24. Il quarto periodo della presente etá in generale
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18 febbraio 2025
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<dc:title> Della storia d’Italia dalle origini fino ai nostri giorni </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Cesare Balbo</dc:creator><dc:date>1846</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_sesto/24._Il_quarto_periodo_della_presente_et%C3%A1_in_generale&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20250218125610</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Della_storia_d%27Italia_dalle_origini_fino_ai_nostri_giorni/Libro_sesto/24._Il_quarto_periodo_della_presente_et%C3%A1_in_generale&oldid=-20250218125610
Della storia d’Italia dalle origini fino ai nostri giorni - 24. Il quarto periodo della presente etá in generale Cesare Balbo1846Balbo, Cesare – Storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni, Vol. II, 1914 – BEIC 1741401.djvu
[p. 250modifica]24. Il quarto periodo della presente etá in generale [1377-1492]. — La
storia politica de’ nostri comuni, repubblicani dapprima,
tiranneggiati quasi tutti poi, è cosí intricata, che ella cape
difficilmente in niuna mente o memoria umana, che niun’arte di
scrittore la fece o la fará forse mai né molto letta, né perfettamente
chiara a chi la legge. All’incontro, la storia letteraria di questi
nostri secoli è cosí bella e cosí splendida a chicchessia, che fin da
fanciulli noi la sappiam tutti e ne abbiamo la mente invasa e
preoccupata. Quindi un errore involontario e frequente: di tener il
secolo decimoquarto, il secolo di Dante, Petrarca, Boccaccio e Giotto,
quasi piú splendido in tutto, anche in politica, che non il
decimoquinto, in che niun nome tale non apparisce a colpir gli animi
nostri. Nel trattar della coltura di quest’etá, noi avrem forse a
diminuire questa apparente contradizione delle due nostre storie
politica e letteraria. Intanto ci pare dover qui accennare che,
cessata la dimora de’ papi in Francia e cosí la innatural soggezione
loro alla corte francese, sottentrò sí dapprima il danno
spiritualmente maggiore della divisione della
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cristianitá, il grande
scisma occidentale; ma che, politicamente, all’Italia ferma
nell’obbedienza al papa legittimo di Roma, fu minore assai lo stesso
danno spirituale, e grande poi il vantaggio di riavere in sé la sedia
di quella cosí intimamente, cosí inevitabilmente italiana potenza del
papa; e fu vantaggio nuovo, quando, cessato lo scisma, si ordinò
questa potenza; come furono l’ordinarsi, l’ampliarsi di altri Stati
italiani, il diminuirsi lo sminuzzamento della penisola, il farsi
italiane le compagnie. E il fatto sta, che in questo nuovo secolo
escon fuori parecchi piú o men puri, ma certo splendidi nomi politici
e militari: Francesco Sforza, il Carmagnola, Cosimo e Lorenzo de’
Medici, Niccolò V, Pio II, Alfonso il magnanimo, indubitabilmente
superiori ai nomi politici del secolo precedente. — Del resto, continua
qui e continuerá sino al fine di nostra storia la difficoltá,
l’impossibilitá di trovare un vero centro, intorno a cui rannodare i
fatti moltiplici. Finché durò la lotta contro agli imperatori, questi
furono, se sia lecito dir cosí, centro passivo, centro contro cui si
volsero gli sforzi, non di tutti purtroppo, ma de’ migliori italiani,
dei papi e di Firenze principalmente. Ma cessata quella lotta (per
l’infausta traslazione, per l’infrancesarsi de’ papi da una parte, e
per la trascuranza degli imperatori dall’altra), noi dovemmo giá
cercare un nuovo centro tal quale, per averne epoche, date, riposi a
cui condurre via via parallelamente i fatti diversi; e cosí prendemmo
dapprima gli Angioini di Napoli. Ma noi vedemmo cessata in breve lor
prepotenza, anzi, quanto all’Italia media e settentrionale, ogni loro
potenza; ondeché forse giá prima di qua avremmo dovuto, certo qui
dobbiamo di nuovo mutar centro, e ci par migliore Milano. Del resto,
quanto piú si complica la storia, tanto piú arbitrario resta qualunque
ordinamento di essa. E benché i piú degli scrittori non soglian notare
siffatte difficoltá insuperabili o almeno insuperate nelle loro
storie, parve a noi che il renderne conto candidamente potesse
conferire ai due scopi nostri, di far capire e ritenere, il meno male
possibile, la nostra storia.