Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro terzo/10. Diocleziano e i successori fino a Costantino
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10. Diocleziano e i successori fino a Costantino [285-306]. — Quando uno Stato è venuto decadendo per parecchie generazioni, il restaurarlo è difficile a un uomo solo quantunque grande per sé e per potenza, perché non trova appoggio nel proprio popolo corrotto; gli è d’uopo procacciar primamente che sia piú o men rinnovato dall’esempio de’ popoli vicini non corrotti. Ma ciò è impossibile nelle civiltá corrotte tutt’intiere. Tuttavia un grand’uomo che si trovi in occasione di tale impresa, non suole, non può tenersi dal non tentarla; e nella storia, ne’ giudizi de’ posteri resta poi sempre dubbio, se il tentativo abbia ritardata o non forse accelerata la caduta. Ciò avvenne a Diocleziano e Costantino, restauratori, mutatori indubitati dell’imperio. Propensi noi a lodare chi opera grandemente, quand’anche sventuratamente, anziché chi aspetta, oziando, la fortuna, a noi paiono essi tutti e due uomini grandi nati in tempi dappoco. — Diocleziano vide i due sommi pericoli dell’imperio: le contese di successione tra i capi degli eserciti, e l’invasione de’ barbari giá prementi su tutti i limiti; e tentò riparare ai due insieme con un ordinamento grande, un pensiero generoso. Solo signor dell’imperio, solo augusto, non solamente fece augusto e pari suo Massimiano, ma in breve aggiunse a sé ed al socio due cesari, o successori designati, Valerio e Costanzio Cloro. Né furono piú di quelle associazioni vane od anzi pericolose per l’imperio, utili solamente all’imperatore che guarantivano: fu vera divisione del territorio, che non era difendibile oramai da un solo imperatore. Distribuí le province tra i quattro: l’Asia a sé; Tracia ed Illirico a Valerio, cesare suo; Italia ed Africa a Massimiano augusto; e Gallia, Spagna, Britannia e Mauritania a Costanzio, l’altro cesare. Cosí (essendo tenuta dai due augusti una supremazia sui due cesari), l’imperio, giá unico, rimase fin d’allora diviso in que’ due, orientale ed occidentale, che mutarono e rimutarono sí continuamente limiti e signori, ma si ricostituirono e durarono in lor dualitá poco meno che due altri secoli. Roma e l’Italia giá fin da Caracalla cadute in condizioni pari alle province, ne decadder molto indubitatamente: e ne patirono tutti i popoli che ebbero a far le spese a quattro palazzi imperiali in luogo d’uno; e tanto piú, che moltiplicaronsi d’allora in poi, in quei palazzi diventati vere corti, le pompe, gli uffici, i titoli, i rispetti, all’uso antico orientale. Ma i due intenti del riformatore furono arrivati: le successioni (che nella storia appaiono, moltiplicandosi e incrociandosi, anche piú complicate) furono in effetto men contese coll’armi, rimasero piú lungamente nelle medesime famiglie; e le frontiere difese da quattro principi, ciascuno dal posto suo, furono, secondo ogni probabilitá, difese meglio che non sarebbero state da un principe universale, sforzato ad accorrere dall’oceano settentrionale al golfo persico, e a lasciar un pericolo d’invasione esterna ed uno d’usurpazione interna in ciascuno degli eserciti ove non si trovasse. — E di fatti, vinsersi allora facilmente alcuni competitori: e mantenuti i limiti europei, s’estesero momentaneamente gli asiatici dall’Eufrate al Tigri. Ma nulla è che stanchi come una operositá, una fortuna stessa, che si sperimentino insufficienti allo scopo prefisso. Dopo venti anni di regno glorioso, Diocleziano abdicò e fece abdicar Massimiano l’augusto, compagno suo [285-305]. — I due cesari, Galerio e Costanzio ne diventarono essi augusti; ma molto disugualmente, rimanendo al primo (con due nuovi cesari, Severo e Massimino) l’Oriente, l’Italia e l’Africa, ed al secondo Britannia, Gallia e Spagna solamente. E morto in breve Costanzio e succedutogli il figliuolo Costantino, prese il titolo d’augusto, ma non fu riconosciuto se non come cesare da Galerio [306]. E ne seguirono nuove guerre, finché rimase solo Costantino.