Del concetto morale e civile di Alessandro Manzoni/Discorso/III

Discorso - III

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III.


Il quale non si vuol credere non provasse anch'egli le distrette del dubbio, e non passasse quelle ore d'interno corruccio, quando la realtà ci vien meno, nè si discerne nella dubbia tenebra proda remota Nato pochi anni innanzi dell'epoca fatale1 in cui l'antico edifizio crollava dalle fondamenta. epoca di grandi virtù e di grandi delitti, che vide il conflitto di odii inestinguibili e di amori indomati; egli inconscio, ed avido di sapere, pur bebbe alle fonti della superficiale filosofia degli enciclopedisti, inetta non solo ad investigare l'arduo problema della vita e la missione assegnata all'uomo quaggiù. ma a crear nulla di duraturo, schiava come era del [p. 111 modifica]senso e della materia. A Parigi da Vincenzo Monti appellata orrenda Babilonia francese2, tra i colloquii di Cabanis medico materialista, di Volney l'ateo, di Garat il fisiologo, di Tracy l'idealista della sensazione3, non poteva certo il suo animo aprirsi alla sublime quiete del vero, che poscia divenne sua cura, nelle passeggiate solitarie, lunghesso le rive del Verliano con l'austero filosofo di Roveredo. La traccia di questo stato angoscioso, in cui l'animo è facile alla invettiva, puoi ancora trovarla nei versi a Lomonaco, e negli altri bellissimi per la morte di Carlo Imbonati.4 E di vero, quando volgendosi all'Italia egli dice:

Tal premii Italia i tuoi migliori, e poi
Qual prò se piangi, e il cener freddo adori
E al nome vano onor divini fai?
Si dal barbaro oppressa opprimi i tuoi
E ognor tuo danno e tuo colpe deplori,
Pentita sempre e non cangiata mai.

[p. 112 modifica]ovvero che non può dolere all'onesto il partirsi

quando chiama il suo secolo sozzo, fetida belletta, e dice che delle cose umane bisogna sperimentar tanto quanto basti per non curarle, non ti par certo di sentire quello spirito soave di carità che compiange agli erranti, pur combattendo l'errore, e trova una parola di refrigerio e di conforto per ogni sventura. Qui si piange disperatamente, come il Leopardi che dice il suo secolo, secolo di vivi che dormono, [p. 113 modifica]e l'Italia in eterna morta,5 e lui dannato a passare l'età verde, fra una gente zotica e vile, cui sono nomi ignoti e virtù, e valore, e divenire aspro a forza tra lo stuolo dei malevoli.6

Però le aride conclusioni di una fisofia scettica e beffarda, non valsero ad acquetare nell'animo del Nostro la brama di conoscere in sè, e senza preconcetti, la sostanza e l'armonia delle cose: non si appagò di rimanersene indolente e pacifico spettatore di questa ridda menzognera e fantastica; vide, e conobbe in tutta la sua forza, la crudele antinomia; ma, per quanto i tempi corressero tristi, e menzogna regnasse in politica, menzogna in religione, menzogna fin nell'onesto e tranquillo vivere cittadino, più si ostinò con sublime energia a voler trovare la chiave dell'enigma, e quel perchè, che allo sconsolato Leopardi era parso una dimanda inutile e vana. Sin da quando era a Parigi, i segni manifesti di questa intima battaglia si [p. 114 modifica]appalesarono. Era un giorno entrato nella chiesa di San Rocco, son parole del Carcano,7 pieno l'animo dei gravi pensieri che da lungo tempo lo tormentavano. O Dio, aveva detto, se tu esisti, rivelati a me, Questo grido, o signori, dichiara appieno la meta a cui intendeva, di acquetar cioè l'animo stanco dal lungo dubbio in quell'assoluto vero, che come è la prima cagione di tutto ciò che sussiste, è ancora l'unica soluzione di ogni problema, conciosiachè in Lui ogni maniera di oppositi si riduca alla identità. E Dio8 gli si rivelò, o signori, e prima al suo cuore, sotto le forme soavi di Enrichetta Luigia Blondel, donna di alti pensieri, il cui nome passerà ai posteri caro e venerato, come colei che circondò lo eletto spirito delle sante gioie [p. 115 modifica]della famiglia, cosi potenti a disvelarci il Padre di tutte le genti.9 Fu allora, che cominciò a meditare profondamente e lungamente sulle cose religiose e, con libero animo, condotto dai suoi studi e dalla necessità della logica, addivenne credente. Sì, o signori, credente. La sua fu conversione razionale, e come colui che giunto, dopo lungo discorso intellettivo. alla soluzione di un difficile problema, ne accetta con ferma certezza il resultato, e se ne esalta; non altrimenti il Nostro, trovata nel Vangelo la perfetta ed adeguata soluzione del dubbio, ebbe ad acquetarvisi, e d'allora cominciò nelle sue scritture ad incarnare il nuovo convincimento.

Ma di che natura, o Signori, fu questo nuovo convincimento? quale il contenuto della nuova fede? Non fu certo la fede nella libertà. nella uguaglianza, nell'amore; ma la fede nella possibile realizzazione di quelle idee, la fede in Dio protettore del dritto violato.10 Nelle divine pagine del [p. 116 modifica]sacro libro egli attinse che il dritto, che è l'attuazione del giusto e dell'equo nel consorzio degli uomini, ricerca il suo adempimento senza violenza di sorta e che, se pur la forza serve spesso a renderlo parvente e sensibile, ove questa gli si volti contro, ovvero se ne disgiunga, non per questo ne è impedito per sempre il pacifico adempimento; conciosiacchè sia richiesto dalla necessità dell'ordine morale e dall'ambiente storico in cui si agita e vive l'umanità. Può l'irrompere perverso delle passioni far dimenticare che gli uomini sono fratelli e rappresentano il medesimo concetto, e sono destinati al medesimo fine: la ingiustizia e le bieche potenze ponno quandochessia esercitare quaggiù un transitorio ed indebito sopravvento, anche dannare alla croce, od a morte se avvi più efferata, i sacerdoti di questo diritto; ma la strada del martirio è sovente la più corta per arrivare alla meta, e appunto dall'alto del Golgota la croce del figliuolo dell'uomo rese un fatto compiuto la redenzione morale e civile della specie nostra. Questo [p. 117 modifica]dritto reso fatto l'Evangelo te lo addita nel Cristo, che è, come dire, l'oggettivazione del concetto stoico degli antichi sofi; onde la virtù non è più un vano nome, come ebbe già a sentenziare Bruto su i campi di Filippi, nè la umanità è il nulla come cantò il Leopardi, ma è qualche cosa che trova il suo pacifico e solenne adempimento nel decorso rapido dei secoli. Poste le quali cose, chi, come il Manzoni, si colloca a tal sommo, e come aquila sul monte, mira d'ognintorno, non può accogliere in seno dubbio di sorta sui destini dell'uomo, diviso in razze ed in nazioni, ciascuna delle quali ha un compito speciale da adempiere. Di qui nasce quell'aspettar tranquillo che spesso ti cela il desiderio, di qui, quel creder fermo che ti dà l'aria di rassegnazione e di noncuranza. Tutti gli elementi positivi che formano l'armonia del mondo ideale, tutte le evoluzioni storiche che danno forme così diverse al lento attuarsi del dritto, sono contenuti a dir così e contemplati nel principio dell'assoluta giustizia, dove civiltà e religione non si scompagnano, e [p. 118 modifica]l'amore per la terra natale piglia consistenza e valore nell'amore per l'intera specie, per la verità, per Dio. Di qui accade che le esorbitanze di coloro che si dicono ministri del santuario non offuscano nella sua mente il concetto della religione, né il dispotismo, ed il vedere in servaggio la patria, ed ogni generazione di mali, che rendono inferma la specie nostra, scrollano punto la invitta fede nella nazionalità, nella indipendenza, nel successivo redimersi che le plebi fanno. L'ideale del dritto è fermo ed immutabile, ed in questo ideale medesimo si contengono le ragioni del suo realizzarsi. Non altrimenti avviene nel giro dei fenomeni cosmici in cui e gl'innumeri mondi che la mano di Dio librava nella immensa distesa degli spazii, e le aggregazioni infinitamente piccole, e la luce e l'aria, e tutte le forme e lo avvicendarsi dei corpi, ubbidiscono a leggi definite e necessarie, le quali, alla loro volta, sono momenti di una legge unica presentita forse dall'intelletto divinatore del Newton. È bene che, a quando, e come il chiedono le circostanze si scenda [p. 119 modifica]in campo, ed invittamente si combatta, e, pel conquisto dei supremi beni civili non si tema d'incontrare la morte; che le nazioni a forza di energia e di operosità si rendono vigorosa e compiono il debito;11 ne è da attendersi pievano dall'alto i doni onde si fa meno triste la vita, come è fama che la manna scendesse agli ebrei nel deserto; ma perchè l'opera stessa sia feconda di resultati, nè devii, o tenti l'inipossibile, o s'impelaghi nella morta gore dello scetticismo, è bene, anzi è necessario, che vi sia chi rappresenti la fede viva nel diritto, chi, securo, mallevi e persuada che o presto o tardi la meta a cui si tende sarà raggiunta; perocchè nell'ora che questa certezza addiventi coscienza della maggioranza ogni maniera di despotismo è reso impossibile, e la libertà e l'indipendenza un fatto compiuto ed irrevocabile.

Note

  1. Alessandro Manzoni nacque in Milano il 7 marzo 1785.
  2. Vincenzo MontiIn morte di Ugo Basville.
  3. BuccellatiDel progresso prodotto dalla scuola manzoniana — Annali dell'Istituto Lombardo.
  4. Recando alcuni versi di questo componimento nel suo stupendo carme i i Sepolcri Ugo Foscolo scriveva in nota «versi di un giovane ingengno nato alle lettere e caro all'Italia.» Vincenzo Monti poi nel leggere l'Urania uscì nelle seguenti parole «Costui ha cominciato dove io avrei voluto finire».
  5. LeopardiAd Angelo Mai.
  6. Idem — Le Ricordanze.
  7. CarcanoCommemorazione di Alessandro Manzoni — Annali dell'Istituto Lombardo.
  8. Il fatto della conversione del Manzoni è narrato in tal modo dal Conte Arrivabene nelle Memorie «On racconte que se tronvant à Paris, il passa un jour par hasart devant l'église Saint-Roch. Des chants, rèligieux, suaves et mèlodieux frappent son oreille. Il entre dans le saint lieu; il en sorrt tout èmi, catholique et catholique fervent. Mais le sentiment rèligieux n'è ètouffe en lui ni l'amour de la patri, ni l'amour de la liberté. Tous ses amours il les a rèpandus dans ses ècrits et fait penetrer par ses ècrits dans l'ae de la jeunesse italienne.»
  9. Molti a Milano ricordano la fresca e bionda sua testa, gli azzurri occhi suoi i tratti squisiti — Così scrisse il Rovani della Blondel.
  10. Mazzini — Luogo citato innanzi.
  11. La rassegnazione del Manzoni e tutt'altro che inerzia. Ecco come egli nei descrisse nel frammenti delle Osservazioni sulla Morale Cattolica — Considerare la pazienza come una virtù che porti alla debolezza, è un considerarla molto leggermente, perché questa virtù educando l'animo a superare i mali lo rende più forte ad affrontarli, quando sia necessario per la giustizia; mentre l'insolferenza, che trasporta l'uomo alla violenza, lo fa condiscendente, quando vi sia un mezzo di sfuggire i mali sacrificando il dovere.