Catechismo del concilio di Trento/Parte I/Articolo 4

Parte I, Articolo 4: Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto

../Articolo 3 ../Articolo 5 IncludiIntestazione 22 settembre 2009 50% Cristianesimo

Parte I, Articolo 4: Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto
Parte I - Articolo 3 Parte I - Articolo 5

53 Significato dell'articolo

Protestando di non conoscere altro che Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso (1 Cor 2,2), l'Apostolo mostra luminosamente quanto sia necessaria la conoscenza di questo articolo e quanta cura debba il parroco impiegare affinché i fedeli evochino spesso nel loro animo la passione del Signore. A tal fine debbono praticarsi gli sforzi più assidui, affinché i fedeli, stimolati dal ricordo costante di sì segnalato beneficio, si consacrino tutti al pensiero della bontà e dell'amor di Dio verso di noi. Con la prima parte di quest'articolo (della seconda parleremo più tardi) la fede ci impone di credere che Gesù Cristo fu infisso alla croce, mentre Ponzio Filato, in nome dell'imperatore Tiberio, governava la provincia della Giudea. Fu catturato, infatti, deriso, oppresso da ogni sorta d'insulti e di tormenti, per essere alla fine sollevato sulla croce.


54 L'anima di Gesù Cristo fu saturata di pene

PATÌ. Nessuno dovrà mettere in dubbio che la sua anima, nella parte inferiore, non fu insensibile agli spasimi. Avendo egli realmente assunta l'umana natura, è necessario riconoscere che la sua sensibilità fu suscettibile delle più atroci sofferenze. Noi lo sentiamo gemere: "L'anima mia è addolorata a morte" (Mt 26,38; Mc 14,34). In realtà, pur unita alla persona divina, la natura umana percepì tutta l'acerbità della passione, come se quella unione non avesse avuto luogo, poiché tutte le proprietà della natura umana e della divina si erano perfettamente conservate nella persona di Gesù Cristo. Quindi rimaneva in lui ogni elemento passibile e mortale e viceversa tutto ciò che vi era di impassibile e di immortale, come compete alla natura divina, manteneva le sue qualità peculiari.


55 Epoca della passione

SOTTO PONZIO FILATO. Il parroco mostrerà come la speciale cura con cui vediamo qui rilevato che la passione di Gesù Cristo accadde nel tempo in cui Ponzio Pilato governava la provincia della Giudea svela anzitutto il proposito di far sì che la conoscenza di un evento così grandioso e prezioso riuscisse per tutti più sicura, indicandone il momento preciso. Anche l'Apostolo Paolo usò la medesima precauzione (1 Tm 6,13). In secondo luogo mira a far constatare l'avveramento della profezia pronunziata dal Salvatore stesso: "Lo daranno in balia dei Gentili, per essere schernito, flagellato e crocifisso" (Mt 20,19).


56 Perché Gesù Cristo patì il supplizio della croce

Fu CROCIFISSO. E ugualmente da attribuirsi a un divino proposito la preferenza data alla morte di croce e precisamente fu volere divino che la vita rifluisse su di noi proprio di dove era scaturita la morte. Il serpente, che mediante un albero aveva vinto i nostri progenitori, fu sconfitto da Gesù Cristo mediante l'albero della croce. I santi Padri hanno ampiamente svolto le ragioni molteplici che possono addursi per mostrare quanto fosse conveniente che, fra le varie forme di supplizio, il Redentore sostenesse quello della croce. I parroci però si limiteranno ad avvertire i fedeli che per essi è sufficiente credere che il Salvatore prescelse tale genere di morte come il più acconcio alla redenzione del genere umano, appunto perché, fra tutti, è più umiliante e ignominioso. Infatti non solamente il supplizio della croce fu sempre ritenuto dai pagani come abominevole e infamante, ma anche nella legge di Mosè è detto: "Maledetto colui che è confitto sul legno" (Dt 21,23; Gal 3,13).


57 Spesso si deve esporre al popolo la passione del Signore

Il parroco non tralascerà di narrare la storia contenuta in questo articolo, che i santi Evangelisti espongono con la massima diligenza, affinché i fedeli posseggano una chiara nozione di quei capisaldi del mistero, che più appaiono necessari per corroborare la verità della nostra fede. In verità tutta la religione e la fede cristiana poggiano, come su granitica base, su questo articolo, posto il quale, il resto si regge perfettamente. Tra le difficoltà in cui possono imbattersi l'intelligenza e la ragione umana, senza dubbio il mistero della croce appare come la più ardua di tutte. È appena concepibile che la nostra salvezza possa dipendere da una croce e da colui che vi fu confitto; ma è proprio qui che si ammira, secondo la frase dell'Apostolo, la suprema provvidenza di Dio: "Vedendo che il mondo con la scienza non lo aveva riconosciuto nelle opere della sua divina sapienza, piacque a Dio di salvare, mediante la follia della predicazione, coloro che avrebbero creduto" (1 Cor 1,21).

Nessuna meraviglia dunque se i Profeti prima dell'avvento di Gesù Cristo e gli Apostoli dopo la sua morte e risurrezione, si adoperarono così tenacemente a persuadere gli uomini che egli era il Redentore del mondo, inducendoli all'ossequio e all'obbedienza verso il Crocifisso. Appunto perché il mistero della croce costituisce il fatto più strano per l'umana ragione, il Signore non ha mai cessato, dopo il primo peccato, di annunziare la morte del proprio Figlio, mediante gli oracoli dei Profeti e gli episodi prefigurativi.

Ecco qualche breve evocazione delle figure: Abele soppresso dalla gelosia del fratello (Gn 4,8); il sacrificio di Isacco (Gn 22,6-8); l'agnello immolato dagli ebrei all'uscita dall'Egitto (Es 12,5-7); il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto (Nm 21,8.9). Tutto ciò raffigurava in anticipo la passione e la morte di Cristo (Gv 3,14). Circa poi le profezie, è troppo noto, perché occorra esporlo largamente qui, quanti pronunziarono vaticini sull'una e sull'altra. Senza parlare di David, i Salmi del quale abbracciano tutti i misteri fondamentali della nostra redenzione (Salì; 21; 68; 109), gli oracoli di Isaia (53) risultano così limpidi ed espliciti da potersi dire che raccontano eventi accaduti, anziché profetare gesta future (Girolamo, Epist. 53, Ad Paulinum).



58 Gesù Cristo realmente morì; la divinità però rimase sempre congiunta al corpo e all'anima

MORTO. Il parroco spiegherà come per questa parola dobbiamo credere che Gesù Cristo, dopo crocifisso, morì realmente e fu sepolto. Non senza motivo tale fatto è proposto separatamente alla fede dei credenti, essendosi da taluni negata la sua morte in croce. I santi Apostoli ritennero necessario contrapporre a tale errore questa dottrina di fede, sulla cui verità nessun dubbio è più consentito, avendo concordemente tutti gli Evangelisti asserito che Gesù Cristo rese il suo spirito (Mt 27,50; Mc 15,37; Lc 23,46; Gv 19,30). Del resto, essendo vero e perfetto uomo, Gesù Cristo poteva veramente morire. La morte dell'uomo, infatti, non è altro che la separazione dell'anima dal corpo.

Riconoscendo che Gesù Cristo è morto vogliamo appunto dire che la sua anima si divise dal corpo. Non diciamo però che se ne separò anche la divinità, ma crediamo e riconosciamo fermamente che, separatasi l'anima dal corpo, la divinità rimase sempre unita al corpo nel sepolcro e all'anima discesa agli inferi. Era del resto opportuno che il Figlio di Dio morisse, per sconfiggere attraverso la morte il diavolo, signore della morte, e affrancare coloro che il timore della morte teneva per tutta la vita nei ceppi della schiavitù (Eb 2, 14.15).


59 La morte di Cristo fu volontaria

In Gesù Cristo si verificò questo di speciale: che morì quando volle morire e sostenne una morte non già provocata dalla violenza altrui, ma una morte volontaria, di cui aveva egli stesso fissato il luogo e il tempo. Aveva scritto infatti Isaia: "È stato sacrificato perché lo ha voluto" (Is 53,7). E il Signore stesso disse di sé prima della passione: "Io do la mia vita per riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; ma io da me stesso la do e son padrone di darla e padrone di riprenderla" (Gv 10,17.18). Circa poi il tempo e il luogo, disse queste parole, mentre Erode tendeva insidie alla sua incolumità: "Andate a dire a quella volpe: ecco io scaccio i demoni e opero guarigioni oggi, domani e il terzo giorno sono al termine. Ma oggi, domani e il giorno seguente, bisogna che io cammini, perché non si ammette che un Profeta perisca fuori di Gerusalemme" (Lc 13,32.33). Egli nulla compì contro la sua volontà, per estraneo comando, ma si offrì volontariamente e andando incontro ai suoi nemici, esclamò: "Eccomi qua" (Gv 18,5), sopportando dopo ciò spontaneamente i crudeli e ingiusti tormenti, che quelli gli inflissero. Nella meditazione di tutte le sue pene amarissime ciò rappresenta senza dubbio il mezzo più potente per commuovere l'animo. Infatti, se uno sopportasse per causa nostra dolori, non già deliberatamente affrontati, ma inevitabili, potremmo scorgere in questo un mediocre beneficio. Ma se costui, semplicemente per amor nostro, soggiacesse con prontezza a una morte, cui poteva agevolmente sottrarsi, allora il beneficio ci parrebbe così grande, che nessuna gratitudine o riconoscenza sarebbe sufficiente. Donde è agevole argomentare l'infinita ed eccellente carità di Gesù Cristo, il suo merito sconfinato e divino presso di noi.



60 La sepoltura di Cristo conferma della sua risurrezione

SEPOLTO. Confessando a parte che egli fu sepolto non dobbiamo credere che sia questa un'altra parte dell'articolo, con qualche speciale difficoltà, oltre quelle già analizzate a proposito della morte. Se crediamo che Gesù Cristo morì, non ci sarà difficile anche ritenere che fu sepolto. La parola è stata aggiunta per due ragioni: primo, per evitare ogni dubbio intorno alla sua morte, costituendo la prova della sepoltura il più evidente argomento della morte; in secondo luogo, perché riceva maggior luce e conferma il miracolo della risurrezione. Quella parola però non vuoi dire solamente che il corpo di Gesù Cristo fu sepolto. Principalmente con essa viene proposto di credere che Dio propriamente è stato sepolto, con la stessa validità con cui, in base alla formula della fede cattolica, diciamo con verità che Dio è morto e che è nato da una vergine. Infatti, mai essendosi la divinità separata dal corpo ed essendo stato questo chiuso nel sepolcro, è evidente che possiamo giustamente affermare che Dio è stato sepolto.

Intorno al genere e al luogo della sepoltura, il parroco potrà limitarsi a riferire quanto narrano gli Evangelisti (Mt 27,58-60; Mc 15,46; Le 23,53; Gv 19,38). Ma due circostanze dovranno essere poste in luce. Primo, che nel sepolcro il corpo di Gesù Cristo non fu affatto soggetto a corruzione, conforme al vaticinio del Profeta: "Non permetterai, o Signore, che il tuo Santo conosca corruzione" (Sal 15,10; At 2,31). Secondo, (e ciò riguarda tutte le parti dell'articolo) che la sepoltura, come la passione e la morte, vanno strettamente attribuite a Gesù Cristo quale uomo, non già quale Dio. Solo la natura umana infatti è suscettibile di patimenti e di morte; ma noi riferiamo tutto ciò anche a Dio, solo perché possiamo affermarlo di una Persona che era, nel medesimo tempo, perfetto Dio e perfetto uomo.



61 Come va meditato il beneficio della passione

Quindi il parroco esporrà, intorno alla passione e alla morte di Gesù Cristo, quelle considerazioni che rendono possibile ai fedeli, se non la comprensione, per lo meno la contemplazione di così sublime mistero. Faccia considerare anzitutto chi sia colui che ha sofferto. Non ci è dato intenderne o spiegarne a parole la dignità. San Giovanni dice che è il Verbo, il quale è in Dio (Gv 1,1). L'Apostolo ne fa una descrizione magnifica: "è colui che Dio costituì erede dell'universo; per suo mezzo diede origine ai secoli; è fulgore della gloria e impronta della sostanza del Padre. Egli sorregge l'universo con la forza della sua parola. Dopo averci purificato dai nostri peccati, siede alla destra della maestà suprema, nel più alto dei cieli" (Eb 1,2.3). In una parola, chi soffre è Gesù Cristo, Dio e uomo; soffre il creatore, per quelli stessi ch'egli chiamò all'esistenza; soffre il padrone, per gli schiavi; soffre colui, per virtù del quale furon suscitati dal nulla gli angeli, gli uomini, i cieli, gli elementi tutti; colui, insomma, nel quale, per il quale e dal quale sono tutte le cose (Rm 11,36). Nessuna meraviglia quindi se nell'istante in cui gli spasimi della passione lo stringevano, tutto l'edificio del creato fu scosso nelle sue basi. Narra appunto il Vangelo: "La terra tremò e le pietre si spezzarono; le tenebre si diffusero su tutta la terra e il sole si oscurò" (Mt 27,51; Lc 23,44). Se le creature inanimate e insensibili piansero la passione del Creatore, pensino i fedeli con quali lacrime essi, pietre vive dell'edificio santo di Dio (1 Pt 2,5), debbano esprimere il loro cordoglio.


62 I peccati degli uomini causa della passione

Si devono anche esporre le cause della passione, onde meglio traspariscano l'intensità e la profondità dell'amore di Dio verso di noi. Chi indaghi la ragione per la quale il Figlio di Dio affrontò la più acerba delle passioni, troverà che, oltre la colpa ereditaria dei progenitori, essa deve riscontrarsi principalmente nei peccati commessi dagli uomini dall'origine del mondo sino a oggi e negli altri che saranno commessi fino alla fine del mondo. Soffrendo e morendo il Figlio di Dio nostro salvatore mirò appunto a redimere e annullare le colpe di tutte le età, dando al Padre soddisfazione cumulativa e copiosa. Per meglio valutarne l'importanza, si rifletta che non solamente Gesù Cristo soffrì per i peccatori, ma che in realtà i peccatori furono cagione e ministri di tutte le pene subite. Scrivendo agli Ebrei l'Apostolo ci ammonisce precisamente: "Pensate a colui che tollerò tanta ostilità dai peccatori e l'animo vostro non si abbatterà nello scoraggiamento" (Eb 12,3).

Più strettamente sono avvinti da questa colpa coloro che più di frequente cadono in peccato. Perché se i nostri peccati trassero Gesù Cristo nostro Signore al supplizio della croce, coloro che si tuffano più ignominiosamente nell'iniquità, di nuovo, per quanto è da loro, crocifiggono in sé il Figlio di Dio e lo disprezzano (ibid. 6,6), delitto ben più grave in noi che negli Ebrei. Questi, secondo la testimonianza dell'Apostolo, se avessero conosciuto il Re della gloria, non l'avrebbero giammai crocifisso (1 Cor 2,8), mentre noi, pur facendo professione di conoscerlo, lo rinneghiamo con i fatti e quasi sembriamo alzar le mani violente contro di lui.

La Sacra Scrittura attesta però che Gesù Cristo, oltre che volontariamente, fu preda della morte per volontà del Padre. Ecco come si esprime Isaia: "L'ho colpito a causa dei delitti del mio popolo" (Is ,53,8). Poco prima il medesimo Profeta, saturo dello spirito di Dio, contemplando il Signore coperto di piaghe, aveva gridato: "Ci siamo tutti sperduti come pecore; ciascuno ha seguito la sua via e il Signore ha fatto piombare su di lui le nostre iniquità" (Is 53,6). Parlando poi del Figlio, disse: "Se darà la vita sua per il peccato, scorgerà una lunga progenie" (ibid. 10). Il medesimo concetto è espresso, con parole anche più energiche, dall'Apostolo, il quale mira a mostrarci quante ragioni abbiamo per riporre forte speranza nell'infinita misericordia di Dio. "Colui" egli dice "che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per il bene di tutti noi, non ci donò forse con esso ogni altra cosa?" (Rm 8,32).


63 Asprezza della passione nel corpo e nell'anima

A questo punto il parroco mostrerà quanto crudele sia stata l'acerbità della passione. Se rievochiamo alla memoria la circostanza che il sudore del Signore, alla previsione dei tormenti e degli spasimi che dopo poco doveva subire, fu sudore di sangue che cadeva fino in terra (Lc 22,44), facilmente scopriremo che nulla sarebbe stato possibile aggiungere di terribile ai suoi dolori. Il sudore sanguigno mostra l'amarezza ineffabile suscitata dal pensiero dei tormenti imminenti; che cosa dunque diremo della loro diretta esperienza? E questi dolori sofferti da Gesù Cristo ne colpirono sia il corpo sia l'anima.

Nessuna parte del suo corpo fu immune da sofferenze atroci: i piedi e le mani trapassate dai chiodi; il capo recinto di spine e percosso a colpi di canna; il volto insozzato di sputi, malmenato con schiaffi; tutto il corpo battuto con i flagelli. Uomini di ogni stirpe e di ogni classe si accordarono nell'infierire contro il Signore e il suo Cristo (Sal 2,2). Pagani ed Ebrei furono solidalmente istigatori, autori e strumenti della passione. Giuda lo tradì, Pietro lo rinnegò, tutti lo abbandonarono (Mt 26, 27; Mc 14, 15; Lc 22, 23; Gv 13-19).

Che cosa poi rileveremo nella crocifissione? Il patimento o la vergogna, o non piuttosto l'uno e l'altra? In realtà non sarebbe stato possibile escogitare genere di morte più obbrobrioso e doloroso di quello, al quale erano di solito destinati i più scellerati e pericolosi fra gli uomini e durante il quale la lentezza del supplizio rendeva più cocente lo spasimo. Del resto la stessa costituzione fisica di Gesù Cristo rendeva più atroce la sofferenza. Il suo corpo infatti, formato per virtù dello Spirito Santo, era dotato di maggior sensibilità e delicatezza del corpo degli uomini normali; quindi in esso erano più affinate le capacità sensibili. Fu perciò per esso più doloroso affrontare tanti tormenti.

D'altra parte nessuno potrà revocare in dubbio che anche il dolore dell'animo arrivò all'estremo in Gesù Cristo. I santi che affrontarono supplizi e tormenti non mancarono di un certo conforto spirituale, divinamente concesso, sostenuti dal quale poterono con energia serena tollerare l'aculeo del martirio. Anzi accadde che molti, pur fra indicibili spasimi, sembravano soffusi di una vera letizia interiore. L'Apostolo, per esempio, esclamava: "Godo nei mali che soffro per voi e compio nel mio corpo quanto manca alle sofferenze di Gesù Cristo, soffrendo io stesso per il corpo suo, la Chiesa" (Col 1,24). E altrove: "Sono colmo di gioia, sovrabbondo di letizia in ogni nostra tribolazione" (2 Cor 7,4). Gesù Cristo nostro Signore invece bevve un calice di passione amarissima, che nessuna stilla di soavità aveva temperato; al contrario permise alla natura umana, da lui assunta, di sentire tutti i tormenti, quasi fosse solamente uomo e non Dio.


64 I frutti della passione

Infine il parroco spiegherà con diligenza i vantaggi e i benefici scaturiti per noi dalla passione del Signore. Anzitutto dalla passione del Signore seguì la nostra liberazione dal peccato. Dice san Giovanni: "Egli ci ha amato e ci ha mondato dalle nostre colpe con il suo sangue" (Ap 1,5). E l'Apostolo dal canto suo afferma: "Ci ha fatto rivivere, perdonandoci tutti i peccati, cancellando la sentenza di pena emanata contro di noi, ch'egli soppresse, affiggendola alla croce" (Col 2,13.14). In secondo luogo ci ha strappati alla schiavitù del demonio. Lo stesso Signore ha detto infatti: "Adesso si fa giudizio di questo mondo; adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori e io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me" (Gv 12,31.32). In terzo luogo pagò il debito contratto per i nostri peccati. Inoltre, non essendo possibile offrire a Dio sacrificio più accetto e gradito, Gesù Cristo ci ha riconciliati con il Padre, rendendolo verso di noi propizio e placato. Infine, avendo scontato la pena del peccato, ci dischiuse l'ingresso dei cieli, che la colpa comune a tutto il genere umano aveva serrato. Il che fu espresso dall'Apostolo, con le parole: "Nutriamo fiducia di essere ammessi nel santuario, in virtù del sangue di Gesù Cristo" (Eb 10,19).

Non mancano nel Vecchio Testamento simboli raffiguranti questo mistero. Coloro ai quali era vietato di rientrare in patria prima della morte del sommo sacerdote (Nm 35,25) stavano a significare che nessuno poteva entrare nella patria celeste, per quanto giusta e pia la sua vita, prima che il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo subisse la morte. Dopo questa, immediatamente i battenti del paradiso si spalancarono per coloro che, purificati attraverso i sacramenti, ricchi di fede, di speranza e di carità, partecipano ai frutti della sua passione.


65 La Passione del Signore, sacrificio sommamente accetto

Il parroco mostrerà come tutti questi magnifici doni divini ci vennero dalla passione: anzitutto perché si tratta di una soddisfazione integrale e perfetta sotto ogni punto di vista, che Gesù Cristo offrì a Dio Padre per i nostri peccati in una maniera mirabile. Anzi il prezzo da lui pagato in vece nostra, non solo pareggiò, ma oltrepassò i nostri debiti. Il sacrificio inoltre fu sommamente accetto a Dio: appena offerto dal Figlio sull'altare della croce, l'ira e l'indignazione del Padre furono placate. Tali concetti esprime l'Apostolo, quando dice: "Cristo ci amò e si offrì per noi quale vittima e oblazione di soave profumo a Dio" (Ef 5,2). A tale redenzione si riferiscono le parole del principe degli Apostoli: "Non siete stati redenti con oro e argento corruttibili dalla fatuità delle vostre consuetudini paterne e tradizionali, ma con il sangue prezioso di Gesù Cristo, agnello candido e incontaminato" (? Pt 1,18.19) e san Paolo insegna: "Cristo ci ha liberato dalla maledizione della legge, diventando lui maledizione per noi" (Gal 3,13).


66 La Passione del Signore è il modello di ogni virtù

Con questi immensi benefici, un altro ne abbiamo raggiunto: fissando lo sguardo nella sola passione, noi scorgiamo esempi mirabili di tutte le virtù. Essa infatti insegna la pazienza, l'umiltà, l'esimia carità, la mansuetudine, l'obbedienza, la più tenace costanza d'animo, non solamente nel sostenere i più forti dolori per la giustizia, ma anche nell'affrontare impavidamente la morte. Si può dire quindi, senza esagerare, che il nostro Salvatore, nel solo giorno della passione, riassunse in sé tutti quei precetti di vita, che aveva inculcato durante il periodo della sua predicazione.

Quanto abbiamo detto, brevemente, riguarda la salutifera passione di Gesù Cristo nostro Signore. Che dunque i misteri contemplati siano assiduamente presenti alle anime nostre e che noi apprendiamo cosi a soffrire, a morire, a essere sepolti con il Signore! Così, eliminata ogni bruttura di peccato, risorgendo con lui a nuova vita, possiamo un giorno, con la pietosa sua grazia, essere fatti degni di partecipare al regno e alla gloria dei cieli.