Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo VIII

Tra chi non può aver luogo il duello

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Tra chi non può aver luogo il duello
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VIII.

Tra chi non può aver luogo il duello.

ART. 241.

Il duello non può aver luogo:

a) tra parenti di primo grado, e cioè tra padre e figlio; tra fratelli consanguinei od uterini; tra zio e nipote; tra cugini consanguinei in primo grado; tra suocero e genero;

Il duello è interdetto (per quella e sola determinala vertenza):

b) a chi pretendesse battersi alterando le prescrizioni del Codice cavalleresco, o dichiarasse a priori di disconoscere la legge e l’autorità della Corte d’onore;

Nota. — Sotto il nome di Codice cavalleresco intendiamo quel complesso di norme e di regole, portato naturale della trasformazione delle idee attraverso il tempo, passate allo stato di cousuetudini, che nelle vertenze di onore tra i gentiluomini costituiscono ed hanno la forza di leggi e alle quali nessuno oserebbe sottrarvisi, poichè conformi al buon senso, a giustizia e correttamente cavalleresche. La dichiarazione di disconoscere la legge e l’autorità della Corte d’onore porta seco la limitazione dei poteri illimitati dei rappresentanti e implicitamente la condizione essenziale di escludere qualsiasi soluzione della vertenza, che non sia quella delle armi.

c) al giovane che non ha ancora estratto il numero di leva;

d) al parente ed all’amico che volessero sostituire il parente o l’amico, tranne i casi contemplati negli articoli 250 e successivi; [p. 144 modifica]

e) al rappresentante che volesse sostituire il suo mandante; tranne nel caso in cui questi mancasse all’appuntamento, nel qual caso, però, l’avversario ha obbligo di ringraziare e di non accettare;

f) al parente, all’amico, al testimone, che in caso di grave ferita o di morte, incontrate in un duello dal rispettivo congiunto, amico o mandante, pretendessero di assumerne le parti e dar seguito alia vertenza (Châteauvillard, 111, 80; De Rosis, II, 32, e a pag. 57);

g) a colui che sfidasse senza essere stato provocato (De Rosis, II, 13);

h) al debitore è vietato di provocare il suo creditore e di mandargli un cartello di sfida, fino a che non sia stata regolata la pendenza pecuniaria. Pero, questa disposizione non vale quando il creditore fosse offensore o provocatore; poiché la sua provocazione ed offesa potrebbero mascherare un vero e proprio ricatto (Bellini, I, II, III, IV, V);

Nota. — Sarebbe, invero, cosa comoda saldare i propri debiti con un colpo di sciabola o di spada, che mentre libererebbe di un avversario, sbarazzerebbe dall’incubo di un creditore. E non meno comodo sarebbe insultare il debitore supposto o reale e alla sua domanda di riparazione mettergli il dilemma: o pagare (anche se non è dovuto) o niente riparazione. Ed in ciò evvi ricatto morale vero e proprio, senza sottintesi e restrizioni.

i) il creditore può sfidare il debitore; ma sarà cura dei testimoni di accertarsi che la partita interessi venga regolata prima di decidere con le armi quella d’onore; [p. 145 modifica]

Nota. — Si garentisce in modo efficace e non dubbio il credito dell’avversario, depositando la somma equivalente e vincolando con le norme di legge la ricevuta del deposito a favore del creditore; ovvero, offrendo ipoteca prima su immobili di valore maggiore al credito valutato; oppure, offrendo sequestro preventivo su mobili. Garantita in una di queste forme la somma dovuta al creditore, la incapacità o interdizione cessa di esistere. Il pagamento reale con moneta corrente è da preferirsi, quando sul credito vantato non cade eccezione; se evvi opposizione per parte del debitore, allora si vincola la somma discussa. Le trattative della vertenza devono essere riprese nelle ventiquattro ore successive allo eseguito pagamento, o allo eseguito vincolamento della ricevuta del deposito fatto.

Nel caso di pagamento, però, è bene notare che questo non si considera eseguito, compiuto, fatto, se non quando il debitore entra in possesso della ricevuta firmata e quietanzata dal creditore. Da questo momento cominciano a decorrere le 24 ore di consuetudine (G. d’O. Milano, 3 marzo 1895. Vertenza Alocci-Ansaldi; e Bellini, IV, V).

k) a chi provoca od offende un gentiluomo senza plausibile motivo (l'offeso si rivolgerà al Tribunale ordinario o alla Corte d'onore, secondo i casi: De Rosis, II, 13°);

l) a chi, ritenendosi offeso, aggredisce un gentiluomo, prima che gli venga negata una riparazione dell’offesa per le vie cavalleresche;

m) al fratello, al parente, all’amico, che provocano od offendono l’offeso dal fratello, dal parente, dall’amico, per costituirsi responsabili degli atti loro, non potendo sostituirli legalmente e cavallerescamente;

Nota. — Tizio, ritenendosi ingiuriato da certe frasi, [p. 146 modifica]dette in pubblico da Caio, gliene chiese una riparazione d’onore per le vie cavalleresche. Caio, non sapendo a che santo votarsi, ricorse per consiglio al fratello, il quale scrisse una lettera piena d’insolenze e di minaccia a Tizio, dichiarando sè responsabile delle offese attribuite a Caio. Dietro nostro consiglio Tizio inviò la lettera al Procuratore del Re, che fece il dover suo.

n) al superiore che, abusando delle proprie qualità, provoca od offende l’inferiore, il quale non può reagire.

Nota. — L’inferiore offeso ha il diritto di rivolgersi ad un giurì o alla Corte d’onore, affinchè obblighino il superiore a dare all’inferiore le soddisfazioni dovutegli.

Note