Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro ottavo – Cap. IV

Libro ottavo – Cap. IV

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De gli Epitaffi, de gli scritti, et de le imagini che si mettono ne sepolchri.

cap. iv.


M
A io vengo hora mai a ragionare de gli Epitaffi, i quali appresso de gli Antichi, furono et varii, et infiniti, conciosia che non gli usavano solamente ne le sepolture, ma et ne le Chiese, et ne gli edificii privati. Dice Simmaco ch’ei mettevano nel frontispicio de Tempii il nome de lo Dio, a chi e’ l’havevano consecrato. I nostri usano di scriver sopra le Cappelle il nome de Santi, et l’anno nel quale sono state loro dedicate; ilche sommamente mi piace: Et non sia questo fuor di nostro proposito, ch’essendo Crate filosofo arrivato a Spiga, over Zelia, et havendo trovato quasi per tutto sopra le porte de’ privati questi versi:
Hercole il forte nato del gran Giove

Habita in quest'albergo: hor s’allontani

Quindi ciò che giamai nuocer ne possa:

Se ne rise, et persuase loro che più tosto vi dovessino scrivere: Qui habita la povertà: perche questa molto più prontamente, et più gagliardamente che Hercole manderebbe a terra qual si sia sorte di monstro. Ma gli Epitaffi saranno, o scritti, i quali si chiamavano già Epigrammi, o veramente notati con statue, et imagini. Platone usava dire, che ne sepolchri non vorrebbono esse più che quattro versi; ma e’ ci fu chi disse:

Scrivi il mio caso in mezo alla colonna,
Ma breve sì, che ’n trapasando leggasi.

Et veramente che una troppa lunghezza si in altri luoghi, si massimo in questi è cosa odiosa: o se pur sarà alquanto lunghetto, bisogna che tale Epitaffio sia del tutto elegante, et che egli habbia in se un certo che da muovere a compassione, et a misericordia, et sia gratiato, et che tu non ti habbia a dolere d’haverlo letto, et che ti piaccia d’haverlo imparato a mente, et di recitarlo spesso. Lodasi quello di Omenea:

S’alma per alma compensar lasciasse

Il crudo fato, o si potesse vivo
Tornare altrui con la sua propria morte,
Ogni tempo prescritto al viver mio
Per te, cara Omenea, lieto darei;
Ma poi che ciò non posso, il Sole, et Dio
Verrò fuggendo per seguirti lasso

Con affrettata morte a i Regni stigii.
et altrove [p. 199 modifica]
Guardate o cittadin l’Imago, et l’Urna

     D’Ennio, del vostro vecchio, che cantando
     Scrisse de’ vostri antichi i fatti egregii.
     Nessun col pianto la mia morte honori,
     O mi faccia l’essequie, perciò ch’io

     Pur vivo ancor tra l’honorate lingue.

A sepolchri di coloro che morirono à Termopile, i Lacedemonii vi scrissono queste parole: O viandante fa intendere a’ Lacedemonii, che mentre facciamo quel che ne commessono, stiamo quì ad giacere. Nè ci dispiacerà se alcuna volta egli harà del piacevole straordinariamente, come quello che disse:

All’alta maraviglia il passo ferma

     O Viator: quì non contende insieme
     Moglie, et Marito. Più forse vorresti
     Saper chi semo? io nol direi giamai.
     Vien quà, vien quà, ch’io te ’l dirò ben’ io:
     Questo mio Belbo, Balbo, Ebbra, per Bebbra

     Mi chiama. Ab donna ancor morta contendi?

Simil cose certo mi piacciono grandemente. Gli Antichi usavano di dorare i caratteri de le lettere ne marmi, gli Egittii si servivano di immagini et di cose in questo modo. Sculpivano un occhio, et per esso intendevano Dio. Uno avotroio, et per esso intendevano la natura, per una pecchia un Re, per un cerchio il tempo, per un bue la pace, et altre cose simili. Et dicevano che ogni natione conosceva solamente i suoi stessi caratteri, et che egli averrebbe che tale cognizione si spegnerebbe del tutto, si come è intervenuto a noi de le lettere Etrusche. Per la Etruria mediante le rovine de le Città, de le castella, et de cimiteri ho visti sepolchri disotterati con Epitaffi di lettere secondo il giudicio universale Etrusche, i caratteri de le quali si assomigliano et a quei de Greci, et a quei de Latini, ma non è però nessuno che gli intenda, et però pensavano che a gli altri ancora fosse per avenire il medesimo: ma il modo de lo scrivere che usavano in si fatte cose gli Egittii potrà essere per tutto il mondo da gli huomini dotti (a quali è bene che sieno comunicate le cose eccellenti) facilmente interpretato. Alcuni immitando queste cose, intagliarono ne sepolchri varie cose. Al sepolchro di Diogene Cinico vi era una colonna ritta, ne la quale havevano messo un cane di marmo Pario. Cicerone Arpinate si vantava d’haver ritrovato a Siracusa il sepolchro di Archimede, abbandonato per la antichità, come coperto da pruni, et non conosciuto da suoi Cittadini, presa coniettura da uno Cylindro, et da una Sfera piccola, che ei vedde intagliata in una certa colonna molto alta. Al sepolchro di Simandio Re de gli Egittii vi era scolpita in un marmo di venti cubiti la madre con tre corone Regali sopra la testa, per denotare che ella era stata figliuola, moglie, et madre di Re. Al sepolchro di Sardanapalo, Re de gli Assirii posono una statua, che in segno d’allegrezza, si batteva le mani insieme, et vi havevano posto un’Epitaffio, che diceva. Io feci Tarso, et Archileo in un sol giorno: ma tu, o amico mangia, et bei con piacere, et con allegrezza, conciosia che l’altre cose, che sono de gli huomini, non son degne di questa allegrezza. Si che si fatte erano le inscrittioni, et le statue loro. Ma a Romani nostri è piaciuto d’esprimere i gran fatti de gli huomini grandi, con l’aver fatto intagliare una historia di marmo. Di quì le colonne, e di quì gli archi trionfali, di quì i portici furono ripieni d’historie, di pittura, et di scultura: ma io non vorrei che con queste cose si facesse memoria alcuna, se non di cose di grandissima importanza. Ma di loro sia detto a bastanza. Habbian detto de le strade, per terra: ma le strade per acqua goderanno di quelle medesime cose, che si lodano per le terrestre: ma aspettandosi a le strade marittime, et a quelle per terra ancora le torri in luoghi rilevati, siamo forzati a trattare alquanto di loro.