Codice cavalleresco italiano/Prefazione
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PREFAZIONE
Con la quattordicesima edizione gli esemplari stampati di questo Manuale (escluse le contraffazioni) toccano il quarantesimo migliaio.
Ciò prova che il contenuto del libro corrisponde alle condizioni morali e d’intelletto dell’ambiente sociale, a cui l’argomento particolarmente si dirige.
Il merito di ciò non spetta all’Autore. La vanità, se in me non dominasse il senso del giusto e del vero, potrebbe indurmi a dire una bugia, incompatibile in un libro che si occupa di onore, esponente di verità e di rettitudine. Dunque, per essere gentiluomo nel senso esatto della parola, conviene confessare che il merito principale dell’accoglienza favorevole fatta a questo volumetto dal pubblico italiano tocca a quelle persone, preclare per ingegno ed eminenti per conseguita posizione sociale (e qui intendo, posizione morale), le quali vollero essere con me generose di parere e di consiglio, ogni volta che le richiesi di indicarmi la via da seguire per raggiungere lo scopo civile che mi ero prefisso.
Il lettore in questa nuova edizione troverà qualche giunta importante, e giudizi nuovi in fatto di giurisprudenza cavalleresca, frutto di una esperienza di otto lustri di pratica in materia di vertenze d’onore.
Il sentimento di lealtà scrupolosa, che nel passato era il carattere principale delle vertenze cavalleresche, si è affievolito tanto, da scomparire quasi completamente. Purtroppo codesto abbassamento morale nelle questioni d’onore oggi si approssima allo zero. Le vertenze spesso mascherano con la forma cavalleresca fini non sempre confessabili; e i mezzi adoperati per risolverle, sovente hanno poco da invidiare alle mene losche della malavita e della teppa.
Individui notoriamente mantenuti da vecchie cialtrone; persone convinte di aver corretto sapientemente la fortuna avversa nel giuoco; signori che vivono di ripieghi, perseguibili dal Codice penale, si intrufulano in quello cavalleresco: dettano legge di onore; s’impancano Catoni e bistrattano il più nobile carattere della personalità umana: l’onore, e non sanno com’è fatto.
È gente surta dal fango morale, che profitta di qualsiasi occasione per sbraitare, insultare, magari aggredire le persone da bene, perchè ritiene essere codesto il mezzo più vantaggioso per far credere ch’essa non appartiene alla classe dei farabutti, nella quale da tempo l’ha collocata l’opinione pubblica. Guai a chi fa intoppo alle sue mire disoneste!
A mie spese ho imparato quanto sia pericoloso attraversare i disegni loschi di codesti briganti in marsina. Ho resistito, lottato e, quando l’ho potuto, smascherato codesta ciurmaglia cavalleresca. Ma che cosa possono fare pochi onesti coraggiosi contro tanti bricconi audaci? Possono far molto, se sorretti dalla stima e dalla simpatia degli onesti.
La cavalleria moderna ha perduto i caratteri di boria e di sciocca presunzione del Settecento. Oggi essa ha la sua base incrollabile nella onestà, nel rispetto e nel lavoro.
L’opinione pubblica odierna non è più propensa al duello come lo era per il passato. Il fenomeno duello è in diminuzione, sebbene in grande aumento sieno le cosidette vertenze cavalleresche. Ma queste non si risolvono più, come nei tempi andati, esclusivamente con la violenza delle armi; molte vengono sistemate con accomodamenti pacifici, onesti e civili. Ed infatti, mentre la media annuale dei duelli era di 279 per il decennio 1879-1889, nel successivo discese a 125; tra il 1900 e il 1914 a 65; e dal 1916 a 40, sebbene l’attuale nobile fermento patriottico abbia in questi ultimi due anni riportato la media a 60.
Le cause di questi risultati? Predominio del buon senso, il quale ha finito per convincere la maggioranza della vanità del combattimento singolare, il quale non è prova di coraggio e tanto meno di verità: lo sviluppo repentino delle industrie prospere e dei commerci proficui, che ha sottratto all’ozio e alla vanità personale energie potenti, insegnando loro la vera essenza dell’onore: onestà, rispetto e lavoro. L’istituto del Giurì e della Corte d’onore e dell’Arbitraggio, che in questi ultimi tempi ha raccolto la più abbondante messe nel campo della soluzione onesta, pacifica e civile delle vertenze, perchè rafforzato dal discredito in cui è caduta la cavalleria, da quando si sono scoperte le turpi azioni commesse, o che si possono commettere, dietro il paravento delle leggi d’onore.
Il concetto fondamentale di questo Codice è quello di una ben sentita limitazione del duello, favorendo, per quanto è possibile, la funzione dell’arbitraggio, e del Giurì e della Corte d’onore per risolvere pacificamente e con onesta reciproca soddisfazione le questioni cavallercsche; offrendo mezzi opportuni per combattere efficacemente le sopraffazioni; ed infine, regolando quei pochissimi casi, nei quali, allo stato attuale delle cose, fosse impossibile o quasi la soluzione fuori dalle armi.
Per dare a questo manuale cotale nuova impronta civile, nei giudizi mi sono dovuto allontanare dai criteri di coloro che mi precedettero nella trattazione dello stesso argomento; nè mi preoccupai se taluni principi da me sostenuti, potevano o meno trovarsi in contrasto con elementi giuridici (e di ciò m’è stato più volte fatto cortese rimprovero), in quanto non intesi mai con questo libro dare al pubblico un trattato di diritto cavalleresco, ma una guida pratica, capace di raggiungere, con mezzi modesti, un fine grandemente civile e morale: Ridurre al minimo possibile il duello.
Nel seguito dirò se il concetto, che mi fu guida costante in questo lavoro, fu giusto, e se raggiunse, e come, la finalità umana che mi ero proposto.
In questi ultimi tempi vari elementi nuovi hanno fatto o fanno sentire la loro influenza sul costume di duellare. Essi sono: la penetrata coscienza dello istituto (vantaggioso e civile) del Giurì e della Corte d’onore in sede d’appello; il Decreto del 4 ottobre 1908, che regola le questioni d’onore nella milizia.
Vi sarebbe un altro elemento da considerare, e cioè: le Associazioni contro il duello, sorte per iniziative lodevoli private. In seguito, però, alle indagini fatte sugli effetti pratici ottenuti da codeste benemerite associazioni, ho dovuto convincermi, col rincrescimento più vivo, che l’azione eminentemente moralizzatrice da esse esercitata non ha prodotto i resultati attesi; e ciò, non tanto per il carattere confessionale ingiustamente attribuito loro, quanto per la funzione da esse svolta in ambienti per loro natura già avversi al duello.
L’idea di affidare ad un Giurì o una Corte d’onore il compito di definire, senza ricorrere al duello, le vertenze cavalleresche, è vecchia da secoli. Il merito però di averla fatta rivivere nella discussione pubblica spetta ai compianti Paolo Fambri e generale Achille Angelini. Il primo non risparmiò fatica di parola e di penna per dimostrarne la opportuna utilità, mentre il secondo la confermò nel suo Codice cavalleresco sotto forma di progetto di tribunali d’onore militari, ma con caratteri talmente somiglianti a quelli di un Consiglio di disciplina da renderli poco accetti alla maggioranza.
Lo stesso difetto si riscontra, sebbene attenuato, nel Regio Decreto del 4 ottobre 1908, relativo alla costituzione del Giurì d’onore per i militari. I compilatori di codesto Decreto dovevano aver dimenticato, o in allora non ricordarono, che già dal 1888 la pratica aveva dimostrato che i Giurì d’onore avrebbero potuto ridurre grandemente il numero degli abattimenti cavallereschi, semprechè si fosse lasciata alle parti interessate il diritto di scegliere il proprio giudice nella composizione del Giurì e fosse reso obbligatorio ai giudici di pronunziare un lodo definitivo, invece di lasciar libere le parti di risolvere a loro piacimento la vertenza. Fortunatamente il Ministero della Guerra con recenti Circolari ha dimostrato di aver saputo giustamente valutare la grande importanza del Giurì d’onore, sicchè si può sperare che tra breve emanerà nuove disposizioni, atte a fare scomparire dall’esercito l’abuso, se non l’uso, di duellare.
Il concetto di attribuire alle parti la scelta del proprio giudice nella costituzione del Giurì, fu la guida che mi resse nel 1888 nella costituzione della Corte d’onore permanente di Firenze, assistito da notevoli personaggi, godenti fama di grande rettitudine e di cortesia esemplare.
Appena costituita, alla Corte permanente fiorentina il lavoro affluì intenso da ogni parte d’ltalia e anche dell’estero, sicchè, in meno di tre anni di sua esistenza fattiva ebbe a risolvere pacificamente parecchie centinaia di vertenze cavalleresche.
Le molteplici vicende umane privarono poco alla volta codesta istituzione dei suoi elementi più attivi, sicchè il lavoro si affievolì per deficienza di giudici, e la Corte d’onore permanente fiorentina dopo un periodo di feconda attività, non stagnò, ma a rari intervalli dette prova di esistenza, e lasciò profondamente convinti della eccellenza del Giurì e delle Corti d’onore. Tanto è, che mentre nel 1889 essi rappresentavano una lodevole utopia, nel 1890 risolvevano pacificamente il 25 per cento delle vertenze; nel 1900 codesta percentuale toccava il 50 per cento; nel 1910 il 75 per cento.
La prova, dunque, era stata fatta. I resultati ottenuti nei primi tre anni di vita da codesta Corte avevano dimostrato come il concetto di deferire ad un Giurì e in appello a una Corte d’onore la soluzione delle vertenze private era penetrata favorevolmente nella coscienza pubblica.
Nell’Ottobre 1922, per opera di parecchi gentiluomini la Corte permanente di Firenze riprese la sua attività con una giuria prescelta, a far parte della quale furono chiamati, tra i convenuti, i generali Santi Ceccherini; Filiberto Sardagna; Raffaello Regherini; e i sig. march. Luigi Ridolfi; cav. Pietro Baldi; dott. Francesco Saverio De Ruvo, col. Vacani, ecc. affidando la presidenza allo scrivente. Il lavoro ha ripreso intenso e proficuo e sono già molte le vertenze risolte civilmente 1.
Raccolta l’eredità morale della Corte d’onore, mi avvalsi dei resultati da essa ottenuti per maggiormente insistere in questo Manuale sulla necessità e sulla praticità della istituzione e del funzionamento dei Giurì e delle Corti per la definizione pacifica delle vertenze.
Da prima trovai diffidenza o avversione a codesto concetto specialmente nelle autorità militari, ancora convinte della necessità che un militare dovesse duellare sempre, non ritenendo decoroso per la divisa una soluzione incruenta, per quanto onesta e civile. La lotta per superare codesto ostacolo fu lunga e difficile; ne fui peraltro largamente compensato dai resultati man mano raccolti, consacrando metà del mio tempo a risolvere pacificamente i dibattiti cavallereschi, e l’altra metà a conciliare le parti avverse, restìe alla conciliazione. Ed ora che mi sono inoltrato lungo la parabola discendente di mia vita, penso che non mi si accuserà di immodestia, se mi concedo l’innocuo compiacimento di qui riepilogare i resultati ottenuti in otto lustri di apostolato in favore della civiltà nostra e della pace vera e reale. Sono quattromilacinquecentottantanove2 le vertenze da me risolte in quarant’anni, delle quali quattromilaquattrocentocinquantadue pacificamente, senza l’uso delle anni e con soddisfazione degli interessati. E perchè la media percentuale dei morti in duello è di 1,5, ho la convinzione, profondamente sentita, di avere risparmiato la vita a varie centinaia di persone. Tutte le associazioni pacifiste del mondo, prese insieme, non possono vantare ancora un resultato consimile, sebbene confortate dai vistosi premi Nöbel, che io, naturalmente, non reclamo.
Ora, se un privato e modesto cittadino, senza chiedere mai nulla ad alcuno, spesso anzi avversato dalle stesse autorità costituite, ha potuto ottenere siffatti resultati nel campo della cavalleria ed a favore del bene pubblico, quali frutti straordinari non potrà raccogliere una provvida legge, come quella ideata dall’on. V. E. Orlando, sulla istituzione legale della Corte d’onore?
Il disegno di codesta legge provvidenziale si è trovata per la terza volta davanti al Parlamento, e qualunque buon cittadino deve augurarsi di saperla sanzionata al più presto, perchè non gli è mancato il largo consenso della rinnovata coscienza giuridica della Nazione, la quale, in uno slancio di nuova vita di lavoro meraviglioso, cerca di mostrare la formazione novella dell’anima di nostra gente dopo la Guerra vittoriosa.
Il progetto di legge sulle Corti d’onore, concepito dall’on. Orlando, modifica le norme che regolano il reato di diffamazione in modo da garantire efficacemente la reputazione e la borsa del diffamato. Esso si inspira ad un alto senso di vita sociale, in quantochè all’azione della Corte d’onore sarebbero riservate le controversie, nelle quali il carattere etico prevale su quello penale, ed antepone la riparazione morale a quella coercitiva.
Alla Corte d’onore potrà chiedere riparazione chiunque si ritenga in qualsiasi modo offeso, semprechè nell’offesa non concorrano fatti costituenti reati perseguibili d’ufficio, e quando non sia stata presentata querela.
La Corte d’onore sarà istituita in ogni sede di Corte d’appello, ed eventualmente nelle sedi di Tribunale; e la Corte si comporrà, oltrechè del Magistrato, di due cittadini assessori, scelti di volta in volta rispettivamente dalle parti, ognuna delle quali presenterà una lista di cinque nomi di cittadini che abbiano o abbiano avuto la capacità effettiva o potenziale richiesta per la funzione di giurato.
Nel progetto di legge è, con lodevole e acuto senno, risolto il quesito della contumacia. Se la parte convenuta regolarmente citata, non comparisce senza giustificare un impedimento legittimo, la Corte decide in sua assenza: se la parte attrice non presenta nei termini e nei modi voluti la lista di cinque nomi, il giudizio non avrà più luogo e l’attore decade dal diritto di querela.
Se manca a ciò il convenuto, il presidente sceglie i due assessori fra le persone che possibilmente appartengono al ceto o alla professione delle parti. Come si vede i punti della nuova legge, simili alla pratica cavalleresca sulla composizione dei Giurì, sono tanti da far considerare la Corte d’onore del nuovo progetto di legge come un vero e proprio tribunale o giudizio cavalleresco, al quale sono stati conferiti tutti i poteri di legge per definire in via civile e morale qualsiasi vertenza, in cui sieno in giuoco la reputazione e l’onore di un cittadino.
Il giudizio della Corte non è pubblico; ma le parti possono farsi assistere dai rispettivi difensori. Se la Corte riesce nello intento (e anche qui opera come il Giurì d’onore) della conciliazione, il giudizio ha termine con un verdetto motivato, pronunziato dalla Corte subito dopo terminata la discussione e dichiarato chiuso il dibattimcnto. Particolarità essenziale del verdetto è la possibilità alternativa di sanzioni per le due parti, e cioè, tanto per l’offensore, come ora si pratica nei verdetti di un Giurì d’onore, quanto per l’offeso.
Tra le sanzioni di carattere punitiva riservate alla Corte d’onore precipua è la censura, alla quale può essere aggiunta, a vantaggio dell’offeso, una riparazione pecuniaria non superiore alle diecimila lire; e ciò senza menomare nell’offeso il decoro e tanto meno il diritto di promuovere successivamente, innanzi alla sezione civile della Corte di Appello, azione per la liquidazione del danno.
Il verdetto della Corte d’onore è appellabile con ricorso alla Corte di Cassazione in sede penale, soltanto per eccesso di potere.
I possibili conflitti fra la competenza della Corte d’onore e quella del giudice ordinario sono risolti dalla seconda sezione della Corte di Appello in camera di Consiglio.
La norma giuridica che consente ai rappresentanti la facoltà di rivolgersi alla Corte d’onore nell’interesse dei loro rappresentanti, nel progetto della nuova legge assurge a consacrazione della più schietta moralità; e perciò, qualora i padrini trascurassero di promuovere il giudizio della Corte d’onore, il disegno della nuova legge li priva del beneficio dell’art. 341 del Codice penale, mentre commina la pena della detenzione da un mese ad un anno a chiunque pubblicamente offende una persona o la fa segno in qualsiasi modo a pubblico disprezzo, perchè essa o non abbia sfidato, o abbia ricusato il duello, o sia ricorsa al giudizio della Corte d’onore, ovvero, dimostrando o minacciando disprezzo, incita altri al duello.
È da augurarsi che la nuova legge sulla Corte d’onore, ideata con tanta opportunità di senno pratico e morale dall’on. V. E. Orlando, Ministro di G. e G., venga al più presto approvata dai due rami del Parlamento; nè codesta approvazione potrà mancare al progetto di legge ora descritto nelle sue linee principali, perchè è nel desiderio e nella coscienza pubblica e corrisponde alle esigenze delle cosidette consuetudini cavalleresche, in quanto le integra e le rafforza nella forma e nelle finalità di raggiungere la soluzione del dibattito d’onore in un modo logico, onesto e leale senza fare ricorso alla violenza delle armi, negazione di coraggio, di verità, e di giustizia.
Al raggiungimento di codesto nobilissimo fine di ben sentita umanità e di meglio compresa civiltà è sempre stato diretto questo mio modesto lavoro; e perciò mi è sembrato non inopportuno di armonizzare questa quattordicesima edizione con il progetto della legge sulla costituzione della Corte d’onore, legge che dovrà essere approvata, perchè richiesta e voluta dalla coscienza generale della Nazione. Ed io auguro al nuovo sforzo legislativo dell’on. V. E. Orlando di raccogliere sollecitamente i frutti benefici della sua legge nella proporzione almeno di quelli da me raccolti in quaranta anni di apostolato. La legge è eccellente, umana e cavalleresca ad un tempo, e perciò sarebbe delitto privarne la Nazione, assetata, di giustizia e di tranquillità nella famiglia.
Per rendere pratico questo manuale e per facilitare la soluzione civile, giusta, ragionevole delle vertenze, senza offese alla morale, al buon senso e al diritto, in questa edizione ho riferito le massime fondamentali cavalleresche, che formano la legge, ed ho commentato taluni principi cavallereschi sanciti dalle Corti d’onore e dai Giurì.
Le massime fondamentali (leggi indiscusse) sono state desunte dai lodi e dai verdetti pubblicati nelle varie gazzette del tempo, e le avrei riprodotte in estenso se la natura del libro, codice e non repertorio di giurisprudenza cavalleresca, me lo avesse concesso.
Richiesto di parere cavalleresco su verbali o su verdetti di Giurì, dissi il mio pensiero modesto con la sincerità abituale. Però, mi astenni sempre dallo entrare nel merito delle questioni. Ciò malgrado, codesti miei pareri, naturali e doverosi, spiacquero a taluni firmatari di verbali o di lodi che si dicevano conformi al Codice Cavalleresco Gelli.
Ora, a me pare di avere il diritto di giudizio, quando i verbali e i lodi, che si dicono conformi al Codice Cavalleresco Gelli, ledono la forma cavalleresca o ne offendono la sostanza. Non è giusto che a me, al mio modesto lavoro, vengano addossati gli errori altrui; e, rilevandoli, io credo di esercitare un naturale diritto di tutela del mio decoro e del mio buon nome. Di conseguenza, chi non desidera il mio spassionato parere, si astenga dallo affermare che gli spropositi commessi sono.... conforme ai dettami, ecc., del Codice Gelli. Tutti commettiamo errori, e a me bastano quelli che faccio io, senza caricarmi degli altrui!