Della ragione di stato (Settala)/Libro III/Cap. I.
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Capitolo I
Della ragion di stato degli ottimati, che riguarda la salute loro.
Ancora che la prima parte della ragion di stato aristocratica, che appartiene alla conservazione del dominio o governo, non abbi tanto luogo come nella monarchia e regia; non essendo cosí facile l’uccider piú persone e tanta moltitudine, quanta può esser in questo modo di republica, quale era in un tempo la romana, e ora la veneziana, sí per il numero, sí per non esser sempre tutti in un luogo uniti: perché però ciò non è impossibile, e ai tempi antichi e moderni si è osservato piú di una volta essere stato tentato, mi è parso conveniente proporre i rimedi, colli quali tali insidie si possono e scoprire e impedire, fuggire e superare. Imperciocché il pericolo che scorse il gran consiglio de’ veneziani di esser minato nella gran sala alquanti anni sono, parimente di ciò ci avvisa e fa certi. Il tradimento concertato a tempi nostri ancora dai fratelli Ancarani di gettar all’aria il papa con tutti i cardinali, mostra ancora esser necessaria questa parte di ragion di stato nell’aristocratica, che appartiene alla conservazione di coloro che dominano. Ma che al tempo, che fioriva la republica romana (per considerare le cose e gli esempi piú antichi), Lucio Catilina di nobil famiglia romana de’ Sergi, di corpo robusto, di pessima inclinazione, al qual fin da’ primi anni gli omicidi, le rapine, gli stupri, e le altre cose brutte in luogo di azioni onorate sempre erano a cuore; d’animo audace, desideroso della robba d’altri, prodigo della sua, gran parlatore, ma di poca prudenza: ammirando le azioni di Silla, soprapreso da cosí mal esempio, si mise in pensiere di distruggere lo stato allora presente della republica romana, e per sé, e per qualsivoglia modo benché sceleratissimo, occuparlo. Molti ancor vivevano ricordevoli delle vittorie di Silla che desideravano la guerra civile, né vi era esercito in Italia in quel tempo che in cosa improvvisa potesse esser in aiuto alla republica. Dunque avendo tirato in questa congiura con questa buona occasione una gran quantitá di giovani nobilissimi, li quali, o per speranza di ricchezze o di onori, si erano mossi a procurar cose nuove, avevano accettata l’impresa d’uccidere i consoli, i pretori, altri officiali e moltissimi dell’ordine senatorio; e con tanta secretezza che se non erano scoperti da Fulvia, concubina di Quinto Curio, uno de’ congiurati, fra poco tempo erano per eseguire cotanta sceleraggine.
Nella republica di Venezia, essendo duce Pietro Gradenigo, un certo Marino Boccodono, non potendo sopportare la publica libertá, né che la republica tutta e tutti i magistrati, dignitá e governi fossero in mano d’altri, cominciò a pensare di mutar forma di dominio e di governo con l’uccidere il prencipe e quanti piú poteva de’ senatori; avendo tirato a sé in questa congiura molti cittadini. Ma scoperta la congiura, preso lui e i complici, furono, come meritavano, con varie morti infami e crudeli castigati. Né dopo molto tempo Baiamonte Tiepolo, uomo di nobil famiglia e dell’ordine senatorio, presa occasione dai travagli grandi che la republica aveva dalla guerra con genovesi e con ferraresi; elettisi per compagni, e tirati nella congiura contro la patria molti dell’ordine senatorio e uomini di eminente fortuna, a’ quali comunicò questo suo scelerato pensiero: determinò un giorno, che fu il dí della festa di san Vito martire, nel quale essendo co’ compagni entrato all’improvviso nel palazzo, doveva uccidere il duce con tutti i senatori ivi radunati. Venuto il giorno, nel quale tal sceleraggine si doveva commettere, dicono (quasi che il tempo volesse avisar la cittá di tanta rovina) che si levò all’improvviso una tanta impetuosa pioggia e commozion de’ venti, che empi di bombi e strepito tutta la cittá. I congiurati, non per tal cosa impauriti, ma piú presto servendosi dell’occasione di tal tempesta, con strepito ed empito concorsero per eseguire il loro malvagio conseglio. Scoperta questa congiura dal principio di questa crudele azione, fu gridato allarme, e mandato per la cittá molti, che gridassero ad alta voce: «Chi voi salva la republica, prese l’armi corra alla curia a dar aiuto al prencipe e a’ padri!». I congiurati frattanto uniti avevano riempita la piazza di san Marco, per entrare nel palazzo e esseguire il loro malvaggio pensiero: ma concorsavi molta gente, si attaccò una sanguinosissima zuffa; e finalmente prevalendo la fazione della republica, i congiurati con la loro fazione con gran mortalitá furono scacciati dalla curia e dalla piazza, con la morte di Baiamonte e il publico supplicio di molti nobili dell’ordine senatorio. In memoria del qual pericolo superato, nella festa di san Vito si fa ancora solenne processione nella chiesa di detto santo dal duce e senatori, dandosi nel fine un solenne banchetto nel palazzo.
Per fuggire adunque tai pericoli si dovrá da’ magistrati, anzi da ciascuno de’ signori governanti, aver l’occhio ai luoghi, dove si fanno publici ridotti d’uomini viziosi, sediziosi, o disperati; e in particolare dove sono i ridotti dei giuochi, o di meretrici, nelli quali per lo piú concorrono uomini di mala vita, e sempre bisognosi de’ denari e impoveriti, e per conseguenza ridotti a disperazione, che, per poter provvedersi in qualche maniera de’ denari per giuocare o per compire i suoi appetiti, non è partito per pessimo e disperato che sia, al quale essi non si appigliassero, sia egli o inventato da lui, o da altri pari suoi introdotto: al quale per facilitarsi la strada, pian piano incontrando in uomini della medesima qualitá se gli vanno acquistando per compagni, sminuendo i pericoli, e facendo maggiori le comoditá, adoprando que’ mezzi nel persuadere, per li quali vedono poter piú facilmente tirare a’ suoi disegni i collegati.
Non si permetterá il far congregazione alcuna, ancorché sotto qualsivoglia titolo buono, senza l’intervento d’un delegato dai supremi magistrati, quale dovrá scegliersi quieto, non tumultuante e zelante dello stato presente della republica, ma però accorto, e sappia penetrare gli intimi pensieri degli uomini.
Si averanno sempre gli occhi volti in quelli, che amano aver séguito in particolare di plebei e artigiani, e che in tutte le occasioni cercano di proteggerli nelle cose criminali con favori quasi eccedenti e violenti appresso i giudici e magistrati con la potenza, ricchezze e favori loro. Perché da questi piú di una volta si sono viste eccitar sedizioni, tumulti, e finalmente congiure e mutazioni di stato. Esempio di tal pericolo n’ebbero i romani nei due fratelli Gracchi con la legge agraria, e in Spurio Melio, quando nella penuria de’ grani, distribuita nel popolo gran quantitá di frumento senza prezzo, e per mezzo del popolo obbligato, s’aveva preparata la strada all’imperio romano; la quale strada se bene non pare che direttamente sia contro la persona de’ governanti, vero è però, che non si poteva metter in esecuzione, senza gran mortalitá de’ patrici.
Per fuggire ancora questi pericoli panni necessario, che vicino alla gran sala del consiglio, o dove tutti si radunano, abbino una gran sala, dove tenghino pronte, e per ordine disposte, armi e da difesa e da offesa; acciò in tempo di bisogno possano prevalersene, e per difesa e per trattenere almeno tanto tempo gli inimici che possano aspettare gli aiuti di fuori.
Ma di piú ancora devesi aver soldatesca pagata fedele, che nel tempo, che stanno radunati per consultare i negoci communi, faccino la guardia, e abbino le sentinelle nelle parti circumvicine: le quali due cose la prudentissima republica di Venezia so che con ogni diligenza osserva.