Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia, e non sa quel che trova/Atto secondo/Scena undicesima
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Eva e Piero.
- Eva
- (siede e si dispone a ricamare). Mi favorisci quel ricamo?
- Piero
- Questo? (Le mostra un ricamo che trova sul tavolo).
- Eva
- Sì.
- Piero
- Ecco.
- Eva
- Grazie. Vai nello studio?
- Piero
- Oh' oramai...
- Eva
- Mi rincresce che la signora Luisa abbia fatte le scale inutilmente.
- Piero
- Io la pregai si accomodasse un poco.
- Eva
- Ed essa?
- Piero
- Ebbe la gentilezza di accondiscendere.
- Eva
- Accondiscese? Allora non rimpiango più di essere uscita.
- Piero
- Perché?
- Eva
- Non facciamo un solo, in noi due? Ebbene, dacché l'hai ricevuta tu, le è come io fossi stata in casa. Ti pare? A me piace quel signor Mario... è un giovane brillante che ha l'abitudine dell'eleganza.
- Piero
- Sì... povero diavolo!
- Eva
- Piero... non accendi la pipa?
- Piero
- Ah! la pipa?! So troppo quanto devo a te, mia cara, e dacché mi hai detto più volte che la avessi a smettere... l'ho smessa del tutto. Come ti sarò sembrato grossolano, io, e come ti ringrazio della rivoluzione che operasti in me! Non sono che pochi giorni ed io vivevo e ti costringevo ad una vita senza soddisfazioni, senza varietà, priva di quanto ci fa sentire e godere di essere al mondo.
- Eva
- Però...
- Piero
- Pensare che si passavano quelle giornate, tutte ad un modo; e la sera poi, la sera, poveretta, io seduto al tavolo lavorando, tu a perdere gli occhi sul ricamo. A che giova esser giovani e ricchi se si vive così! Invece adesso! Adesso me l'hai fatta capire, la vita. Lo so... non sono perfetto ancora, mi rimane ad acquistare quell'abitudine all'eleganza che distingue... il signor Mario.. per esempio. Ma ci arriverò, non temere. Ci voglio arrivare. Sai che non riesco più a farmene un'idea precisa, delle nostre serate di una volta? Sonnecchiavamo tutti e due. È assai più logico che ciascheduno viva per conto proprio. Diamine! Quelle moine pastorali, quei vezzi di tortorella, appena appena sono buoni nei primi giorni, è vero?.. ma poi...
- Eva
- E i tuoi libri, che ti piacevano tanto, e la tua cameretta, il tuo studio, la tua tomba, come la chiamavo io; e quell'angolo tranquillo, sereno, intimo, dov'erano il tuo scrittoio e la mia poltrona daccanto, la mia poltrona che adesso mi guarda e mi stende le braccia, la mia poltrona dove vado ancora a sedere e a lavorare tutte le sere... e quella lampada dal paralume verde, cupo, cupo... che ci faceva scuri in faccia, non li ricordi più? Piero, non li ricordi proprio più niente?
- Piero
- I miei libri? Che cosa s'impara sui libri? E quando mi avrò piena la testa di parole e di frasi, sarò più ricco perciò? Vivere, ecco il secreto. Tu vuoi canzonare il lirismo del mio passato. Fallo pure: te lo abbandono, io, il mio passato. Era proprio una tomba il mio studio, e quella tomba l'ho mutata contro le sale, i boudoirs delle tue conoscenze. Come è bella la vita del mondo!
- Eva
- Rimani in casa, stasera.
- Piero
- A far che?
- Eva
- Rimani. (Gli si avvicina con uno sforzo e gli dice sottovoce quasi arrossendo e con passione). Sono gelosa.
- Piero
- Oh, signora Eva? Di chi?
- Eva
- Di tutti e di tutto. Lo so io di chi? Quando vai fuori, mi sento stringere qui. Vorrei seguirti, vorrei spiare tutt'i tuoi passi, vorrei sentire tutte le tue parole... vorrei...
- Piero
- Che lo scolaro abbia a farsi maestro? Che t'abbia ad insegnar io che il mondo è un padrone assoluto e tirannico... qualche volta? Sono fanciullaggini, codeste. Fra noi ci dev'essere quell'affezione durevole, rispettosa, tranquilla, perché sicura... quell'affezione che non trasmoda... e che ci condurrà fino all'età avanzata senza turbamenti e senza paure.
- Eva
- Piero... non andar fuori, stasera, te ne prego.
- Piero
- Oh! tu sei folle. La mia dignità e la tua non mi consentono di soddisfare a questo capriccio. Che cosa direbbero le tue amiche...; che cosa direbbe il signor Mario quando sapessero che ci siamo tappati in casa come due amanti di contrabbando? Un po' di ragionevolezza, Eva, e di serietà.
- Eva
- Ebbene, io voglio che tu rimanga... lo voglio.
- Piero
- Oh, oh! È questa la prima volta che ti avviene di proferire una simile parola... e dovrei far le finte di non averla intesa;... ma voglio abbondare... e sia..., la discuto. Chi è che mi trasse dalle mie abitudini, chi mi tolse al mondo che m'ero creato io, chi m'impose quasi questa vita che meno adesso e che tu mi rimproveri? Chi? Ho io abdicato di mia elezione a quei principii, a quella condotta che credevo sana e giusta? Mi sono io convertito spontaneamente? Io li amavo, la mia cameretta, il mio scrittoio, la tua poltrona, i miei libri, il tuo ricamo, la lampada comune... io li amavo. Chi fu a strapparmi a loro? Chi fu a indossarmi questi panni dal taglio preciso? Chi mi fece radere questa barba? Chi mi parlò dei ripostigli, degli angoli, delle sinuosità del tuo cuore, come di una minaccia? Tu... fosti. Ed ora che ho accondisceso alle tue preghiere, ora che mi sono fatto l'uomo che volevi, pretenderesti rimutarmi in quello di prima? No. C'è una cosa che ti dovrebbe far sicura. La conoscenza che hai di me, e della mia lealtà. Se quella non basta... pensa che quanto ora io sono, sei tu che lo hai fatto.
Esce.