Consiglio politico finora inedito presentato al governo veneto nell'anno 1736/Parte terza
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PARTE TERZA.
Che si può interessar tutti senza la
minima alterazione del presente
Istituto, e Governo.
Da quanto si è ragionato finora, ampiamente si può dedurre, come l’unico mezzo di rendere, con tutto il grand’aumento di potenza degli altri Principi, sicuro ed inespugnabile il nostro Dominio, si è quello d’imitare gli antichi Governi, e singolarmente quello de’ Romani, con incorporar nella Repubblica la Terra-Ferma, e coll’interessarla nella grandezza, e difesa nostra. Resta ora a vedere del modo, perchè molte volte avviene, che massima eccellente per error, che si commette nel porla in opera, diventa inutile, ed anche nociva.
Si sono uditi i Veneti Patrizj talvolta ragionar privatamente della necessità di guadagnare in qualche modo i cuori della Nobiltà dello Stato, e di usar qualche lenitivo che compensi ciò, che forse internamente li amareggia; ma i partiti perciò ragionati non parevano per verità affatto plausibili. Proponeva taluno di dare la Nobiltà Veneta a venti o trenta Case di Terra-Ferma col solo esborso di Duc. 25 mila; ma con questo si turbarebbe infinitamente lo Stato tutto, e non si consegnirebbe punto il bramato fine, perchè l’universale ne sarebbe più mal contento di prima. Altri credevano bene di fondare un Ordine Cavalleresco per la Nobiltà dello Stato, le prime dignità del quale portassero seco la Nobiltà Veneta; ma non serve il guadagnar alcuni, il segreto ha da consistere in guadagnar tutti. La Nobiltà è il più degno Ordine de’ Paesi; ma non è il solo quello della Nobiltà. Tal onore toccarebbe, a pochissimi, e tutti gli altri nulla acquisterebbero di più.
Prenderemo adunque norma da’ Romani? non veramente in questo. Il loro modo era tale: Conferita ad una Città, o ad una Regione la Cittadinanza, permettevano a tutti gli uomini di quella Città, e di quella Regione di venire a Roma, d’intervenir ne’ Comizj, e dar il voto. Tal moltitudine infinita, ed indeterminata veniva a raddoppiare il difetto pur troppo per se nocivo del popolar governo di Roma. Non poteva però non seguirne quella corruzione, che poi è seguita. Abbiamo veduto sempre in Italia singolarmente i Governi popolari a finire in Monarchia, o Principato. Così a Verona per li Scaligeri, a Padova per li Carraresi, a Milano per li Visconti, a Firenze per li Medici, e così quasi di Città in Città. Roma divenne a Principato, subito che la popolarità giunse all’eccesso, e che la moltitudine oltrepassò ogni misura; il che avvenne quando si accordò il suffragio alla Gallia Cisalpina tutta. Sappiamo però, che Cesare con la mente a suoi fini molto si adoperò per l’aggregazione di essa; e notò Tullio, come poteva moltissimo ne’ Suffragi la Gallia; il che nasceva dal gran numero. Introdotto per la moltitudine il Principato, non ognuno de’ Successori si contenne ne’ giusti limiti. Ne abusarono alcuni, e Caracalla fra gli altri prostituì il grado di Cittadino Romano, e lo fece venir in odio, e con ciò precipitò affatto l’Impero. Ecco dove condusse l’illimitata e plebea quantità: de’ Votanti. Non fu veduto in quel tempo; come si potesse comunicar la Repubblica a’ tutti senz’ammettere in Consiglio tutti; nè come si potesse far, che partecipassero del Governo moltissimi, e non pertanto pochissimi fossero a dar voto. Nelle materie Politiche e gravi, quale è questa, di cui or si ragiona, non si vuole mai far progetti d’invenzione, nè dee mai chi si sia tanto presumere del suo ingegno, che creda di poter con esso provveder con sicurezza l’effetto di ciò, che propone. Bisogna imparare dagli altri, attenersi all’esperienza, e proceder con la sicura scorta degli esempj, e de’ fatti. Però nel punto anteriore nulla si è asserito di che nelle antiche Storie non si vegga sicurissima la riuscita; e nel presente nulla si suggerirà, del cui felicissimo effetto non abbiamo attualmente dinanzi gli occhi nelle più potenti Repubbliche dell’Europa la prova. Nel primo dunque abbiamo squittinati gli antichi, e singolarmente i Romani; perchè nell’idea generale essi videro più di tutte le altre genti del mondo. In questo secondo trarremo ogni documento dai Moderni, perchè in questa parte assai più hanno veduto, ed assai meglio sono riusciti i moderni degli antichi. Nel favellare dei presenti Governi, perchè si possa comprendere bene il punto di cui si tratta, si premette in succinto un’idea generale di essi, come anche vien fatto nelle private lettere, delle quali questa terza parte è un estratto. Faremo principio dall’Inghilterra, stante che per virtù di tali Istituti è divenuta il più ricco paese della Terra, e la prima Potenza sul Mare.
Non bisogna lasciarsi ingannare dal nome di Regno, supponendo il Governo d’Inghilterra Monarchico. La Nazione è libera, e si governa in Repubblica. Anche Sparta anticamente ebbe i Re, e con tutto ciò fu Repubblica. In tre stati risiede in Inghilterra il poter supremo: Re, Nobiltà, e Popolo. Dal Popolo si forma la Camera bassa, dalla Nobiltà si forma la Camera alta, nella quale sono compresi anche gli Ecclesiastici. Dell’una e dell’altra si compone il Parlamento, col qual nome s’intende però alle volte spezialmente la bassa. Per far legge, o decreto, che riguardi l’interesse pubblico, ci vuole il consenso di tutti tre gli Stati. Il Re da se non solamente non può far una Legge, ma neppure proporla; l’autorità di proporre, risiedendo in ciascheduna delle due Camere, perchè sia presa convien bensì, che anche il Re concorra col suo consenso.
Sotto rubrica di Legge va ogni atto, o decreto, che riguardi danaro. Il Re non può mettere la minima imposta. La Nazione gli dà 800 mila lire Sterline all’anno per suo mantenimento e della sua Corte. Una Sterlina riviene a due zecchini circa. Di questo il Re può disporre a sua voglia; ma sopr’altro danaro non ha ingerenza, nè ha rendite, o terreni, che gli aspettino in proprietà. Per i bisogni dello Stato si decreta d’anno in anno dal Parlamento qual somma occorra; ma quanto vien assegnato per le Flotte, per le Truppe, o per altre occorrenze, non si dà al Re, ma si consegna a’ Ministri per ciò ordinati. Nell’aprirsi ogni anno del Parlamento; prima di altro si rivedono i Conti, e l’Ammiraglio, ed altri, a cui spetta, mostrano per minuto l’impiego dell’anno antecedente. Esibiscono altresì uno stato del bisogno per l’anno venturo. Chiunque sia delle Camere può esaminar tutto, opporre, e far rimostranze a sua voglia. Il Parlamento non è continuo, ma si raduna ogn’anno a Gennaro, e suol durare sino a Maggio. Vi si delibera quante Navi da guerra debbasi per quell’anno avere in mare; quante Truppe in ogni parte; quali fabbriche e lavori intraprendere; ed alla Camera Bassa principalmente appartiene il determinare della quantità del danaro, che per tutto si richiede, e del modo di ricavarlo. Il far ciò di anno in anno è dal tempo del Re Guglielmo. Questo sistema economico trae seco per consenso il politico, perchè il Re ha bensì autorità di far guerra e pace; ma se la guerra non piacerà al Pubblico non gli accorderà il danaro, che ci vuole, e la guerra perciò non si potrà fare. Per questo è, che in quest’ultima tra l’Imperatore, e la Francia, benchè il Re molto desiderasse di unirsi all’Imperatore, non si è arrischiato di farlo, perchè dicevano altamente gl’Inglesi d’aver speso abbastanza nell’altra guerra, e di non volersi aggravare di più.
In quest’anno 1736. la Nazione si trova ancora col debito di quarantaquattro milioni di Sterline, fatto nella gran guerra per la successione alla Monarchia di Spagna. Dopo la pace si è andato estinguendo qualche porzione continuamente, e si affranca ora per un milione all’anno; ma se sopravvenisse usa guerra disastrosa lo Stato fallirebbe, e così tornerebbe in pristino in un momento.
Un tal partito non incontrerebbe opposizione molto forte, poichè la parte creditrice è molto inferiore, e molto meno considerabile per ogni conto, della debitrice. Ne verrebbe il danno di perdere il credito; ma questo la Nazione lo considera per un vantaggio, poichè così dicono: il Re ed il suo Ministero non potrà con guerre non necessarie aggravarci di più. Il Regno paga, e contribuisce ogni anno intorno a sei milioni di Lire Sterline. Due incirca ne vanno per pagar gl’interessi, due incirca per la Marina e per le Soldatesche, quasi uno al Re, e quasi uno per raccoglier le imposte, e per le altre minori partite.
Il Re non ha parte alcuna nell’elezione delle Camere; ma le Camere all’incontro, quando il caso viene, eleggono il Re, e determinano se debba per avventura rimoversi, e qual linea debba escludersi per la successione, e quale ammetterci. Il Parlamento intronizzò Guglielmo Principe d’Oranges, vivente il legittimo Re Giacomo II. Il Parlamento alla morte di Guglielmo ha escluso il Figliuolo di Giacomo, e chiamò al Trono Giorgio Elettore d’Hannover, che procedeva da femmina di femmina, il qual atto passò alla Camera bassa di un sol voto. Il Parlamento ha fatti gli ultimi Decreti, che non sia più capace del Regno un Cattolico; che i Re non possano prender moglie Cattolica; che per entrar nelle Camere si debbano dare più giuramenti, uno de’ quali il tener contra il Dogma dell’Eucaristia, ad effetto, che nessun Cattolico vi possa più aver luogo. Ecco però come il fondo della Sovranità è nelle Camere. Il Re non può far imprigionar veruno; e nelle Cause Criminali non ha autorità, dovendo ognuno esser giudicato da’ Giudici ordinati delle Leggi, e da dodici eletti a sorte, che siano dell’istesso ordine e condizione del delinquente. Il presente Re, che è Tedesco, non può conferire a veruno de’ suoi alcun Ufficio, almeno importante; ma gli conviene con grandissime paghe aver tutti Inglesi, nè tra le stesse sue Guardie potrebbe aver corpo alcuno di Forastieri.
Ora veggiamo ciò che fa direttamente al nostro proposito, cioè in qual modo la libertà della Nazione sussista, e si eserciti, ed in qual modo tutti restino interessati, ed ognuno in tutto il Regno, che qualche cosa possiede, si creda di avere influenza nel Governo, e parte in quanto si delibera, benchè tutto il Parlamento non arrivi al numero di ottocento persone. La prima Camera dunque è composta di tutta la Nobiltà, non già di Londra solamente, o della sua Provincia, ma d’ogni parte dell’Inghilterra, e dopo l’unione delli due Regni della Scozia ancora. Contuttociò questa Camera non eccede il numero di 220 Soggetti poco più poco meno. La prima ragione di numero così ristretto è l’uso di quel Regno, di non considerar per Nobili, se non i titolati, che sono detti Milordi, e Pari. Duchi 31, Marchesi 21, Conti 85, Visconti 15, Baroni 63, Arcivescovi 2, Vescovi 24. L’altra ragione si è, che il solo Capo della famiglia entra in Parlamento, e dopo la sua morte il figliuolo primogenito di mano in mano. Ma neppure il Primogenito gode le prerogative di Nobile, finchè il Padre vive; nè questa Nobiltà può moltiplicarsi, come in altri paesi avviene, perchè i secondogeniti non si hanno per Nobili, e benchè da qualche tempo vengano anch’essi chiamati Milordi, questa è cortesia, o adulazione, non verità. S’impiegano in mestieri, e maritandosi i loro figliuoli non sono altrimenti Nobili. Tutti i Nobili dunque vanno in Parlamento successivamente, e per eredità, fuor che i Vescovi, che si creano dal Re. Mancando figliuoli maschi, succede il maggior Fratello; restandovi femmina questa non trasferisce il grado nel marito, ma nel figliuolo. Dopo il Gran Cancelliere del Regno, e il Gran Cameriere di Corte, siedono ordinatamente secondo i gradi, e secondo il tempo, in cui la Famiglia lo conseguì, ma il voto in tutti è uguale. Gli Ecclesiastici hanno la precedenza, onde il primo Pari è l’Arcivescovo di Cantorberì, e precede a tutti. Prima di tutti sarebbe il Duca di Norfolch, ma non va in Parlamento per essere Cattolico. Il Re può crear nuovi Lordi; ma in questo va molto guardingo, e parco, poichè per altro vi sarebbe messa mano dal Parlamento.
Veggiamo ora dell’altra Camera detta dei Comuni, nella quale vantano principalmente consistere la libertà d’Inghilterra, e per la quale si partecipa la sua Repubblica a tutti. In questa Camera si può dire, che dia voto chiunque arriva in tutto il Regno a possedere non più di quaranta Scelini, ch’è come a dire quattro zecchini di rendita in beni stabili, eppure non milioni di persone, e non infinità di gente inetta, ma non entra in questa Camera maggior numero, che di 560 uomini in circa. Questo è il ripiego, che non sovvenne a’ Romani, nè parimenti alle Città di Lombardia, e di Toscana, quando si ressero a Popolo, ed ammisero tutti i Popolati indistintamente nelle loro generali adunanze. In Inghilterra non tutti vanno in Parlamento, ma tutti concorrono ad elegger que’ Deputati, cha da ogni Paese vi si mandano, e che non vi entrano come tali, e tali, ma come Rappresentanti quella Città, quella Terra, o quel Corpo. Il Regno si divide in Contee, che vuol dire picciole Provincie, ogni Provincia in Corpo ne manda due, oltre di ciò due ne manda ogni Città, e due ne manda quasi ogni gran Terra o Borgo; e ci sono anche due piccioli Villaggi, che il loro Deputato mandano, perchè questo dipende dal vecchio uso, e dall’antichità de’ luoghi. Le due Università di Oxford, e di Cambridge due pure ne mandano ciascheduna, così venendo quivi onorati gli Studje e le Lettere in que’ due Corpi. La Città di Londra ne manda quattro, privilegiata ancora, perchè nelle proposte, che sono presentate al Parlamento, si discute prima, se si abbiano da leggere o nò; ma quelle della Città di Londra si leggono sempre. I Soggetti, che compongono questa Camera, durano sette anni nell’Officio: regolamento recente fatto sotto Giorgio I.
È d’avvertire, che nel suddetto numero delle due Camere vi è compresa anche la Scozia; perchè quando sotto la Regina Anna si fece l’union dei due Regni, e si mutò nome al Parlamento, chiamandolo non più d’Inghilterra, ma della Gran-Bretagna, con che intendono l’Inghilterra e la Scozia insieme, furono allora incorporati anche i Nobili, e i Comuni della Scozia stessa. Ma perchè nella Scozia si trovò esser tanto numero di Pari, che ammettendoli tutti non ci sarebbe più stata proporzion giusta, si fece un calcolo di quanto dà e rileva la Scozia in pareggio con l’Inghilterra; ed attesa la proporzione si ammise nel Parlamento un numero di sedici Lordi, i quali vengono insieme da tutti i Lordi di Scozia eletti, onde concorrono in qualche modo tutti. Così furono ammessi quarantacinque Deputati alla Camera dei Comuni, eletti parimente da tutte le Città, e Borghi.
Il modo con cui si eleggono i Deputati delle loro Città, e Comunità è vario, e diverso secondo i loro riti; e costumi; ma sempre tale, che il consenso comune vi si corrisponda. In alcuni luoghi sono eletti dal Maire, cioè Maggiore, e dai Vecchi, vuol dir da quelli, quali la Comunità ha per quell’anno appoggiata la reggenza. In altri dall’ordinaria loro convocazione o Consiglio; ma in non poche da un’adunanza estraordinaria, solo per tal motivo tenuta di tutti i Capi di Famiglia, che possedono per quattro zecchini di rendita in Beni stabili siano Artigiani, Paesani, o di qualunque condizione. Per evitare che non siano elette persone vili, è fissato, che dalle Provincie, e dalle Città non possa esser eletto chi non ha in fondi 500. Lire Sterline d’entrata; e dalle Terre o Villaggi chi non ne ha per 300. Li quattro di Londra sono eletti dal suo Maire, ch’è Ufficio di grandissima considerazione, ed insieme dalli ventiquattro, che unitamente co’ Capi delle Arti rappresentano la Città. Non può esser uno dei quattro chi non arriva a 600 lire Sterline di rendita. In questa Camera dei Comuni sono spesso persone d’ogni conto molto distinte. Vi è attualmente i Walpol Regio Ministro di Stato, benchè il Figliuolo per la condizione di Nobile, a cui è passato, sia nell’altra. A’ Deputati era altre volte assegnato dal loro Comune quanto basta per portarsi a Londra, e per mantenersi tutto il tempo del Parlamento. Ora servono a proprie spese, perchè tale onore viene ambito, e cercato da molti, o per acquistar lustro e rango, o per promovere il suo partito, o per impedire, che non siano eletti partigiani della Corte, o per ostare, a chi cerca d’imporre qualche aggravio. E perchè ogni buon ordine patisce le sue corruzioni, non pochỉ lo cercano ancora comperati dal Re per secondarlo nelle sue intenzioni, e ricavare non picciole somme.
Ed ecco il sistema per cui l’Inghilterra è salita a quell’auge dove si attrova. Con tal ordine di Governo ogni semplice particolare crede d’influire nelle Pubbliche deliberazioni, eppure poche centinaja d’Uomini sono in Consiglio. Tanto basta perchè interessato nella libertà, e sommamente appassionato per la Patria si mantenga ognuno. Primo effetto di che è il non penuriare mai di gente per la marina, che tanta ne consuma e distrugge, perchè il Pubblico è impresso, che per servite la Patria bisogna andar in mare, e che dal Mare viene la forza e la gloria della Nazione. Soldati in terra parimente non ne mancano mai, e questi all’occasioni se ci ha voluto, sono stati pronti, onde di dar soldo e stranieri non si è parlato mai. Neppure una Compagnia si trova al servizio Inglese, che sia Svizzera, o d’altra Nazione, dove in Francia ben trenta mila tra Svizzeri, ed altre genti si ha per lo più bisogno di mantenere. Passiamo ora all’Olanda.
La Repubblica Olandese, il di cui Stato principale non formava per l’innanzi, più che una Contea, con l’interessar della libertà tutto il suo Paese egualmente, e con universale sicurezza da ogni sorte di prepotenza, o di superchieria, ha reso gran parte del suo terreno una continuata Città, ha acquistato ampj regni nell’Indie, e con un pugno di terra è arrivata ad essere una delle prime Potenze del mondo.
Sette Provincie formano questa Governo: Olanda, Zelanda, Gheldria, Utrecht, Frisia, Overissel, Groninga. Ogn’una di esse è una Repubblica da sè Sovrana, e indipendente; ognuna si regge, a suo modo, e si fa Leggi, a suo piacere; ma sono talmente congiunte, e collegate fra loro, che in quanto spetta alla Guerra, alla Pace, ed agli affari co’ Principi, niuna può deliberare da se, ma si uniscono in una Repubblica sola, ed unitamente procedono contribuendo per li bisogni dello Stato ciascheduna a proporzione.
Il Centro del comun Governo è all’Aja Città dell’Olanda. A questa ogni Provincia manda i suoi Deputati, da’ quali si compone quel Consiglio Supremo, che si chiama degli Stati Generali, ed al quale fanno capo i Ministri Stranieri, e gli Ambasciatori. Qual Provincia ne manda quattro, qual sei, e quella di Gheldria ne manda sino ad otto. Questo resta in arbitrio, perchè pochi o molti che siano i Deputati d’ogni Provincia, non formano tutti insieme, che un voto solo. Benchè adunque tutti insieme non arrivino a trenta persone incirca, le voci non sono che sette. Dei Deputati alcuni durano tre anni, ma possono esser confermati altri sei, ed altri sono in vita. Gli Stati stanno fissi tutto l’anno all’Aja, e si radunano ogni giorno. Per prendere una deliberazione d’importanza convien, che tutti li sette voti siano concordi, uno solo basta per impedirla. È notabile, come in ciò niun riguardo si abbia alla qualità della Provincia; talchè quella d’Olanda, nella quale è Amsterdam, Leydem, Roterdam, ed altre Città delle Maggiori, e che per popolazione, e per ricchezza supera le altre sei poste insieme, onde cinquantasette centesimi contribuisce da se sola, non ha però più d’un voto solo. Ne’ Congressi sta sempre in distinta sedia il Presidente, che propone le materie, presenta le memorie, raccoglie le opinioni, e pronuncia il risultato. Questo Presidente si cambia ogni Settimana, perchè ogni Provincia presiede in giro, secondo l’ordine di precedenza, che hanno tra loro; ed ha quest’onore a vicenda il primo de’ Deputati di ciascheduna. Il resto è secondo gli ordini, e le istruzioni degli Stati particolari delle Provincie; e nei casi gravi ed ambigui si partecipa ogni cosa alla Provincia di mano in mano, e si spedisce per nuovi ordini, non avendo i Deputati autorità alcuna d’arbitrare da sè, come per lo più fanno i Parlamentarj d’Inghilterra.
Passiamo ora al governo diverso delle Provincie, nei quale consiste l’esercizio speziale della loro libertà. Generalmente il comun Consiglio di ciascheduna si compone dai Deputati delle Città, e da quelli della Nobiltà. Si raduna in quella delle sue Città, ch’è a ciò destinata, o in più di una a vicenda. Le Città mandano il numero de’ Deputati, che vogliono; per lo più vien mandato un Borgo-Mastro, con due, o tre altri Consiglieri, e con uno che si chiama Pensionario, il quale porta la parola per tutti, ma tutti insieme non formano, che un voto solo.
Facciamo principio dall’Olanda, Provincia ch’è assai più picciola del Territorio Veronese, e di altri dello Stato Veneto: contuttociò contien più gente, e più danaro, che in diverse altre parti un intero Regno. Gli Stati di questa Provincia si formano dai Deputati delle sue dieciotto Città, e da quello della Nobiltà. Consta dunque il suo Consiglio di 19 voti. Per la Nobiltà s’intendono quelle poche Famiglie, che rimangono dalla prima istituzione della Repubblica, e che al tempo dei Conti d’Olanda, e dei Re di Spagna erano Signori di Terre, e di Castella. Queste al presente non sono che otto, i Capi d’ogni una delle quali formano il Collegio Nobile. Se alcuna di esse vien a mancare, hanno autorità di sostituirne un’altra, e talvolta n’eleggono ancora fuor di tal caso; ma per requisito bisogna aver un Feudo nella Provincia. Altra Nobiltà non si ammette, nè si riconosce; e se l’Imperatore, o altro Principe dichiara Nobile qualche Olandese, e lo crea Conte, o Duca, nel Paese non è riconosciuto come tale, nè entra per questo nel suddetto corpo de’ Nobili. Titoli di Conte, o altro non corrono; e se an Conte di Vassnar per cagion d’esempio, ch’è la Casa più riputata, presenta qualche istanza agli Stati, non usa alcun suo Titolo. Il Deputato, che la Nobiltà manda all’Aja intervien negli Stati Generali ogni giorno, ed ha il primo luogo fra i Deputati della Provincia. Il Consiglio d’Olanda si tiene all’Aja nel Palazzo stesso, ove si tengono gli Stati Generali, ma in Sala differente, e più ornata, ed in appartamento separato. Si raduna quattro volte all’anno, ma nelle occorrenze si convoca a piacere. Gran figura fa quello de’ suoi Deputati, il quale per la pension che gode di cento mila Fiorini, vien detto Pensionario. Se in Consiglio nasce alterazione, e si riscalda la disputa, egli batte su la tavola, ed allora tutti ammutiscono. Dimanda poi, che gli siano assegnati tre, o quattro del numero per maturar l’affare, ed insieme con essi determina. Questo interviene nell’Assemblea degli Stati Generali ogni giorno, ed è quello che porta agli Stati il sentimento della sua Provincia. Grande influenza però ha nelle Pubbliche deliberazioni, perchè dall’esempio della Provincia d’Olanda dipende spesso la risoluzione delle altre.
La Gheldria, che ha il primo luogo sopra le altre Provincie, e che ha più Nobiltà, o meno Città, forma il suo Consiglio dei Deputati della Nobiltà, e delle Città in egual numero. Quasi il medesimo si fa nell’Overissel. Zelanda non ha che i Deputati delle Città, perchè la Nobiltà si è quasi del tutto estinta. Gli Stati di Utrecht si compongono di tre corpi: Ecclesiastici, Nobili, e Città. Per Ecelesiastici s’intendono quelli, i quali comprano di mano in mano quelle Prebende, che formavano già i Canonicati. La Frisia ha due Ordini, i quali rappresentano egualmente la Sovranità della Provincia, Città, e Territorj. Quivi però ogni Paesano, che posseda certa porzion di terra, dà la sua voce per eleggere, e vendendo il terreno vien a vendere anche il diritto del suffragio. In Groninga parimente gli abitanti delle Città, e quelli della Campagna mandano egualmente Deputati al Consiglio della Provincia. Ecco in somma come tutte le Città, niuna eccettuata, tutti gli antichi Nobili, e tutti gli Ordini concorrono a formare il Consiglio d’ogni Provincia; dai quali Consigli si elegge a voti quel Soggetto, che pel supremo Consiglio della Comune Repubblica dee rappresentar la Provincia stessa, e significarvi la sua volontà. In questo modo poche sono le persone, che v’abbian luogo; e ciò nonostante nelle pubbliche deliberazioni vien ad influire ognuno.
Si può avvertire, come ogni Provincia si è riservata alcuni diritti senza volerli conferire all’Assemblea degli Stati Generali. Sono tra questi l’autorità d’eleggere un Statholder, cioè Capitan Generale; o di non eleggerlo. L’elezione de’ Comandanti Militari nelle loto Città e Fortezze; il diritto di dar la parola; di conferire i Reggimenti, ed altre Cariche subalterne, e di metter guarnigioni, e di dare giuramento alle truppe.
Qualche cosa è da dire del Governo particolare delle Città. Queste si reggono ognuna da se, nè le maggiori hanno punto d’autorità, o d’ingerenza nelle minori. La Reggenza è per lo più composta di quaranta Consiglieri, o di poco diverso numero. I Villaggi non ci hanno parte, e chi sta fuori, benchè fosse ricchissimo, nella maggior parte delle Provincie non ha voto, nè può esser eletto a cariche, se non si è ridotto in Città, e fatto Borghese, cioè Cittadino. Il numero della Reggenza cominciò nel primo formarsi del Governo, e dipendeva dalle costumanze anteriori. Chi è di tal numero, è in vita, ma non passa per Legge ne’ figliuoli, nè va per eredità. Vero è; che mancando uno, essi stessi ne sostituiscono un altro, e sostituiscono sempre il figliuolo, o nipote, o congionto del morto, e così si mantengono di mano in mano; onde quasi unica strada di entrare in tal corpo si è l’apparentarsi con alcuno di essi. Da questo numero si traggono i Borgomastri, che reggono la Città in tutto e per tutto, e così gli Eschivini, che giudicano in Civile, e in Criminale, e da’ quali si dà in Civile appellazione, ma non nel Criminale. È notabile, che in Olanda per qual si sia delitto non ha mai luogo la confiscazione. Si fa morire il Reo, ma l’eredità è de’ figliuoli. Eschivini, e Borgomastri possono essere di qualunque condizione, e professione, purchè nativi del Paese, e Cittadini. Questi Consigli delle Città eleggono altresì quel Deputato, che deve portare il voto delle Città negli Stati della Provincia. Ogni Città ricca, o povera che sia, egualmente ha un voto, talchè Amsterdam per cagion d’esempio, che fa trecento mila persone, e che contribuisce quaranta sette centesimi al totale di tutta la Provincia, non ha maggior suffragio della più picciola, che in essa si trovi. Vera cosa è, che non potendosi mai far senza di essa una grossa spesa, il suo parere serve di gran regola alle altre; onde il suo assenso tira seco quello delle altre Città; siccome l’assenso dell’Olanda suol tirar seco quello dell’altre Provincie. I Ministri stranieri però, cui preme di condurre a qualche deliberazione gli Stati, gran corte sogliono fare ai Borgomastri, ed ai principali d’Amsterdam.
Di molta autorità nella Repubblica è il Consiglio di Stato, a cui spetta l’Ispezione del Militare, e quella dell’entrate Pubbliche. Questo si compone di dodici Deputati da tutte le Provincie eletti, tra quali tre ne dà l’Olanda. Li due di Zelanda, ed i nominati dalla Nobiltà d’Olanda sono in vita. Vi è ancora una Camera di conti per la direzione economica generale, la qual costa di quattordici Deputati, due per Provincia egualmente. Di molta importanza è il Magistrato dell’Ammiralita, che presiede alla Fabbrica de’ Vascelli, ed all’esazione de’ diritti sulle Mercanzie. Si ha in cinque Città, ma il principale è quello di Amsterdam. Si compone a similitudine degli altri. Qualche cosa è da dire della Carica di Capitano, e Governator Generale. Nella prima formazione di questa Repubblica fu necessario conferire a qualcuno autorità più che ordinaria, affinchè potesse operar vigorosamente contro il Re di Spagna.
Guglielmo Principe d’Oranges fu il primo, e si portò talmente, che lo chiamano il fondatore della Repubblica. Chi è in tale dignità dispone di tutte le cariche Militari in Terra ed in Mare; e dispone anche di molte delle Civili nelle Città. Dopo la morte dell’ultimo Guglielmo, che fu anche Re d’Inghilterra, non hanno più conferito tal grado. Tre Provincie hanno dichiarato loro Statholder il presente Principe d’Oranges, ma sono le più deboli, e sono state molto disuase, e contraddette dall’altre.
Le imposte in Olanda dopo la Guerra passata, in cui si aggravò il Pubblico di eccessivi debiti, sono incredibili, e superano quelle d’ogni altro Paese; ma per due ragioni le soportano volontieri: L’una che ognuno è impresso di dar per la Patria, e per il proprio interesse: L’altra che il danaro abbonda tanto, che si può soccombere a tutto. Pochissimo si è estinto dopo la pace, perchè si è pagato da una parte, e fatti nuovi debiti dall’altra. Cinque milioni si sono presi a censo anche due anni fa, ma il debito è quasi tutto intrinseco, e se ne forma la rendita di molti dei principali, e di molti altri particolari, i quali senza questo non saprebbero che fare del danaro.
Ora a’ proposito nostro ecco una Repubblica comune a tutti, e che interessa egualmente ognuno in tutto il suo paese; eppure non più di cinquanta persone, le quali formano sette voti, la rappresentano. Ecco come ogni Città grande, o piccola che sia, influisce nelle Pubbliche deliberazioni; onde ognuno considera per proprio affare quanto alla Repubblica appartiene. Quindi è, che quando nelle guerre co’ Francesi, e cogl’Inglesi perdettero alle volte sino a sessanta Vascelli, tornarono fra pochissimo in mare con altrettanti, perchè ciascheduno accorreva con l’oro, e come se si fosse trattato di sostenere la propria casa, che minacciasse di andar in rovina.
Mi dilungherei troppo, se volessi addurre tutte le osservazioni, che in altre lettere del nostro Autore che si potrebbero fare sopra più altri Governi. Basti accennare, come in essi ancora si trova di che confermare, quanto ha proposto.
La Repubblica de’ Svizzeri, benchè ristretta in angusti confini, a confessione di ognuno, è assolutamente inespugnabile; ed invano le più grandi Monarchie impiegarebbero per debellarla le forze loro.
Ebbe debol principio intorno all’anno 1308 per le tirannie, che i Governatori dell’Imperatore Alberto esercitavano in quei Paesi. Crebbe poi per l’unione d’altre Città, e d’altre Terre. Costa ora di tredici Città, le quali co’ paesi a loro sottoposti formano tredici Repubbliche dette Cantoni. Ognuna è egualmente Sovrana, ed arbitra nel suo Distretto; ma in ciò che spetta al Comune della Nazione, formano una Repubblica sola; e non si potrebbe toccare qualunque picciolo luogo o dell’una e dell’altra, che non accorressero alla difesa egualmente tutti. Ogni Cantone manda i suoi Deputati a Bada, dove nel mese di Giugno si tratta di quanto appartiene al comun interesse, ed alla Repubblica in Corpo. Si determina secondo la pluralità de’ suffragi. Troppo lunga cosa sarebbe il metter innanzi agli occhi l’intrinseco, e particolar Governo d’ogni Cantone, che quasi ognuno varia; ma per quanto fa al caso nostro basta avvertire, che non sarebbe punto terribile questo Corpo, se alcuna delle maggiori Città, come Zurigo, Berna, o Basilea ne fosse talmente Capo, che non partecipassero dell’istessa libertà i membri ancora. Si tien per insuperabile, perchè nel Governo grandi o piccioli, che sieno i luoghi, sono egualmente interessati tutti.
Può dirsi Repubblica anche la Svezia, perchè la suprema autorità negli Stati della Nazione risiede. Da questi eleggersi deve il Re, benchè si sia fatto sempre per succession di Sangue, senza escluder le femmine; nè il Re prende risoluzione importante senza chieder il parere, ed il consenso degli Ordini. L’ultimo Carlo XII. col suo spirito bellicoso si era arrogato maggior potere, e quasi dispotico; ma alla sua morte la Nazione ha rimesso le cose sull’antico piede, ed ha eletta le presente Regina Ulrica Sorella del morto Re, benchè non fosse la maggiore, fissando Decreti per l’avvenire. Delle prime Dignità li Stati hanno la nomina, presentando tre, tra quali scieglie il Re a suo piacere; ma gli Stati sono sempre composti di quattr’Ordini; Nobiltà, Clero, Cittadini, e Paesani. Singolare è però, che i Contadini ancora quivi formano una parte di Repubblica, e questa non ingiustamente, mentre di quella condizione è la maggior parte dell’umano genere, ed è quella che fa viver le altre. Singolare è quivi ancora, che il Clero non abbia la preminenza, e formi l’Ordine secondo; ma tuttochè i Cittadini e i Paesani formino due degli Ordini, non per questo moltiplica troppo il numero, perchè dalle Comunità degli uni, e degli altri s’eleggono alcuni pochi per intervenire, e rappresentar tutti nel Generale consesso. Ora questo concorso d’ogni genere, e d’ogni condizione di persone convocate da tutto il Regno vien ad interessar tutti, ed a render tutti pieni d’affetto verso la Patria.
Ancora più è Repubblica la Polonia, dove il Re si elegge dalla Nazione con pieno arbitrio; e dove il medesimo niuna risoluzione d’importanza può prendere senza il consenso degli Stati; anzi se lui volesse formare qualche atto contrario alle costituzioni della Nazione, il Cancelliere ha potestà di rifiutare di porvi il Sigillo. Gli Stati per la Dieta Generale si compongono di Vescovi, Palatini, Castellani, de’ primi Uffiziali della Corona, e della Nobiltà. I Vescovi sono al numero di sedici, ma vi si uniscono altri Prelati. L’Arcivescovo di Gnesna è Primate del Regno, ed in tempo d’Interregno è Capo, e Reggente la Repubblica. I Palatini che sono come i Governatori delle Provincie, chiamate quivi Palatinati, sono trentadue. Questi presiedono alle adunanze della Nobiltà. In occasione di radunare le Truppe si mettono alla testa ciascun di quelle del suo Distretto. I Castellani sono quasi Luogo-Tenenti de’ Palatini, e Capi della Nobiltà. Le gran dignità sono cinque per la Polonia, e cinque per la Lituania. Tutti i sopraddetti compongono quello, che si chiama il Senato. Vien appresso la Nobiltà, che sola in Polonia è capace delle Cariche, e sola può posseder beni stabili, non essendo ciò permesso a’ Paesani, e neppure a’ Cittadini, se non in tenue quantità, ed in vicinanza delle Città stesse. E perchè la Nobiltà è in grandissimo numero, non tutta va alla Gran Dieta; ma in ciascun Palatinato si raduna in particolar Assemblea, ed elegge Deputati col nome di Nunzj, i quali manda ad intervenire, ed a significare la sua volontà nelle Diete Generali. In questi Deputati consiste principalmente, e spicca la libertà della Nazione, e la manutenzione delle Leggi; e in questi è parimente, che riconosciamo la moderna avvedutezza, perchè sebbene il loro non è picciol numero, non è però illimitato, ed eccessivo, come sarebbe se gl’infiniti Nobili tutti v’intervenissero.
Si può computar per Repubblica anche l’Impero Germanico: Dopo la Bolla d’Oro di Carlo IV. di tutta la Germania si è fatto un Corpo. Ogni Principe, ed ogni Comunità, che ha Dominio grande, o picciolo che sia, e in qualunque parte di essa, ne è membro. Il suo gran Consiglio si chiama Dieta, ch’era solita convocarsi secondo le occorrenze, ora in una Città, ora in un’altra. L’anno 1662 si fissò in Ratisbona, e diventò permanente, e continua: Chiunque ha voto tiene a Ratisbona un Ministro, perchè intervenga.
Tre sono i Collegj di questa Dieta: Il primo è di nove Elettori, il secondo de’ Principi, ed il terzo delle Città Franche. Alla testa del primo è l’Imperatore, o il suo Commissario, Ufficio di gran dignità, Presidente di esso, che vien detto Direttore, è sempre l’Elettore di Magonza, dal quale però si propongono le materie. I voti degli Elettori si danno in carta. Quando i due primi Collegi sono concordi, si nota, che è a pieni voti: in caso fosser discordi, dovrebbe prevalere quello, a cui si unisce il terzo; ma d’ordinario l’assenso del primo Collegio suol tirar seco gli altri, perchè sono in esso i più potenti Principi della Germania. Nel secondo Collegio sono tutti gli altri Principi Ecelesiastici, e Secolari; e perchè tra questi si contano anche piccioli Signori, e Conti dell’Impero, questi non hanno voto personale, ma dall’union che si chiama Curiato. Quattro adunque voti Curiati si formano dai Conti, e due dagli Abbati ed altri Prelati. La Presidenza di questo Collegio è del Duca d’Austria, e dell’Arcivescovo di Saltzburgo a vicenda. Il terzo Collegio è composto dei Deputati e Ministri delle Città libere di Germania al numero di quaranta. Ogni Collegio ha il suo luogo da raunarsi, ed una Sala vi è per l’Assemblea Generale di tutti e tre, dove in capo è una spezie di cattedra per l’imperatore; di qua, e di là in fronte un gradino più basso due Banchi per gli Elettori o loro Ministri. Dalle parti lateralmente appoggiati alla muraglia sono i banchi per il secondo Collegio, e nella parte inferiore in due linee quelli per il terzo, e per li Segretarj: tutto nudo, schietto, e senza alcun ornamento, con l’antica semplicità.
In questa Dieta l’Imperatore dimanda l’ajuto dell’Impero o contro i Turchi, o contro la Francia, secondo occorre; ed in questa si determina la contribuzione, che ogni membro è tenuto dare a rata porzione, come fu già stabilito. Tal contribuzione si chiama in Tedesco mesi Romani, perchè serviva una volta al viaggio, che l’Imperatore faceva a Roma per coronarsi. Questo general concorso di tutta la Nazione, e de’ grandi e piccioli Signori, e parimente delle Città, e questo arbitrio del sì, e del no, fa una certa immaginazione di libertà, che giova alla Germania infinitamente, e tiene tutti contenti, ed in occasioni difficili eccita, e commove ognuno a difesa della Patria Comune.
Tutte le Repubbliche sinora rappresentate, sono esempj che meritano d’essere imitati, perchè hanno a loro favore la facilità della riuscita, e la sicurezza dell’effetto. Se nel seguito del 1400, quando i Veneziani estesero il loro Dominio in Terra-Ferma, e vi acquistarono insigni e Nobilissime Città, avessero imitata l’idea Romana, con farle partecipare della libertà, e con introdurle in qualche modo nella Repubblica, egli è indubitato, che la maggior parte dell’Italia sarebbe spontaneamente venuta a lor divozione. E se nel far questo avessero eletto il metodo dei Moderni, senza indurre confusione popolare con l’eccessiva moltitudine, egli è certo, che si sarebbero mantenuti felicemente senza incontrare il disordine de’ Romani. Ma in quel tempo le buone lettere Latine, e Greche non erano rinate ancora, onde non era possibile di conoscere per qual massima, e con qual sistema fossero arrivati a tanto Dominio i Romani; ed i Governi Inglese, Olandese, e gli altri descritti non erano formati ancora, onde non si potevano considerare gli effetti, che il loro modo vien a produrre. Al presente, che gli antichi Scrittori ci sono resi così famigliari, e che queste nuove Repubbliche ci stanno dinanzi agli occhi, niente osta al far uso del beneficio degli studj, e del vantaggio de’ tempi; e poichè l’ingrandimento degli altri Principi, la nuova faccia delle cose d’Italia, e la facilità con cui si è preso ad arbitrar de’ suoi Stati, ci mettono in necessità di crescer di forze per non rimanere a discrezione altrui, e di prender qualche importante provvedimento per la nostra perpetua conservazione, facilissimo sarà l’imitare gli Antichi, usandovi la correzione de’ Moderni.
Sarà forse opposto, che questa sarebbe novità, e che le novità sono da fuggire; ma a questo ben facile è la risposta. Sono da fuggire le novità, quando rimanendo le cose nell’esser suo non se ne ha ragionevole ed urgente motivo; ma se le circostanze cambiano, ogni prudenza vuole, che si cambi altresì condotta, e che si adatti all’emergenze di mano in mano. In così fatte deliberazioni debbono servire di norma gli esempj, e quelli singolarmente de’ nostri maggiori. Ottocento anni aveva continuato la Repubblica nostra con Governo popolare, quando nel 1297 Pietro Gradenigo fece la gran novità di serrare il Consiglio, e di ridurlo alla costituzione presente. Ebbe così gran contrasti la sua risoluzione, ma dalla maggiore, e miglior parte fu sostenuta, e da tal novità dee questa Repubblica la sua vita; perch’è da credere, che continuando in quella forma di Governo, troppo pericolosa nel naturale degl’Italiani, avrebbe corsa col tempo la sorte di tutte l’altre Repubbliche della Lombardia, e di Toscana, le quali dal popolar tumulto distaccar non si seppero.
Ancora potrebbe oppor taluno, che moltissimi sono in Terra-Ferma, quali punto non pensano a così fatto miglioramento di condizione, i quali non ci averanno senso, e però non per questo diventeranno appassionati per la Repubblica. Questo è vero: Non mancano certamente uomini, che vivono come le Talpe, che altro pensier non si prendono, se non quello della minestra di giorno in giorno, e di vili piaceri, che dalla piena ignoranza son fatti stolidi, e dalla bassezza dell’idee sono resi vili; ma di questi se ne trovano in ogni parte, e con tutto ciò vediamo, come in ogni parte preval l’altro genere, e come dai più attivi sono alle occasioni illuminati, ed eccitati ancora gli altri. Così avverrà senza dubbio anche nello Stato. La prudenza politica insegna a non far conto della peggiore, e della minor parte; e tanto più che su le persone di tal carattere come parimente su gli adulatori, e facili a prostituirsi, non può il Principe mai far fondamento alcuno, perchè da tal gente non si può aspettar che tradimento, quando avversità, e disastrose congiunture presentinsi. Questa è la ragione perchè gratissimo era a’ Romani, vedere amor di libertà nei Popoli, e franchi, e generosi sentimenti udir da loro, come apparve singolarmente nel piacer, con cui udirono il parlar libero e franco dei Legati di Rodi in Senato, il che da Tito Livio s’impara. Sapeano essi per lunga prova, come dagli uomini vili, e pronti alla servitù, non si può aspettar valore, nè fede, se non forse sino al punto del maggior uopo.
Poichè però alcuna opposizione a questo progetto non si sa vedere, temperamento studiar conviene, per il quale l’incorporamento, che far vogliamo, nè sia così tenue e superficiale, che sembri una beffa; nè sia tale e tanto, che il minimo pregiudizio, o variazion veruna inferir possa al presente sistema del Governo. L’esempio delle Repubbliche, le quali in oggi più trionfano, ci hanno additato il metodo. Pochi hanno da esser quelli, che dalla Terra-Ferma vengano in Consiglio; ma que’ pochi hanno da esser eletti da moltissimi, e da quanto maggior numero è possibile. Conviene dare la Nobiltà Veneta non alle persone, ma alle Città ed ai Paesi in Corpo; e bisogna che le Città, ed i Paesi trasfondano tal Nobiltà ne’ loro Deputati; la qual Nobiltà sia personale, ed annessa all’Uffizio, e non passi nelle Famiglie, nè in verun altro. Par convenevole, che le maggiori Città due Deputati mandino, e le minori uno. Tal distribuzione con riguardo alla proporzione, ed agli altri requisiti, sarà peso di chi venisse per avventura incaricato di perfezionare, regolare, e ridurre in atto il Progetto; ma in somma con una ventina incirca di Deputati par che l’Italia Veneta convenevolmente possa esser rappresentata tutta. Qual diversità vien mai con questo a prodursi nella Repubblica? Riguardando al nostro intrinseco questo non merita nome di novità. Che siano nel gran Consiglio mille persone, che ve ne siano mille e venti, qual differenza ne nasce, qual variazione ne segue?
Lo Stato ha quantità di Famiglie così illustri, ed in altri tempi così rinomate, che non cedono per certo a quelle di qualunque altro Paese, e que’ cognomi inseriti fra i nostri per ragione dei Deputati non ci faranno certamente vergogna. Potrebbe ordinarsi, che non fosse eletto, chi non abbia a cagion d’esempio 300 anni di Nobiltà, il che supera ogni altra prova, che altrove se ne faccia; qualche altra onorevole condizione potrebbe aggiungersi, se sarà stimato bene. I Deputati par che debbano essere in vita, e debbano risiedere in Venezia, e goder titoli, e prerogative comuni agli altri Nobili. Sembra onesto, che le loro Comunità assegnino ai medesimi un onorario, quale compensi una parte della spesa. Con questo Venezia avrà dentro di se venti Nobili Famiglie di più, e vi sarà secondo ogni ragione il fiore degli uomini savj di tutto lo Stato; il che non sarà per certo picciolo, nè disprezzabile vantaggio. Abbiamo veduto, che Roma fu Roma, perchè agli uomini rari, ed eccellenti d’Italia dava adito nella Repubblica.
I Deputati par che dovessero per se aver titolo a poter esser ballottati per il Senato. Il titolo, e la ballottazione non gli fa Senatori; il farli o no resterà in arbitrio del Gran Consiglio; ma da una parte bisogna far vedere, che il grado Patrizio vien conferito alle Città in tutta la sua perfezione, e dall’altra non bisogna privarsi d’ammetter nel Senato qualcuno di quel numero, che talvolta per la sua cognizione, zelo, e prudenza fosse molto utile avere. Principalmente per questo ammettevansi forastieri in Senato dai Romani.
Resterà a vedere se debba estendersi il Privilegio anche fuor d’Italia, ed ammetter anche Deputato Dalmatino, ed un Greco. Questo si rimetterà alla prudenza, alla cognizione, ed alle riflessioni di chi maturerà il progetto. I Corsi nella sollevazione, che bolle ancora, per cui vogliono sottrarsi dal Dominio della Repubblica Genovese, adducono per uno de motivi l’esser esclusi da ogni partecipazione di Nobiltà, laddove quella Repubblica ha in uso d’aggiugnere ogni tanto tempo senz’alcuna ricognizione quattro Famiglie della Città; e quattro dello Stato. Dimandano però di godere lo stesso privilegio anch’essi, stantechè essi pure sono Italiani, e non già Stranieri.
Questo fatto merita considerazione, e la merita ancora il professare, che non averebbero tal pretensione se non fossero della Nazione stessa.
Nell’esecuzione di questo piano avvertenza converrebbe avere sopra tutto, che all’elezione de’ Deputati, ogni Ordine, ed ogni condizion di persone abbia qualche parte. Le Città hanno ciascheduna il loro Consiglio; ma se in alcuna ei fosse troppo ristretto, convien ordinare più ampia radunanza per quell’occasione solamente. Le più delle Città hanno Consiglio Nobile, ma per quel giorno più altri è necessario vi abbian luogo; come a dire qualcuno, che rappresenti que’ Cittadini, i quali vivano d’entrata, qualche Mercante, che rappresenti la Mercatura, un Anziano d’ogni Arte principale, un Mandato d’ogni Corpo insigne, come sarebbe di Università, Collegj di Giurisconsulti, di Medici, di Nodari. Bisogna vi entrino almeno quattro per il Clero, ed almeno altrettanti per il Territorio. Se nel Territorio si trovano Terre Grandi, e Nobili, un Deputato da quella Comunità solennemente eletto dee per quel giorno venire in Consiglio. I Villaggi in Corpo debbono eleggere a ragguaglio di quel metodo, che tengono i Territorj per eleggere i Sindici, Nuncj a Venezia, ed altri Ufficj loro.
Perchè questa nuova incorporazione faccia ben tosto l’effetto, che far dee, convien, che in ogni Città, ed in ogni Paese uomini di credito, e di considerazione, e ben affetti al Dominio ne parlino ampiamente, la facciano ben intendere a tutti, esaltino la benignità del Principe, e mostrino, come ora l’interesse della Repubblica sarà ugualmente interesse di tutti. Conviene, che ne siano tenuti saggi e pubblici ragionamenti ne’ Consigli, che ne siano fatti fuochi d’allegrezza nelle Città, e nelle Terre, e che ne siano mandate Ambascierie di ringraziamento a Venezia.
Quando tutto lo Stato sarà contento, e sarà vincolato in questa maniera, ed interessato nel Dominio; e quando ogni ordine di gente, e la Nobiltà soprattutto sarà impressa, che la Repubblica è cosa anche propria, e che nella sua conservazione anche la propria libertà, e la propria dignità consiste, non è possibile, che non si risveglino subito que’ sentimenti nobili verso la Patria, che in ogni altro paese, ove tale, o corrispondente sistema corre, si veggono. La natura è da per tutto l’istessa. Non è possibile, che non si desti subito quella generosa ambizione, e quell’amore verso il proprio Pubblico, che fa il primo Capitale anche delle grandi Monarchie. Per qual ragione prima Potenza d’Europa è la Francia? Non per altro se non perchè i Francesi sono tutti sommamente appassionati, e sempre pronti a sagrificar tutto per la Nazione, per l’interesse Pubblico, per il Re. Questo fa quel Monarca il più ricco, questo lo fa il più forte. In quest’ultima guerra, quando il Ministero aveva già risoluto di muoverla, fu fatto disseminare per Parigi, e per le Provincie, che l’onor del Re (da una risposta della Corte Imperiale, e dall’opposizione che l’Imperatore voleva fare al Padre della Regina in Polonia) era offeso. Tanto bastò, perchè non la Nobiltà solamente, ma ogni ordine di persone, e fino i menomi Artisti gridassero Guerra, e perchè ognuno si professasse pronto a contribuire quant’occorresse di straordinario, benchè per altro tanto montino le ordinarie imposte. Il concorso della gioventù Nobile, e de’ principali Signori fu tale, che convenne disgustar moltissimi, perchè non si potè dar luogo di servire a tutti, ed è notabile, come li stipendj sono così tenui, che la maggior parte servendo si rovina. Ma in quel Regno persona di conto non può comparire con onore in pubblico, se non ha fatto campagne, e se non ha contribuito, almeno per qualche tempo, ed in qualche modo l’opera sua al pubblico interesse, ed al bene dello Stato. I più nobili singolarmente, ed i più ricchi sino dalle donne sarebbero guardati con disprezzo, se non impiegassero nel servizio le facoltà, e le persone.
Non è da farsi punto maraviglia, che tale idea, e tale spirito viva in quel Governo benchè Monarchico. Gran differenza corre da Regno a Regno. Quando signoreggiavano a cagion d’esempio i Longobardi in Italia, il Re era straniero, e i Duchi, che di quella barbara Repubblica venivano ad essere gli Ottimati, ed ognun de’ quali governava una Città come Principe, erano tutti di loro Nazione. Gl’Italiani dunque esclusi, anche dalle dignità, erano tenuti in servitù; e però ne avvenne, che al primo Straniero Esercito venuto in Italia, il Regno de’ Longobardi ebbe fine, e perdettero in pochi mesi, quanto avevano pacificamente goduto per dugent’anni; essendo che punto gl’Italiani non si mossero, nè vollero prender l’armi per conservare ad altri il Dominio. Ma i Francesi si elessero a principio un Re della propria loro gente, e se l’hanno sempre mantenuto. Le molte dignità, e tutti i Supremi onori Civili, ed Ecclesiastici, Militari, e Ministeriali, sono tutti a loro distribuiti. Idolatrano però il Re, come fonte della loro grandezza, e come centro della loro gloria, e da questo viene a seguirne l’istesso effetto, e l’istessa disposizione degli animi, che ne’ Governi liberi, e nelle Repubbliche. Anzi molto maggior cura debbono porre quelle Repubbliche, le quali dominano altre Città Illustri, per compensar loro in qualche modo quella proprietà esclusiva, che per necessità porta seco un Principe, il quale insieme può anch’essere Ministro, e Governatore, e Vescovo, e Generale, ed Ambasciatore, dove il Re non può esser altro che Re.
Ora non abbiasi dubbio alcuno, che quando l’ambizione di Società, e l’immaginazione di proprio interesse per virtù del general concorso nell’elegger que’ Deputati, che debbono per loro in Venezia risplendere, avrà guadagnato tutti, non si cambino in un tratto le vergognose massime, ed il vergognoso vivere, che ora regna nello Stato. I costumi vengono in gran parte dalle opinioni, e molte opinioni nella forma de’ Governi hanno la radice. Rinunciarono gl’Italiani alla gloria dell’armi, quando non ebbero più modo di usarle, se non come Servi, e per beneficio altrui; onde s’impressero esser follia ad esporre per altri la vita. Ma vedransi nel nostro Stato rivivere le antiche idee, quando dalla partecipazione della Repubblica saranno risuscitate. Non si crederà più allora vergogna, nè segno di povertà il servire militando. Non si crederà più onore il defraudare i pubblici diritti, ed il non pagar ciò, che per la conservazione comune ci vuole. Non inseriranno più le Madri ne’ lor fanciulli viltà di sentimenti, ed orrore al mestier dell’armi: Si faranno vergogna i Nobili, ed i ricchi di far la sua vita nell’ozio, e nella dissolutezza: Non mancherà chi si faccia gloria di spender il suo per servizio Pubblico; si conoscerà allora il vantaggio di metter la milizia in riputazione, e di cercar d’avervi, come negli altri Stati si fa, le Case più distinte, e non si anteporrà più chi è di minor condizione, perchè ne ha più di bisogno, o perch’è più facile ad avvilirsi.
Con l’esempio de’ Principali, e con la loro scorța non mancheranno più i Soldati, nè saremo costretti a profondere più l’oro in paesi lontani per aver gente, che serva pochissimo, che non intenda il nostro comando, che abþorrisca il nostro nome; e che quasi del tutto sia inutile. Il Macchiavelli, ne’ suoi discorsi politici, niente batte con più forza, quanto il gran discapito di chi si vale di truppe straniere, e non sue.
Nell’ultima Guerra, quando si principio l’assedio di Dulcigno, i Grisoni, ch’erano al nostro soldo, ricusarono di marciate, e d’ubbidire, perchè erano creditori di giorni quindici di paga: dico giorni quindici! Alcuni loro Ufficiali, ritornati al paese, mostravano lunghi sacchetti di zecchini, e ridendo metteano in burla in più modi, chi gli aveva loro dati, vantandosi della frode, e del disprezzo, con che avevano servito. Chi fu nell’anterior guerra di Morea ben sa qual differenza corresse sempre tra i Soldati Marcolini, e i Tedeschi.
La difesa di Corfù si sa da chi era sul fatto, e si trovò testimonio più volte, come al General Sala deve indispensabilmente ascriversi. Per non mancar di Soldati, e di Agricoltori, e d’altri mestieri converrà altresì poi metter freno all’inconsideratezza di que’ Vescovi, cha fanno migliaja, e migliaja di Preti, dove poche centinaja sarebbero di soverchio. Non si può in poche parole far conoscere quanto pernicioso sia allo Stato, alla dignità di quell’Ordine, ed alla buona disciplina Ecclesiastica tale abuso. I privati Baroni del Regno di Napoli usano in questo maggiore autorità de’ gran Principi; poichè ne’ loro Feudi non può chiunque sia farsi Ecclesiastico senza licenza del Signore, o di quello che a ciò presiede; il qual però prima di darla può esaminare, se in quelle Terre vi siano Chierici abbastanza, e se la vocazione è sincera, e sana, o nata da spirito di ozio, o d’ambizione. Nell’ultimo Concilio di Roma, questo privilegio de’ Baroni del Regno è stato derogato, ma le cose vi corrono come prima, perchè il Concilio in questo punto di disciplina non è stato accettato.
Ed ecco finalmente quant’ho saputo ricavar dal libro, del quale mi è stat’ordinato di far relazione, e dalle lettere, che dal medesimo Autore ho vedute. Accenna egli in più luoghi d’aver pensati diversi ripieghi, i quali pare a lui metterebbero l’interesse, e l’erario Pubblico in positura mirabilmente migliore; ma siccome tutto ha la prima radice nel Progetto, da me qui esposto, così crede inutile il passare avanti prima di sapere, se delle presenti sue considerazioni possa farsi alcun caso!
IL FINE.