Dalle Satire (Alfieri, 1912)/Satira Prima. I Re

Satira Prima. I Re

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Dalle Satire (Alfieri, 1912) Satira Quarta. La Sesqui-plebe

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Satira Prima.1

I Re.

Aufer impietatem de vultu regis, et firmabitur justitia thronus ejus.

Salom, Proverb. XXV, 5.

Togli l’empio dal cospetto del Re, ed avvalorerassi il di lui trono dalla giustizia.

Maestadi, sappiate ch’io non gitto
Mie’ carmi al vento; e che ad insana2 rabbia
3 Non dessi appor quant’io mai scrivo e ho scritto.
Solo a purgare d’ogni erronea scabbia3
Il cuor dell’uomo e pria quel di me stesso,
6 Spero avverrà ch’io satire scritt’abbia.
Quindi a voi soli, cui non m’è concesso
Di annoverar fra gli uomini, non parlo;
9 Ch’appo voi miglioranza4 non ha ingresso. —

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Per far ottimo un Re, convien disfarlo:
Ma fia stolt’opra e da pentirsen ratto,
12 S’indi a poco fia d’uopo il ristamparlo. —
Solo osi i Re disfare un Popol fatto.5


Note

  1. Questa breve satira (a cui l’A. antepose due sonetti, uno al Malevolo e uno al Benevolo Lettore, ed un prologo, Il Cavalier servente veterano, che in questa edizione si omettono), fu incominciata, secondo l’autografo laurenziano 13°, a Parigi, il 29 sett. 1788. Di essa scrive il Fabris (Studi alf. cit., 128): «Nella Satira ai Re egli non s’indugia a descriverne i vizi e la natura. Essi sono già giudicati; e il poeta non vuole gittare i suoi «carmi al vento». La è satira breve: tutta la sua importanza sta nell’essere a capo di tutte le altre, nell’indicare il piú grande di tutti i mali, dal quale originano gli altri come i rami del tronco dell’albero. Tutta la satira è in queste parole della Vita (IV, 13°) che commentano il fatto d’esser egli nell’84 dovuto andare a corte a inchinare Vittorio Amedeo III: «Ancorché io non ami punto i re in genere, e meno i piú arbitrari, debbo pur dire ingenuamente che la razza di questi nostri principi è ottima sul totale... Ed io mi sento nell’intimo del cuore piuttosto affetto per essi che avversione... Con tutto ciò quando si pensa e veramente si sente che il loro giovare e nuocere pendono dal loro assoluto volere, bisogna fremere e fuggire». La conclusione ne è chiara: ‘Per far ottimo un re, convien disfarlo’ messa questa pregiudiziale, il poeta s’avvia a purgare d’ogni erronea scabbia il cuore dell’uomo».
  2. 2. Insana, irragionevole.
  3. 4. Erronea scabbia, errore, pregiudizio.
  4. 9. Miglioranza si trova qualche volta presso antichi scrittori in luogo di miglioramento, ed è registr. della Crusca.
  5. 13. Necessario prima, dunque, rinnovare la coscienza del popolo; poi, esso potrà avviarsi a conquistare e a conservare la sua libertà, senza il giogo dei sovrani; concetto adombrato, se non isbaglio, nell’Agide, ideato nel 1784. E in un epigramma del 24 febbr. 1798 (Renier, op. cit., 297):
    Il soggiacer a un re assoluto, è un guai:
    Ma un piú fero ne veggio;
    Se regnar denno i soli birbi omai.
    Pria che servire ai fetidi avvocati,
    Sien dunque i re da noi rivenerati,
    E chiamiamli, piangendo, i Para-peggio.