera di quelli che tu vorresti diffusi tra le infime classi della società. Tu troverai molti romanzetti francesi tradotti nella più ladra lingua che [p. 33 modifica]siasi scritta mai, e taluna di quelle scipite laidezze originali nella nostra lingua, edite da un famigerato editore di Milano, e simili altre cose, che mirano a tutt’altro che ad imprimere nell’animo del popolo quei santi e nobili sentimenti, che debbono essere il fine della educazione popolare. Guai! se il popolo che si cerca redimere dall’ignoranza colle scuole serali e domenicali ai guasta il gusto del hello e il senso del buono con letture frivole ed immorali!

Egli è adunque tempo che si pensi davvero a promuovere la stampa e la ristampa di quei libri che servono ad ingentilire i costumi, a spargere i semi della moralità e della virtù, e a divulgare quei trovati della scienza che giovar possono all’industria ed alle arti. La nostra letteratura, ricchissima in poemi e storie, è poverissima di quelle opere, nelle quali l’immaginazione della moltitudine può trovare diletto ed istruzione.

Tuttavia ogni periodo della nostra storia letteraria può offerire qualche tributo, non ispregevole manco sotto questo particolare rispetto di giovare all’educazione popolare. Ai nostri giorni poi uomini eminenti non isdegnarono e non isdegnano di scrivere pel popolo, Manzoni e Pellico, Balbo e Cantù, Thouar e Tommaseo, Azeglio e Conti, per tacere di altri minori.

Con tutto questo noi siamo assai lontani dagl’Inglesi, dai Tedeschi e dai Francesi, presso i quali gli scrittori popolari abbondano di numero, e dove, si può dire, che quanti fanno professione di lettere aspirano anzitutto alla gloria d’essere popolari. Epperò è frequente il vedere lo scienziato dettar libri popolari di scienza, lo storico scrivere storie per il popolo, ed il letterato inventare azioni drammatiche, nelle quali gli eroi sono del popolo, gli avvenimenti appartengono al popolo; passioni e idee, lingua e concetti tutto appartiene al popolo, e non si eleva a [p. 34 modifica]considerazioni che sieno superiori a quel grado di riflessione di cui il popolo è capace.

Per questa ragione si poterono aprire nella sola Alsazia ben venti Biblioteche popolari nell’anno 1862. Taluna di queste cominciò con venticinque volumi, ed in capo a tre anni si trovarono ricche di oltre duemila volumi. Ma i libri colà non si raccolsero a caso, nè si ricevettero in dono: si formò dapprima un catalogo normale, il quale presenta le seguenti categorie: religione e morale, escludendo le opere polemiche; biografie ed episodi storici; viaggi e geografia; racconti per la gioventù e romanzi morali; poesia e letteratura; drammatica; scienze fisiche e naturali; industria, agricoltura, economia domestica e rurale; legislazione, economia politica ed igiene.

A rendere vie più fruttuoso il vantaggio della lettura, si fanno bene spesso conferenze o lezioni pubbliche sopra questa o quella parte dello scibile che sia utile di rendere volgare. Coteste lezioni sono specialmente dirette a dilucidare le parole tecniche onde si compone il linguaggio scientifico, acciocchè poco per volta si diffondano fra il popolo e si facciano famigliari; e così quand’esse s’incontreranno ne’ libri potranno essere più facilmente comprese.

Premesse coteste considerazioni generali, scendiamo ora a dichiarare divisatamente quali siano le condizioni che rendono possibile e facile l’attuazione delle Biblioteche popolari, e quelle che renderanno durevole e proficua la loro vita.

Anzitutto, perchè sieno possibili le Biblioteche pel popolo, devono essere in pronto i libri che sieno effettivamente tali da mettersi impunemente nelle mani di esso, cioè buoni ed utili per la materia che trattano, facili per la lingua e per lo stile, nitidi per carattere tipografico, e finalmente a [p. 35 modifica]buon mercato. Ora dove sono questi, e quanti sono da poter bastare all’uopo? Quelli che oggidì corrono per le mani del popolo, fatta eccezione degli scolastici, sono assai pochi: nè tutti da meritare il titolo di popolari. Finora furono pascolo al lettore popolano I Reali di Francia, Le avventure di Guerrin Meschino, Paris e Vienna, La bella Magalona, La vita di S. Giosafatte, e simili. Gli altri libri che sarebbero veramente popolari pel dettato e per la sostanza, o nol sono pel prezzo, o per l’ignoranza stessa del popolo.

Che vuoi? Il popolo lesse e continua a leggere quello che Io diletta e che si può procacciare con pochi soldi. Ora appunto i libri che ho nominato costano pochi quattrini, e sono portati al casolare del contadino dal merciaio ambulante; d’altra parte sono scritti con tanta semplicità, che Gaspare Gozzi confessa di averne letto alcuno con singolare diletto; figùrati poi il popolo il quale ama quel maraviglioso e quel fantastico che qui abbonda!

Il popolo adunque legge que’ libri, perchè gli piacciono, gli costano poco, li trova sempre che li voglia, e non ne ha altri, e niun si cura di presentargliene de’ migliori. — Ma non esistono anche presso di noi copiose collezioni di opere che si dimandano Biblioteche popolari a buon mercato? Sì, ma esse sono lontane, e per molto intervallo, da quello che fa mestieri per noi. Esse s’intitolano popolari, ma chi ha dato loro il diritto di appellarsi così? Il benemerito editore Giuseppe Pomba fin dal 1829 ideava una Biblioteca popolare, la quale doveva comporsi di più centinaia di volumi. La prima serie contiene cento volumi e tutte opere eccellenti, ma appena una decima parte potrebbe esser letta con frutto dai nostri lettori artigiani. L’editore ha giovato assai all’incremento de’ buoni studi, specialmente in Piemonte, incivilendo la classe media. Ma [p. 36 modifica]trentacinque anni addietro la luce del sapere non aveva ancora diradate le tenebre dell’ignoranza sopra una larga superficie di popolo. Approfittarono di quei libri il medico ed il curato, lo speziale ed il notaio, il maestro di latino ed il geometra, il commerciante ed il possidente, ma non certamente que’ tali che secondo il Leopardi non hanno tempo da spendere a filosofare. E noi appunto a costoro vogliamo destinate le future Biblioteche.

Or fa venti anni un altro coraggioso editore tentò l’impresa d’una Biblioteca dei Comuni, ma meno giudiziosa ancora fu la scelta de’ libri. Basti il dire che si accolsero in essa le opere filosofiche di S. Agostino e di Vico, le canoniche del Sarpi e di Benedetto XIV. Non dico ciò per bistrattare le opere di quei sommi, ma solo per provare che per lo più si va là ad occhi chiusi e non si vede o non si cerca la opportunità e la convenienza. Non basta che una cosa sia buona o bella in sè, perchè tale si stimi; il bello, il buono e l’utile debbono formare un’equazione colle menti che gli hanno a percepire e a goderne. Però ben di sovente l’ignorante si appaga più presto dell’appariscente che del reale; e le bellezze vere, perchè troppo intime e quasi segrete, passano o inosservate od incomprese. Gli è ben vero che vi hanno cose che toccano egualmente il dotto e l’ignorante; ma se ben guardi, vedrai che coteste cose si riferiscono al sentimento che è comune a tutti. Leggi ad un’assemblea composta d’uomini di varia e diversa cultura il sublime e brevissimo episodio della povera madre che depone la morta Cecilia sul carro de’ Monatti, vedrai che le lagrime irroreranno gli occhi dell’ignorante e del dotto alla medesima guisa e nello stesso tempo.

Quello che dissi del bello si può egualmente ripetere dell’utile; un libro popolare di scienza sarà utile alla sola [p. 37 modifica]condizione che possa essere capito da coloro pei quali si è scritto. Con questo semplicissimo criterio vorrei che si rovistasse nelle nostre Biblioteche classiche, e si cercasse fra le opere de’ grandi nostri padri e si tirasse in disparte e si registrasse tutto quello che può meritare d’andare per le mani del popolo, e di formare il primo nucleo delle future nostre edizioni popolari. Si passi indi agli scrittori contemporanei, si faccia l’inventario di ciò che abbiamo, e si noti quello di cui difettiamo. Si cerchi di colmare le lacune proponendo temi per nuovi libri che si reputano più necessarii. Si mettano a contributo eziandio le letterature straniere indicando quali libri si avrebbero a tradurre2. Ma chi formerà questa scelta? chi terrà questo registro? chi avrà l’autorità di dare una specie di sanzione ai giudizi d’ammissione di questo o quel libro nella Biblioteca ad uso del popolo?

Ecco alcune questioni, le quali daranno sufficiente materia a continuare sopra questo argomento.

Note

  1. V. lo statuto della Società fondata in Reggio d’Emilia e diretta da quell’egregio uomo che è il signor cav. Luigi Sani.
  2. Scrivemmo queste cose or fa cinque anni, e molti editori con nobile gara s’affaticano già a compiere questa lacuna. Basti citare le ditte Pomba e Paravia di Torino, Agnelli e Treves di Milano, Barbèra e Le Monnier di Firenze.