Chi l'ha detto?/Parte terza/82

Parte terza - § 82. Modi proverbiali e similitudini

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§ 82.

Modi proverbiali e similitudini



Ecco un mazzo, abbastanza ben guarnito, di immagini, similitudini, modi proverbiali tolti dai più noti scrittori antichi e moderni. Le presento distribuite con l’ordine medesimo che ho adottato nel precedente paragrafo.

1998.   Quasi Nemrod robustus venator coram Domino.1

(Genesi, cap. X, v. 9).

che era, a quel che dice la Bibbia, proverbio comune presso gli ebrei. Il

1999.   Dito di Dio.

che Don Giacomo Margotti (✠ 1887) invocava così di frequente nell’Armonia e nell’Unità Cattolica, i giornali ch’egli diresse, è metafora ripetuta più volte nella Bibbia, particolarmente nell’Esodo, cap. VII, v. 19 e nell’Evang. di S. Luca, cap. XI, vers. 20.

2000.   Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum.2

(Salmo XLI. v. 1).

2001.   Notus in Judæa.3

è frase presa dal principio di un salmo biblico (Salmo LXXV. Notus in Judæa Deus.

2002.   Quasi oliva speciosa in campis.4

(Ecclesiastico, cap. XXIV, v. 19).
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La metafora

2003.   Pietra dello scandalo.

è tolta di pianta dalla Bibbia ove è in più luoghi ripetuta, per esempio in Isaia, cap. VIII, v. 14: In lapident autem offensionis, et in petram scandali duabus domibus Israel.

2004.   Vox clamantis in deserto.5

(Isaia, cap. XL, v. 3. - Evang. di
S. Giovanni, cap. I, v. 23).

2005.   Si mutare potest Æthiops pellem suam, aut pardus varietates suas: et vos poteritis benefacere cum didiceritis malum.6

(Geremia, cap. XIII, v. 23).

così dice Iddio per bocca del profeta agli Ebrei. La similitudine contenuta nella prima parte del versetto era nota anche ai Greci.

2006.   Non reliquetur hic lapis super lapidem qui non destruatur.7

(Evang. di S. Matteo, cap. XXIV, v. 2).

da cui nasce la frase comune non restar pietra sopra pietra. Queste parole sono qui precedute dalle altre: Amen dico vobis (in verità vi dico) che ricorrono frequentissimamente nell’Evangelo di Matteo; ma anche l’Evangelo di Giovanni, cap. I, v. 51: Amen, amen dico vobis, e così in più altri luoghi.

2007.   Legio mihi nomen est, quia multi sumus.8

(Evang. di S. Marco, cap. V, v. 9).

così risponde a Cristo, che lo interroga come si chiami, lo spirito maligno ch’egli ha cacciato dal corpo di un ossesso nel paese de’ Geraseni. Vedi anche nell’Evang. di S. Luca, cap. VIII, v. 30. [p. 725 modifica]

2008.   Librum.... signatum sigillis septem.9

(Apocalisse di S. Giovanni, cap. V. v. 1).

2009.   Vittorie di Pirro.

Questa frase deriva dalle parole dette da Pirro re di Epiro dopo la battaglia di Ascoli (anno di Roma 474, av. C. 278) che finì con la sconfitta dei Romani, non senza gravissime perdite da ambo le parti, essendo ferito lo stesso re. Per cui essendosi alcuno congratulato con lui per la vittoria, egli rispose, secondo che narrano gli storici e anche il Freinsheim nel lib. III dei Supplementi Liviani (che sta in luogo del perduto lib. XIII di Tito Livio): Si denno sic vincendi sunt Romani, peribimus.

2010.   Ad kalendas græcas.10

(Svetonio, Vita di Augusto, 87).

È un detto di Augusto, divenuto proverbiale, che egli usava applicare a quelli che non pagano mai, o non mantengono niuna a: i Greci, come si sa, non avevano calende nei loro mesi. Quando Filippo II intimò in quattro versi latini alla regina Elisabetta di non difendere le Fiandre, di rialzare i conventi distrutti da Enrico VIII e di rendere al papa la suprema autorità religiosa in Inghilterra, dicesi che ella gli facesse rispondere così:

Ad græcas, bone rex. fient mandata kalendas.

2011.   Cicero pro domo sua.11

si usa proverbialmente a indicare chi difende con gran calore la causa propria in ricordo dell’orazione pro domo sua che Cicerone pronunziò innanzi al collegio dei Pontefici alla fine di settembre dell’anno 57 av. C., chiedendo che gli fosse restituita l’area della casa che aveva sul Palatino, incendiatagli dopo l’esilio, e consacrata alla dea Libertà, e che gli fosse dato il danaro per ricostruirla.

È noto che anche di altre orazioni ciceroniane sono rimasti [p. 726 modifica] famosi per antonomasia i nomi, come le Filippiche e le Catilinarie; dalle prime (Filipp. I, 5) ci viene anche la frase:

2012.   Hannibal ad portas.12

che significa l’imminenza del pericolo.

2013.   Si parva licet componere magnis.13

(Virgilio, Georgiche, lib. IV. v. 176).

Questo verso nel quale il poeta mette a paragone i lavori delle api con le fatiche dei Ciclopi, ha riscontro con molti altri luoghi della classica latinità, e anche con uno di Virgilio medesimo (Egloga I, v. 24): Parvis componere magna. Vedasi anche di Ovidio, Metam., lib. V, v. 416-17 (Si componere magnis parva mihi fas est) e Tristium, lib. I, ep. III, v. 25 e lib. I, ep. V, v. 28; nonchè un passo delle Istorie di Erodoto (II, 120) che forse è la fonte prima di questa locuzione.

Pure queste altre sono in Virgilio:

2014.   Carpent tua poma nepotes.14

(Egloga IX, v. 50).

2015.   (Adparent) Rari nantes in gurgite vasto.15

(Eneide, lib. I, v. 118).

2016.   Quantum mutatus ab illo.16

Emistichio virgiliano; il periodo intiero cosi suona:

          Hei mihi! qualis erat! quantum mutatus ab illo
          Hectore, qui redit, exuyias indutus Achilli.

(Eneide, lib. II. v. 274-275).


2017.   Telumque imbelle sine ictu.17

(Eneide, lib. II. v. 544).
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2018.   Monstrum horrendum.18

(Eneide, lib. III. v. 658).

è detto di Polifemo.

2019.                  Ab ovo
          Usque ad mala.19

(Orazio, Satire, lib. I, sat. 3. v. 6-7).

Era modo proverbiale comune presso i Romani, nato dall’uso di cominciare il pranzo con le uova, e di finirlo con le mele e altre frutta. Del resto è nell’uso anche la frase più semplice Ab ovo con riferimento a discorsi vanamente incominciati dalle più lontane origini e che probabilmente deriva dall’oraziano:

Nec gemino bellum Trojanum orditur ab ovo.

(Arte poetica, v. 147).


2020.   Disjecti membra poetae.20

(Orazio, Satire, lib. I, sat. 4, v. 62).

che dicesi di luoghi o frasi sparse tratte dall’opera di un poeta.

2021.   Rara avis in terris, nigroque simillima cygno.21

(Giovenale, Satire, VI, v. 165).

Giovenale credeva di recare un esempio di cosa impossibile a trovarsi in natura col ricordare un cigno nero, ma la scoperta dell’Australia gli preparava una smentita. Il cigno nero degli antichi corrispondeva al nostro merlo bianco che si cita comunemente come esempio di cosa difficilissima a incontrarsi e quasi incredibile. Eppure anche il merlo bianco, che è un fenomeno di albinismo, è tuttt’altro che raro, anzi può dirsi abbastanza frequente (Pavesi, E sempre il merlo bianco, nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo, ser. II. vol. XXXVI, fasc. V. 1903). [p. 728 modifica]

2022.   [Ego te] Intus et in cute novi.22

(Persio, Satira III, v. 30).

2023.   Trium literarum homo.23

(Plauto, Aulularia, a. II. sc. 4. v. 321).

2024.   Brillare per la propria assenza.

è frase giustamente biasimata dai puristi, ed anche nella 2a edizione del Lessico dell'infima e corrotta italianità, compilato da P. Fanfani e C. Arlìa (Milano. 1881, a pag. 56), è detta «modo neobarbarico, ovvero della lingua dell'avvenire», nondimeno ha origine classica. Infatti Tacito negli Annali (lib. III, cap. ult.), narrando dei funerali di Giunia, vedova di Cassio e sorella di Bruto, pur esso morto, dice che innanzi all’urna si portarono secondo il romano costume i ritratti degli antenati e dei parenti premorti: sed prœfulgebant Cassius atque Brutus, eo ipso, quod effigies eorum non visebantur, che il Davanzati tradusse: «ma quelle (imagini) di Bruto e di Cassio più di tutte vi lampeggiavano col non v’essere.» Lo Chénier nella tragedia Tiberio (a. I, sc. 1) introdusse questo episodio con parole che più si accostano alla forma presente della frase:

          Devant l’urne funèbre on portait ses aïeux:
          Entre tous les héros qui, présents à nos yeux,
          Provoquaient la douleur et la reconnaissance,
          Brutus et Cassius brillaient par leur absence.

Può vedersi a questo proposito la discussione che ebbe luogo fra il compianto filologo Costantino Arlìa e l’autore di questo volume, nel Supplemento al Lessico dell’intima e corrotta italianità, dell'Arlìa stesso (Milano, 1896), pag. 9, e nel Risveglio Educativo di Milano del 7 novembre, 21 novembre e 5 dicembre 1896, num. 8, 12 e 16; polemica cortese che in fondo lasciò i due disputanti d'accordo come li aveva trovati, poichè l'Arlìa sosteneva che la frase per quanto tacitiana, non era da usarsi in buon italiano: e questo il Fumagalli non aveva mai contestato. [p. 729 modifica]

Eccoci ancora a Dante:

2025.   Quali colombe dal disio chiamate, Con l’ali alzate e ferme, al dolce nido Vegnon per l’aere....

(Inferno, c. V, v. 82-84).

2026.   Nuovi tormenti e nuovi tormentati.

2027.   Io credo ch’ei credette ch’io credesse.

bisticcio di parole che agli antichi parve bello, tanto che fu imitato dall’Ariosto:

2028.   Io credea e credo, e creder credo il vero.

(Ariosto, Orlando furioso, c. IX, ott. 23).

Anche il

2029.   Raunar le fronde sparte.

è frase dantesca, tolta dal principio del canto XIV dell’Inferno:

     Poi che la carità del natìo loco
          Mi strinse, raunai le fronde sparte,
          E rende’le a colui ch’era già fioco.

Ma Dante parla in senso proprio, non metaforico: le fronde sparte sono quelle del cespuglio (nel II girone del cerchio VII) dove è imprigionata l’anima di un Fiorentino non nominato che fece giubbetto a sè delle sue case, cioè s’impiccò in casa sua.

2030.   Per la contradizion che nol consente

che è una delle citazioni dantesche che spesso si fanno pleonasticamente, cioè senza che il senso e l’efficacia del discorso ne guadagnino alcunchè.

2031.   Descriver fondo a tutto l’universo

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Questo verso, passato quasi in proverbio, si ripete comunemente in un significato che non è il suo, cioè come se volesse dire, descrivere da cima a fondo e in lungo e in largo tutto l’universo. Anzi questa falsa interpretazione è avvalorata da una lezione viziosa di alcune edizioni (p. es. quelle del Landino) che ne hanno fatto questo verso cascante:

Descriver tutto a fondo l’universo.

Invece il Poeta, che si accinge a descrivere l’ultimo cerchio dell’Inferno, e il pozzo ghiacciato, il tristo buco, che è il fondo, ossia il centro della terra, e quindi, secondo il sistema tolemaico, di tutto l’universo, dice che questa «non è impresa da pigliare a gabbo.... Nè da lingua che chiami babbo e mamma,» cioè non è impresa da bambino. Vedi un bell’articolo di Francesco d’Ovidio nella Biblioteca delle Scuole Italiane, 16 febbraio 1892, pagine 145-149.

2032.   Là dove i peccatori stanno freschi.

Da questo verso che allude all’Antenora gelata (secondo giro del cerchio nono), si crede originata la frase proverbiale ironica, Star fresco.

2033.   Come il pan per fame si manduca.

(Inferno, c. XXXII, v. 127).

Fior da fiore è frase dantesca, dal verso:

2034.   Cantando ed iscegliendo fior da fiore.

2035.        .... Sì come cera da suggello,
Che la figura impressa non trasmuta.

2036.   .... Sapor di forte agrume.

2037.   La noia e ’l mal della passata via.

(Petrarca, Canzone in vita di M. Laura,
num. IV, secondo il Marsand, comincia:
Nella stagion che ’l ciel rapido inchina;
canz. V dell’ediz. Mestica, v. 11.).
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2038.   Col senno e con la mano.

frase entrata nell’uso comune dopo che il Tasso disse di Goffredo che

Molto egli oprò col senno e con la mano.

(Gerusalemme liberata, c. I. ott. 1.)


2039.   Il gran nemico dell’umane genti.

(Gerusalemme liberata, c. IV, ott.1).

che è il diavolo.

2040.   Il rauco suon della tartarea tromba.

(Gerusalemme liberata, c. IV, ott. 3).

2041.   A guisa di leon quando si posa.

(Gerusalemme liberata, c. X, ott. 56).

2042.   Non scese, no, precipitò di sella.

(Gerusalemme liberata, c. XIX, ott. 104).

così fa Erminia vedendo Tancredi giacere al suolo esangue.

2043. Scrittori di peso..   

L’economista prof. G. B. Salvioni in certe sue ricerche su L’arte della stampa nel Veneto — La proprietà letteraria, pubblicate nel Giornale degli Economisti di Padova, vol. IV, 1876-77, accenna incidentalmente alla possibilità che codesta frase avesse origine in Venezia, emporio del commercio librario a tutto il secolo XYIII, e precisamente da una terminazione del 28 agosto 1764 presa dai Riformatori dello Studio di Padova, la quale disponeva che le ristampe dei libri comuni si facessero in buona carta, di peso proporzionato alla qualità dei libri (Giorn. cit., pag. 207; pag. 19 dell’Estratto). Ma l’ipotesi è forse più curiosa che esatta: scrittori di peso non significa altro che scrittori di importanza, e il traslato della parola peso nel significato d’importanza, e in bene e in male, assai più sovente in bene, è comune e antichissimo. Il Dizionario del Tommaseo e Bellini cita in questo senso esempi del Pulci (Ciriffo Calvaneo, I, 24), del Chiabrera (lettere a G. B. Strozzi), ecc. [p. 732 modifica]

2044.   Pochi e valenti, come i versi di Torti.

Questo Torti, cui il Manzoni fa sì bell’elogio (giustificato forse più dalla amicizia che dal merito reale), è Giovanni Torti, nato a Milano nel 1774, morto a Genova nel 1852, poeta gentile e fine, non indegno perciò delle lodi di tant’uomo.

2045.   Si guardan sempre e non si toccan mai.

(Aleardi, Lettere a Maria, I, L’invito, quart’ultimo verso).

Sono «due verdi isolette vicine.... divise per grande abisso.» Di questa imagine aleardiana fu detto che fosse un plagio dal poeta castigliano Manuel del Palacio. Ma E. Mele in un articolo Di un preteso plagio aleardiano, nel Fanfulla della Domenica, 1911, vol. XXXIII, n. 24, dimostra che è invece il poeta spagnuolo che ha imitato l’italiano.

2046.   Più vero e maggiore.

tutti sanno che sono parole del Carducci, ma inesattamente riportate. Il Carducci, nei versi dedicati Alla figlia di Francesco Crispi per le nozze di lei (10 gennaio 1895) scrisse:

          Quando, novello Procida,
          E più vero e migliore, innanzi e indietro.
          Arava ei l’onda sicula.

I giornali, dove la bella poesia comparve da prima, stamparono più vero e maggiore: e i gazzettieri, specialmente quelli ostili al Crispi, ci fecero sopra infiniti commenti, insulsi e irriverenti, che però valsero a dar celebrità alle frase.

E ora, prima di passare alle frasi straniere, ancora alcune frasi italiane, tolte dal teatro.

2047.   Vero Pandolfo.

Sapere o non sapere chi sia il vero Pandolfo; aver trovato il vero Pandolfo, sono frasi vivissime dell’uso toscano per significare che si conosce o non si conosce, che si è trovato o non si è trovato il responsabile, il colpevole, il vero autore di qualche [p. 733 modifica] cosa. Dice l’Arlìa nelle Voci e maniere di lingua vera (Milano. 1895), pag. 245, che «questa locuzione ebbe origine da una commedia di Luigi Del Buono dove due col nome di Pandolfo (l’uno vero, l’altro falso) si contrastano circa a un’eredità».

2048.             Largo al factotum
          Della città.

(Il Barbiere di Siviglia, parole di Cesare
Sterbini, musica di Rossini, a. I, sc. 2).

come pure vanno citati gli altri versi della medesima cantafera:

               Tutti mi chiedono,
               Tutti mi vogliono.

Dall’opera stessa, che è forse la più popolare del nostro teatro, traggo anche le frasi seguenti:

2049.   Non son poi di quei babbioni
     Che si fanno infinocchiar.

(a. I. sc. 8).

e dirò qui per incidenza che questo vocabolo di babbione prende origine dal nome del protagonista di una commedia latina molto conosciuta nel Medio Evo, e di cui l’erudito inglese Thomas Wright ha pubblicato un buon testo nel 1838. La Commedia Babionis sembra sia stata composta verso la fine del secolo XII. Babione, prete pagano, ammogliato, alleva con sè una giovinetta sua pupilla, chiamata Viola, e l’ama segretamente, ma trema dalla paura che il suo amore sia scoperto, al punto che dà dei buoni bocconi ai cani, in presenza dei quali ha disfogato la sua passione, perchè non ne raccontino nulla. Per cui la sciocchezza di questo individuo passò in proverbio: e un dettato francese del cinquecento che si legge nel Jardin de récréation di Gomès de Trier, e conservatoci dal Le Roux de Lincy 1nel Livre des proverbes français (2a ediz.. to. II. pag. 26) dice:

               Qui baie sans son
               Ressemble Babion.

2050.             Guarda Don Bartolo!
               Sembra una statua.

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nell’opera medesima, nel famoso quartetto che chiude l’atto I (sc. 14). Se ne sovvenne il Giusti, quando scriveva:

               L’illustre bindolo
                    A capo basso
                    Parea Don Bartolo
                    Fatto di sasso.

(La Vestizione, str. 49).


2051.   Le miserie d’Monsü Travet.24

è il titolo del capolavoro drammatico di Vittorio Bersezio, scritto da lui in dialetto nel 1862 per la compagnia piemontese di Giovanni Toselli e dato da questa per la prima volta al teatro d’Angennes a Torino il 4 aprile 1863.

Si sa che il nome del protagonista è passato ormai in uso comune per indicare un impiegato: e travet, travetteria, ecc., sono entrati da quel tempo nel vocabolario dell’uso. Così il Bersezio stesso raccontava le origini di questo nome in una bella pagina autobiografica pubblicata nella Gazzetta del Popolo (vedi anche il Corriere illustrato della Domenica, n. 3, 30 ottobre 1898): «Se credo di avere avuto nella mia vita un momento di felice ispirazione, si è quello in cui ho trovato il nome Travet. Sono persuaso che nel felice successo della commedia, per una buona metà ci ha conferito la convenienza del nome. Pensate alle impalcature che sostengono i tetti. Le grosse travi appariscenti fanno la forza maggiore; ma che potrebbero esse senza le travette che corrono dall’una all’altra a sorreggere le tegole? E nessuno lor bada, e sono sempre là, intente all’opera loro, e mentre le grosse travi, ancorchè tarlate, possono tuttavia rimanere al posto e farci la buona figura, essi, i travicelli, se vengono a mancare, precipitano le tegole. Il mio povero, buono, onesto impiegato, sarà il Travet dell’edificio amministrativo».

2052.   Bagolamentofotoscultura.

è il titolo di un vaudeville di Napoleone Brianzi che faceva parte del repertorio della antica compagnia milanese Ferravilla: ma è tolto dall’altro vaudeville dello stesso repertorio: La statoa del sor [p. 735 modifica] Incioda di Ferdinando Fontana. La bagolamentofotoscultura è, secondo la definizione dell’illustre Toppiatti, un’arte perduta cinquecentocinquantacinque anni prima dell’èra volgare, e consisteva nel dare alle statue il colore dei capelli, degli occhi e della carnagione.... ossia nel truccare delle persone vive in modo da farle credere ai solenni minchioni delle statue di marmo! La parola è vivissima nell’uso moderno per indicare una mistificazione qualunque. Quanto all’etimologia, la si capisce facilmente ricordando che bagola in dialetto milanese significa appunto chiacchiera, ciarla, e che la parola fotoscultura c’è messa per una ciarlataneria qualunque. Nello stesso vaudeville del Brianzi c’è l’altra uscita comica del marmo che rientra, inventata dal nipote scultore per spiegare allo zio Camola le boccaccie di un busto di Dante.... in bagolamentofotoscultura.

2053.   Così va il mondo, bimba mia.

è il titolo di una commediola in due atti scritta nel 1880 da Giacinto Gallina per la piccola attrice Gemma Cuniberti, allora ottenne.

2054.   La fiaccola sotto il moggio.

è il titolo di una tragedia di Gabriele d’Annunzio, rappresentata per la prima volta al teatro Manzoni di Milano il 27 marzo 1905. Meglio il Poeta avrebbe detto la lucerna sotto il moggio che era modo proverbiale presso gli antichi i quali la trassero dagli Evangeli di Matteo, Marco e Luca. Dice Matteo nel «Sermone della montagna» (cap. V, v. 15): «Neque accendunt lucernam et ponunt eam sub modio, sed super candelabrum, ut luceat omnibus qui in domo sunt». Vedasi un erudito articolo di F. Ramorino nella Rassegna Nazionale del 16 febbraio 1906, pag. 613, che ricerca le origini di questo modo proverbiale nella Bibbia e nei classici e ne indaga il vero significato che è di cosa inutile e non proficua ad alcuno.

2055.   Mais où sont les neiges d’antan?25

è il melanconico ritornello, diventato proverbio in Francia, di una gentile ballata di François Villon (1431-1480), intitolata la [p. 736 modifica] Ballade des dames du temps jadis. Antan, derivato dalle parole latine ante annum, significa l’anno passato; e la frase les neiges d’antan è rimasta ora nell’uso per significare cose vecchie, ormai passate.

2056.   Ad usum Delphini.26

fu detto di una celebre serie di edizioni espurgate dei classici latini, curate da Bossuet e Huet per ordine del Duca di Montausier, nominato nel 1668 da Luigi XIV governatore del Gran Delfino, padre del Duca di Borgogna, e avo di Luigi XV. Queste edizioni, che portavano tutte sul frontespizio la frase ad usum Serenissimi Delphini (rimasta nell’uso a indicare ogni variante purgata e corretta di un testo libero) servirono all’istruzione classica di quel principe, e furono stampate più volte a Parigi e altrove come testi adatti alle scuole.

2057.   Non parce que, mais quoique.

(Non perchè ma benchè.).

fosse un Borbone, salì il Duca d’Orléans (Luigi Filippo) al trono di Francia, così avrebbe risposto Andrè Dupin, interrogato all’inaugurarsi della monarchia di Luglio (1830) se il nuovo re doveva chiamarsi Filippo VII o altrimenti.

2058.   Fin de siècle.27

L’Intermédiaire des chercheurs et curieux chiese qualche tempo fa a chi si dovesse la introduzione di questa frase che fa le spese di tutte le gazzette, ed è così vuota di senso: meno male che il calendario l’ha presso che sotterrata da più di venti anni. I colpevoli, o almeno coloro che tennero a denunziarsi come tali, erano i signori Micard e De Jouvenot, autori di una produzione drammatica, intitolata Fin de Siècle, e rappresentata al Château-d’Eau il 17 aprile 1888.

2059.   La houille blanche.

(Il carbone bianco.).
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- il carbone bianco - immagine felice e pittoresca per designare le riserve di forze idrauliche che possono impiegarsi nell’industria a sostituire il carbone fossile, pare che fosse usata per la prima volta dall’ingegnere francese Aristide Bergès che ne fece il titolo di una sua monografia stampata a Tours nel 1899. A questa locuzione si sono contrapposte oggi le altre della houille verte, - il carbone verde - con la quale si indica la forza idraulica ottenuta dai corsi d’acqua in pianura, e quella della houille bleue, — il carbone turchino - a significare l’energia che potrebbe ricavarsi dai movimenti del mare, riservando quella primitiva della houille blanche a indicare l’energia tratta dalle cascate e dai torrenti della montagna.

2060.   Much ado about nothing.28

è il titolo, divenuto proverbiale, di un dramma di William Shakespeare, come:

2061.   Krieg im Frieden.

è quello di una graziosissima commedia di G. Von Moser e Fr. von Schöntan, entrata anche nel nostro repertorio col titolo di Guerra in tempo di pace.

2062.   Pia desideria.29

è il titolo di un’operetta ascetica di Hermann Hugo, gesuita belga, stampata per la prima volta ad Anversa nel 1624 e poi ristampata infinite volte; donde lo trasse Fil. Giac. Spener per un altro suo libro pubblicato nel 1675.

  1. 1998.   Come Nemrod cacciatore robusto dinanzi al Signore.
  2. 2000.   Come il cervo desidera le fontane di acqua.
  3. 2001.   Noto in Giudea.
  4. 2002.   Come un bell’olivo ne’ campi.
  5. 2004.   La voce di uno che chiama nel deserto.
  6. 2005.   Se può l’etiope mutar la sua pelle o il pardo la varietà delle sue macchie, potrete voi pure far bene essendo avvezzi al male.
  7. 2006.   Non resterà qui pietra sopra pietra senza essere sconvolta.
  8. 2007.   Il mio nome è Legione, perchè siamo in molti.
  9. 2008.   Libro.... chiuso con sette sigilli.
  10. 2010.   Alle calende greche.
  11. 2011.   Cicerone che parla per la propria casa.
  12. 2012.   Annibale è alle porte.
  13. 2013.   Se si può confrontare con sì grandi cose queste così piccole.
  14. 2014.   Coglieranno le tue frutta i nepoti.
  15. 2015.   Appariscono pochi che nuotano nell’ampio gorgo.
  16. 2016.   Quanto mutato da quello (di prima).
  17. 2017.   Arma imbelle senza forza.
  18. 2018.   Orribile mostro.
  19. 2019.   Dalle uova fino alle mele.
  20. 2020.   Le membra sparse del poeta.
  21. 2021.   Uccello rarissima sulla terra, quasi come un cigno nero.
  22. 2022.   Ti conobbi dentro e fuori della pelle.
  23. 2023.   Uomo il cui nome si scrive con tre lettere (FUR, ossia ladro).
  24. 2051.   Le miserie del signor Travetti (o meglio, del signor Travicelli).
  25. 2055.   Ma dove sono le nevi di una volta?
  26. 2056.   Per uso del Delfino.
  27. 2058.   Fine di secolo.
  28. 2060.   Molto rumore per nulla.
  29. 2062.   Pii desideri.