Catechismo del concilio di Trento/Parte IV/Sesta Domanda

Parte IV, Sesta Domanda - E non c'indurre in tentazione

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Parte IV, Sesta Domanda - E non c'indurre in tentazione
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410 Il pericolo di ricadere nel peccato dopo averne ottenuta la remissione

Proprio quando i figli di Dio hanno ottenuto la remissione dei peccati e, accesi dallo zelo di consacrarsi al culto e alla venerazione di Dio, desiderano il regno celeste, tributando alla potenza divina tutti i doveri della devozione, e completamente dipendono dalla sua volontà e dalla sua provvidenza, non v'è dubbio che proprio allora più che mai il nemico del genere umano escogiti nuove arti contro di loro. Egli impiega tutti i mezzi per vincerli, in modo che c'è veramente da temere che essi, scosso e cambiato il proposito, ricadano ancora nei vizi e diventino più cattivi di prima. Di essi a buon diritto si può dire la frase del principe degli Apostoli: "Oh, meglio sarebbe stato per loro non conoscere la via della giustizia, anziché, conosciutala, rivolgersi indietro dal santo comandamento loro tramandato" (2 Pt 2,21).

Perciò da Cristo nostro Signore ci è stata prescritta questa domanda, affinché ogni giorno ci raccomandiamo a Dio e imploriamo la sua paterna attenzione e il suo appoggio, certissimi che, perduta la protezione divina, resteremmo impigliati nelle reti del nostro scaltrissimo nemico. Ne soltanto in questa preghiera ci ha ordinato di chiedere a Dio che non ci lasci indurre in tentazione, ma anche nel discorso che tenne davanti agli Apostoli, già vicino alla morte, quando, avendo loro detto che essi erano puri (Gv 13,10), li ammonì su questo loro dovere: "Pregate per non cadere in tentazione" (Mt 26,41).

Questo avvertimento, due volte ripetuto da Cristo Signore, impone grande obbligo di diligenza ai parroci nell'incitare il popolo fedele all'uso frequente di questa petizione, perché tutti, fra tanti pericoli preparati a ogni ora dal demonio agli uomini, chiedano assiduamente a Dio, che solo può scongiurarli: "Non ci indurre in tentazione".

Il popolo fedele capirà quanto esso abbia bisogno dell'aiuto di Dio, purché si ricordi della propria debolezza e ignoranza e ricordi il detto di nostro Signore Gesù Cristo: "Lo spirito veramente è pronto, ma la carne è debole" (Mt 26,41). Pensi quanto siano gravi ed esiziali le cadute degli uomini, tentati dal demonio, se non sono sostenuti dall'aiuto della destra di Dio. Quale fu esempio della debolezza umana più clamoroso di quello del sacro coro degli Apostoli i quali, mentre poco prima erano animati da grande coraggio, al primo spavento fuggono e abbandonano il Salvatore? Ancora più noto è quello del principe degli Apostoli, che subito dopo così grande professione di singolare e coraggioso amore per Cristo Signore, avendo detto poco prima, pieno di fiducia nelle proprie forze: "Quand'anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò" (Mt 26,35), preso poi da paura per le parole di una donnicciola, affermò con giuramento di non conoscere il Signore (ibid. 69). Purtroppo in lui le forze non corrispondevano a tanto ardore di spirito.

Ora, se gli uomini più santi peccarono per la debolezza della natura umana nella quale avevano confidato, che cosa non si dovrà temere per coloro che sono tanto lontani dalla loro santità?

Perciò i parroci espongano al popolo le battaglie e i pericoli nei quali continuamente incorriamo, per tutto il tempo che l'anima si trova in questo corpo mortale: da ogni parte ci assalgono la carne, il mondo e Satana. Chi è che non abbia sperimentato, a suo danno, quanto possano in noi l'ira e le passioni? Chi non s'è sentito pungere dai loro stimoli e non senta i loro aculei? Chi non si sente ardere del loro fuoco anche se soffocato? E tanto ne sono vari i colpi e così divisi gli assalti, che molto difficile riesce non ricevere qualche grave ferita. Oltre a questi nemici che risiedono e vivono in noi, ve ne sono altri acerrimi, dei quali sta scritto: "Non contro la carne e il sangue abbiamo da combattere, ma contro i principi e le potenze, contro i rettori di queste tenebre del mondo, contro gli spiriti maligni dell'aria" (Ef 6,12).


411 Potenza dei demoni

Si aggiungono infatti alle lotte intime gli assalti esterni, gli urti dei demoni che ci assalgono apertamente, oppure penetrano nell'anima inavvertitamente, sicché a malapena ci possiamo guardare da essi. E "principi" li chiama l'Apostolo, per l'eccellenza della loro natura, eccellendo essi per natura sugli uomini e su tutte le cose create che cadono sotto i sensi; li chiama "potenze", perché superano gli uomini oltre che per la loro natura, anche per la forza; li nomina anche "rettori delle tenebre del mondo", poiché essi reggono non il mondo della luce, cioè i buoni e i pii, ma il mondo oscuro e tenebroso, ossia quelli che, resi ciechi dalla sordidezza di una vita piena di disordini e di delitti e dalle tenebre, amano lasciarsi guidare dall'angelo delle tenebre.

Infine l'Apostolo chiama i demoni "geni del male", poiché c'è il male dello spirito come c'è quello della carne. La cattiveria, o malizia carnale, attizza il desiderio alla lussuria e ai piaceri dei sensi. Malizia spirituale, invece, sono i cattivi desideri, le cupidigie prave che hanno attinenza con la parte superiore dell'anima: esse riescono tanto più vergognose delle altre, quanto la mente e la ragione sono più nobili ed alte. E poiché la malizia di Satana mira in modo speciale a privarci della celeste eredità, l'Apostolo aggiunge: "nell'aria". Da ciò si può arguire che grandi sono le forze dei nemici, invitto l'animo, feroce e infinito l'odio loro verso di noi; eternamente essi ci fanno guerra, sicché nessuna pace può darsi con loro e nessuna tregua.

Quanta audacia abbiano, lo dice nel Profeta la voce stessa di Satana: "Io salirò al cielo" (Is 14,13). Egli ha assalito i progenitori nel paradiso, aggredito i Profeti, cercato di afferrare gli Apostoli, per vagliarli come il grano, come dice il Signore nel Vangelo (Lc 22,31), e non ebbe ritegno nemmeno dinanzi a Cristo Signore.

La sua insaziabile cupidità e l'immensa sua ingegnosità sono espresse da san Pietro con le parole: "II diavolo, vostro avversario, vi gira intorno quale leone ruggente, cercando chi divorare" (1 Pt 5,8).

Né Satana è solo a tentare gli uomini, ma a volte i demoni riuniti fanno impeto contro ciascuno di noi, come confessò il demonio a Cristo Signore, che lo interrogava sul suo nome, rispondendo: "II mio nome è legione". Era cioè una moltitudine di demoni che lacerava quel disgraziato. Di un altro troviamo scritto: "Prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui e rientrano in lui" (Mt 12,45).

Vi sono molti però che, non sentendo gli urti e gli assalti dei demoni, credono che tutto ciò non sia vero. Non fa meraviglia che essi non siano assaliti dai demoni, ai quali si sono dati da sé: non ci sono in loro la pietà, la carità, nessuna virtù insomma degna di un cristiano. Ormai si trovano in potere completo del demonio, ne è necessario che siano assaliti da qualche tentazione, quando già nel loro animo egli ha preso dimora con il loro consenso. Ma quelli che si sono consacrati a Dio e sulla terra menano una vita degna di quella celeste, essi più di tutti sono presi di mira dagli assalti di Satana, che li odia con la massima ferocia e a essi ogni momento tende insidie.

La storia sacra è piena di esempi di uomini santi, d'animo risoluto, eppure pervertiti da lui con la violenza o con l'inganno. Adamo, David, Salomone e altri, che sarebbe difficile enumerare, hanno sperimentato la violenza degli assalti dei demoni e la loro scaltrezza, alle quali non si può resistere con il solo accorgimento o le forze umane. Chi si crederà dunque abbastanza sicuro fidando sulle sole sue forze? Chiediamo a Dio con devozione e puro sentimento che non ci lasci tentare al disopra del nostro potere e nella tentazione ci conceda il modo di uscirne con profitto (1 Cor 10,13).

Però se alcuni fedeli temono, per debolezza d'animo o per ignoranza, la forza dei demoni, si rassicurino e s'inducano, quando siano agitati dalle onde della tentazione, a rifugiarsi nel porto della preghiera. Satana, con tutta la sua potenza e il suo pertinace odio capitale per il genere umano, non può tentarci o travagliarci, ne quanto ne fino a quando vorrebbe, perché tutto il suo potere dipende dal volere e dalla permissione di Dio. Notissimo è l'esempio di Giobbe, che Satana mai avrebbe potuto toccare, se Dio non gli avesse detto: "Ecco, tutto il suo avere è nelle tue mani" (Gb 1,12). Ma se il Signore non avesse aggiunto: "Soltanto su di lui non stendere la tua mano" (ibid.), con un solo colpo del diavolo Giobbe, i figli e le sue ricchezze, tutto sarebbe rovinato. Tanto è legata la forza dei demoni, che essi non avrebbero potuto invadere neppure quei porci, di cui parlano gli Evangelisti, senza il permesso di Dio (Mt 8,31; Mc 5,11; Lc 8,32).


412 Che cosa sia la tentazione

Per capire il vero significato di questa domanda, bisogna determinare che cosa sia la tentazione e che cosa voglia dire essere indotti in tentazione.

Si dice tentare il fare un esperimento sopra colui che è tentato, in modo che, cavando da lui ciò che desideriamo, otteniamo la verità; modo di tentare che Dio non usa, perché che cosa non sa Dio? Tutto, infatti, è nudo e scoperto ai suoi occhi (Eb 4,13). V’è poi un altro modo di tentare, quando andando più oltre, si cerca di esercitare qualche cosa in bene o in male: in bene, quando si mette alla prova la virtù di uno per poterlo poi, esaminata e constatata la sua virtù, elevare con ricompense e onori e mettere così il suo esempio dinanzi agli occhi degli altri perché lo imitino, incitando tutti a renderne lode al Signore. È questo l'unico modo di tentare che convenga a Dio.

Esempio di esso si trova nel Deuteronomio: "II Signore Iddio vi mette alla prova per chiarire se lo amiate o no" (13,3). Così si dice che Dio mette in tentazione i suoi fedeli, quando li preme con miseria, malattie, o altre specie di calamità, per mettere in luce la loro pazienza e additare agli altri il dovere del cristiano. In questo modo leggiamo che fu tentato Abramo quando gli fu richiesto di immolare il figlio ed egli, avendo ubbidito, restò ai posteri modello di sottomissione e di pazienza singolare (Gn 22,1).

Sempre in quest'ordine di idee è detto di Tobia: "Poiché eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti mettesse alla prova" (Tb 12,13). In male, invece, sono tentati gli uomini, quando vengono spinti al peccato o alla morte; questa è opera del demonio che tenta gli uomini per traviarli e farli cadere: perciò è detto "tentatore" nella Sacra Scrittura (Mt 4,3). In queste tentazioni egli eccita ora gli stimoli interni, servendosi dei sentimenti e dei movimenti dell'animo come di mezzi; ora, invece, assale dall'esterno, adoperando i beni per insuperbirci e i mali per abbatterci; a volte ha come emissari e quasi spie uomini perduti, in prima linea gli eretici che, seduti sulla cattedra di pestilenza, diffondono i germi mortiferi delle cattive dottrine.

Cosi spingono al male gli uomini che, essendo già di per sé proclivi al male, sono poi sempre vacillanti e pronti a cadere, mancando loro il potere di distinguere e di scegliere tra virtù e vizio.


413 Essere indotti in tentazione significa soccombere alla tentazione

Diciamo di essere indotti in tentazione, quando cediamo alla medesima. Ora noi possiamo esservi indotti così in due modi: primo, quando, rimossi dal nostro stato, precipitiamo nel male, verso il quale qualcuno ci ha spinto con il tentarci. Ma nessuno è in questo modo indotto in tentazione da Dio, perché per nessuno Dio è causa di peccato, odiando egli tutti quelli che commettono iniquità (Sai 5,7). È quanto dice san Giacomo: "Nessuno, tentato che sia, dica di essere tentato da Dio; poiché Dio non è tentatore al male" (1,13); secondo, possiamo essere tentati nel senso che uno, sebbene non tenti egli stesso ne si adoperi a farci tentare, tuttavia lo permette, mentre potrebbe impedire sia la tentazione che il prevalere di essa. Ebbene, Dio lascia che così siano tentati i buoni e i pii, senza privarli però della sua grazia.

Talvolta anzi, quando i nostri peccati lo richiedono, con giusta e impenetrabile sentenza, Dio ci abbandona a noi stessi e noi cadiamo. Si dice anche che ci induce in tentazione quando ci serviamo dei suoi benefici, che dovevano servire alla nostra salvezza, per operare il male e consumiamo le sostanze del padre, come il figlio prodigo, in una vita lussuriosa, secondando le nostre basse passioni (Lc 15,12). Allora possiamo ripetere le parole dell'Apostolo: "Trovai che il comandamento datomi per la vita mi ha condotto alla morte" (Rm 7,10).

Giunge qui opportuno l'esempio di Gerusalemme che, come dice Ezechiele, sebbene arricchita da Dio di ogni genere d'ornamenti, tanto da farle dire per bocca dello stesso Profeta: "Eri perfetta nella mia dignità, di cui ti avevo rivestito" (Ez 16,14), tuttavia, pur essendo ricolma di doni celesti, fu così lontana dal ringraziare il beneficentissimo Dio dei beni suddetti e dal servirsi di essi per conseguire la beatitudine celeste in vista della quale li aveva ricevuti che, con somma ingratitudine verso Iddio, avendo rigettato ogni speranza e pensiero dei frutti celesti, si diede perdutamente all'esclusivo godimento dei beni presenti, come Ezechiele la rimprovera lungamente in quel medesimo capitolo. Questa è l'ingratitudine di coloro che, pur avendo ottenuto da Dio abbondante materia per fare del bene, si danno, permettendolo Dio, a una vita viziosa.

È necessario però badare alle parole usate dalla Sacra Scrittura per esprimere questa permissione di Dio, parole le quali, prese nel loro significato proprio, significherebbero un'azione diretta da parte di Dio medesimo. Così nell'Esodo si legge: "Io indurirò il cuore del faraone" (Es 4,21; 7,3); in Isaia: "Acceca il cuore di questo popolo" (Is 6,10) e nella lettera ai Romani l'Apostolo scrive: "Dio li ha abbandonati alle loro infami passioni, ai loro reprobi sensi" (Rm 1,26.28). Tutti luoghi questi, e altri simili, nei quali non si deve credere affatto che l'azione venga da Dio, ma intendere invece che Dio l'ha permessa.


414 Noi non chiediamo di essere immuni da tentazione

Chiarito questo, non riuscirà difficile conoscere qual è l'oggetto di questa preghiera. Anzitutto, noi non chiediamo di non essere tentati affatto. Infatti, la vita dell'uomo sulla terra è tentazione (Gb 7,1). Del resto questa è utile al genere umano, poiché nella prova noi veniamo a una vera conoscenza di noi stessi e delle nostre forze, perciò ci umiliamo sotto la potente mano di Dio (1 Pt 5,6) e, combattendo virilmente, aspettiamo l'incorruttibile corona di gloria (ibid. 4). Poiché anche il lottatore dello stadio non è incoronato se non ha lottato a dovere (2 Tm 2,5). San Giacomo afferma: "Beato l'uomo che sopporta la tentazione, poiché dopo essere stato messo alla prova, riceverà la corona della vita che Dio ha promesso a quelli che lo amano" (1,12). Che se qualche volta siamo troppo tormentati dalle tentazioni dei nostri nemici, di grande sollievo sarà il pensare che nostro difensore è un Sommo Sacerdote, il quale tutti può compatire, essendo stato tentato lui stesso in ogni cosa (Eb 4,15). Ma che cosa dunque chiediamo con queste parole? Chiediamo di non essere privati dell'aiuto divino, così da acconsentire alla tentazione per inganno, o da cederle per viltà; chiediamo che la grazia di Dio ci soccorra, sì da rianimare e rinfrancare contro il male le nostre forze fiaccate. Perciò da una parte dobbiamo sempre implorare il soccorso di Dio in qualunque tentazione, dall'altra, nei casi singoli di afflizione, occorre cercar rifugio nella preghiera.

Così leggiamo che fece sempre David per qualsiasi genere di tentazione. Contro la menzogna egli così pregava: "Non ritirare affatto dalla mia bocca la parola della verità" (Sal 118,43) e contro l'avarizia: "Inchina il mio cuore ai tuoi insegnamenti e non ad avarizia" (ibid. 36); contro le vanità della vita e le lusinghe del desiderio: "Storna il mio sguardo, che non veda la vanità" (ibid. 37). Noi dunque domandiamo di non informare la nostra vita ai bassi desideri, di non stancarci nel resistere alle tentazioni, di non abbandonare la via del Signore, di conservare animo eguale e costante nella fortuna favorevole o avversa e che Dio mai ci lasci privi della sua tutela. Chiediamo quindi che ci faccia schiacciare Satana sotto i nostri piedi.


415 Necessità della fiducia in Dio

Ai parroci rimane ora il compito di esortare il popolo fedele a meditare le cose che in questa domanda meritano maggiore attenzione. Ottimo argomento sarà la grande infermità dell'uomo, compresa la quale impariamo a diffidare delle nostre forze, cosicché, riponendo nella misericordia divina ogni nostra speranza di salvezza, conserveremo forte il nostro animo anche nei più grandi pericoli, soprattutto se pensiamo a quanti Dio salvò dalle fauci di Satana, per aver mantenuto questa speranza e fermezza d'animo. Non fu lui a liberare dal massimo pericolo Giuseppe, alle prese con le brame ardenti d'una donna impudica e a innalzarlo agli onori? (Gn 39,7). Non fu lui a conservare incolume Susanna, assediata dai ministri di Satana e già sul punto di venir giustiziata per nefande accuse? (Dn 13). Ne v'è da meravigliarsi: "II suo cuore infatti nutriva fiducia in Dio" (ibid. 35). Grande è l'onore e la gloria di Giobbe che trionfò del mondo, della carne e di Satana. Molti sono gli esempi del genere, con i quali il parroco può confortare il popolo pio alla speranza e alla fiducia. Pensino anche i fedeli quale capo essi abbiano nelle tentazioni dei nemici: il Signore Gesù Cristo, il quale in questa lotta ha riportato la vittoria. Egli ha vinto il demonio. Egli è colui che, affrontando il forte armato fu più forte di lui, lo vinse, ne portò via tutta l'armatura e ne divise le spoglie (Lc 11,22). Per la sua vittoria, riportata sul mondo, è detto in san Giovanni: "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo" (16,33) e nell'Apocalisse è chiamato il leone vincente, che riuscì vincitore per vincere ancora (5,5; 6,2); in questa sua vittoria si fonda la capacità da lui data ai suoi fedeli di vincere. La lettera dell'Apostolo agli Ebrei è piena del racconto di vittorie di uomini santi, i quali per mezzo della fede vinsero regni, chiusero la bocca ai leoni, ecc. (Eb 11,33).

Da questi grandi fatti che leggiamo, dobbiamo ben comprendere quali vittorie riportino ogni giorno gli uomini pieni di fede, di speranza e di carità, nelle lotte contro i demoni, tanto interne che esterne. Esse sono tante e così insigni, che se tutte potessero cadere sotto il nostro sguardo, diremmo che nel mondo non ci sono fatti più frequenti e più gloriosi di esse. Della sconfitta di questi nostri nemici dice san Giovanni: "Scrivo per voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il maligno" (1 Gv 2,14).

Si vince dunque Satana, non con l'ozio, con il sonno, con il vino, o con le gozzoviglie e la libidine, ma con la preghiera, il lavoro, le veglie, l'astinenza, la continenza e la castità. Sta scritto: "Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione" (Mt 26,41). Coloro che queste armi adoperano in tale battaglia volgono in fuga gli avversari e il diavolo fugge da coloro che gli resistono (Gc 4,7).

Nelle vittorie ricordate dei santi, nessuno tuttavia s'insuperbisca tanto da confidare di poter con le sole sue forze sostenere le tentazioni e gli assalti dei demoni; non sta in noi il potere di vincere; non sta nella fragilità umana, ma ciò è proprio soltanto della potenza di Dio. Le forze con le quali atterriamo i satelliti di Satana ci sono date da Dio che fa delle nostre braccia come un arco di bronzo (Sal 17,35); per il suo beneficio l'arco dei forti è spezzato e i deboli si cingono di forza (1 Sam 2,4); egli protegge la nostra salvezza (Sal 17,36) e la sua destra ci sostiene (Sal 62,9); ammaestra le nostre mani alla battaglia, le dita nostre alla guerra (Sal 143,1).

A Dio soltanto si devono rendere grazie, poiché solo per suo impulso e per il suo appoggio possiamo vincere, come fece l'Apostolo là dove dice: "Grazie a Dio, che ha dato a noi la vittoria, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Cor 15,57). E la celeste voce dell'Apocalisse proclama lui solo autore della vittoria: "È compiuta la salvezza, la virtù, il regno del nostro Dio e il potere di Cristo, poiché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli ed essi l'hanno vinto con il sangue dell'Agnello" (12,10.11).

Lo stesso libro attesta la vittoria di Cristo sul mondo e sulla carne là dove dice: "Essi combatteranno contro l'Agnello e l'Agnello li vincerà" (Ap 17,14). Ciò basti sulla causa e sul modo di vincere.


416 Premi della vittoria

Esposta tutta questa dottrina, i parroci parleranno al popolo fedele delle corone preparate da Dio e della grandezza eterna dei premi destinati ai vincitori, attingendone le testimonianze dall'Apocalisse: "II vincitore non sarà colpito dalla seconda morte" (2,11). "Il vincitore sarà vestito di bianche vesti e non cancellerò il suo nome dal libro della vita; dirò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli" (3,5). Poco più avanti Dio stesso nostro Signore così dice a Giovanni: "II vincitore lo farò colonna del tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più" (Ap 3,12). E ancora: "II vincitore lo farò sedere con me nel mio trono, come anch'io ho vinto e mi son seduto con il Padre mio nel suo trono" (Ap 3,21). Avendo infine esposto la gloria dei santi e gli eterni beni di cui godono in cielo, aggiunge: "Chi sarà vittorioso erediterà questi beni" (Ap 21,7).