Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni/Libro sesto/24. Il quarto periodo della presente etá in generale

24. Il quarto periodo della presente etá in generale

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[p. 250 modifica]24. Il quarto periodo della presente etá in generale [1377-1492]. — La storia politica de’ nostri comuni, repubblicani dapprima, tiranneggiati quasi tutti poi, è cosí intricata, che ella cape difficilmente in niuna mente o memoria umana, che niun’arte di scrittore la fece o la fará forse mai né molto letta, né perfettamente chiara a chi la legge. All’incontro, la storia letteraria di questi nostri secoli è cosí bella e cosí splendida a chicchessia, che fin da fanciulli noi la sappiam tutti e ne abbiamo la mente invasa e preoccupata. Quindi un errore involontario e frequente: di tener il secolo decimoquarto, il secolo di Dante, Petrarca, Boccaccio e Giotto, quasi piú splendido in tutto, anche in politica, che non il decimoquinto, in che niun nome tale non apparisce a colpir gli animi nostri. Nel trattar della coltura di quest’etá, noi avrem forse a diminuire questa apparente contradizione delle due nostre storie politica e letteraria. Intanto ci pare dover qui accennare che, cessata la dimora de’ papi in Francia e cosí la innatural soggezione loro alla corte francese, sottentrò sí dapprima il danno spiritualmente maggiore della divisione della [p. 251 modifica] cristianitá, il grande scisma occidentale; ma che, politicamente, all’Italia ferma nell’obbedienza al papa legittimo di Roma, fu minore assai lo stesso danno spirituale, e grande poi il vantaggio di riavere in sé la sedia di quella cosí intimamente, cosí inevitabilmente italiana potenza del papa; e fu vantaggio nuovo, quando, cessato lo scisma, si ordinò questa potenza; come furono l’ordinarsi, l’ampliarsi di altri Stati italiani, il diminuirsi lo sminuzzamento della penisola, il farsi italiane le compagnie. E il fatto sta, che in questo nuovo secolo escon fuori parecchi piú o men puri, ma certo splendidi nomi politici e militari: Francesco Sforza, il Carmagnola, Cosimo e Lorenzo de’ Medici, Niccolò V, Pio II, Alfonso il magnanimo, indubitabilmente superiori ai nomi politici del secolo precedente. — Del resto, continua qui e continuerá sino al fine di nostra storia la difficoltá, l’impossibilitá di trovare un vero centro, intorno a cui rannodare i fatti moltiplici. Finché durò la lotta contro agli imperatori, questi furono, se sia lecito dir cosí, centro passivo, centro contro cui si volsero gli sforzi, non di tutti purtroppo, ma de’ migliori italiani, dei papi e di Firenze principalmente. Ma cessata quella lotta (per l’infausta traslazione, per l’infrancesarsi de’ papi da una parte, e per la trascuranza degli imperatori dall’altra), noi dovemmo giá cercare un nuovo centro tal quale, per averne epoche, date, riposi a cui condurre via via parallelamente i fatti diversi; e cosí prendemmo dapprima gli Angioini di Napoli. Ma noi vedemmo cessata in breve lor prepotenza, anzi, quanto all’Italia media e settentrionale, ogni loro potenza; ondeché forse giá prima di qua avremmo dovuto, certo qui dobbiamo di nuovo mutar centro, e ci par migliore Milano. Del resto, quanto piú si complica la storia, tanto piú arbitrario resta qualunque ordinamento di essa. E benché i piú degli scrittori non soglian notare siffatte difficoltá insuperabili o almeno insuperate nelle loro storie, parve a noi che il renderne conto candidamente potesse conferire ai due scopi nostri, di far capire e ritenere, il meno male possibile, la nostra storia.