Cara Speranza/Cara Speranza

Cara Speranza

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Il Curare
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CARA SPERANZA

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Si chiamava Amalia. Però, malgrado quel nome gentile, era una fra le più rozze campagnuole delle risaie, quando si presentò in casa nostra ad offrirsi come serva.

S’era messe le scarpe per la solennità della circostanza, ma, appena vide il pavimento lucido del nostro gabinetto, rimase sbigottita e si curvò come per levarsele. Ci volle di molto a persuaderla d’entrare calzata com’era.

Tuttavia non era timida nè selvatica, come sono, per lo più, le contadine; le [p. 4 modifica]pareva soltanto una mancanza di rispetto il mettere sul nostro pavimento le scarpe che aveva strascinate, per una lunga camminata, nella polvere della strada maestra da Momo a Novara. Ignorava ogni elemento di civiltà, e, nella sua cortesia istintiva da persona buona, inventava una civiltà a suo modo, che riesciva grottesca, sebbene, a conti fatti valesse forse quanto la nostra. Infatti nella China si tolgono le scarpe prima di entrare nelle case. È questione di usanze.

In tutta la persona dell’Amalia si vedevano le traccie della vita e dei lavori delle risaie. Aveva ventisette anni ma ne dimostrava quaranta. Il volto era pieno di rughe, i capelli, folti sulla fronte, erano tanto radi sul cranio, che frammezzo alle ciocche, tirate nella legatura, si vedeva la pelle bianca sollevarsi. [p. 5 modifica]

Portava la pettinatura del nostro contado, e come tutte le contadine, che quel peso enorme sul capo rende calve prima del tempo, suppliva alla capigliatura mancante con due grosse treccie di cotone, girate intorno ad un cerchietto di filo di ferro coperto di tela; ed in quelle puntava i grossi spilloni di falso argento. Sui capelli scarsi, quell’edificio non trovava appoggio sufficiente, e le ballonzolava dietro il capo. Le mancavano vari denti, e, traverso quei vuoti, le esse uscivano sibilanti.

Ma di questi particolari della sua figura l’Amalia non si dava il menomo pensiero. Era forte e sana, sapeva d’aver ventisette anni. Cosa le importava di dimostrarne di più?

Le domandammo se sapesse cucinare.

Rispose:

— No. So appena fare la minestra [p. 6 modifica]alla nostra maniera da contadini, e friggere le patate ed i fagiuoli; ma ho buona volontà; imparerò presto.

— E sai stirare?

— Neppure. Noi non usiamo stirar nulla... Ma anche questo potrò impararlo. Non abbiano paura: la cognizione non mi manca; capisco subito quello che mi insegnano.

Mio padre domandò:

— E per le informazioni, a chi debbo rivolgermi?

— Se vuol andare a Momo, e domandare alla cascina Pometta, dove sono stata a servire per tredici anni... Ma per la fedeltà può mettermi nell’oro, guardi, che un quattrino, che è un quattrino, non lo toccherei.

Le facemmo altre domande, alle quali rispose con sicurezza, e senza vantarsi mai. Ci piacque molto, e le proponemmo [p. 7 modifica]di venire con noi per un mese a titolo d’esperimento. Accettò, ma non colla prontezza e lo slancio che le sue risposte precedenti e le sue maniere espansive ci avevano fatto aspettare.

Le domandai:

— Non sei contenta?

— Oh, per contenta lo sono di certo... Ed esitava sempre.

Io soggiunsi per incoraggiarla:

— Siamo soltanto due da servire: il babbo ed io.

— Fossero anche dodici, la fatica non mi fa paura.

Stette ancora titubante, poi soggiunse in fretta come per afferrare la risoluzione prima che le sfuggisse:

— Ecco; è meglio che glielo dica addirittura. Io sono una figliola onesta, non cerco d’andare a spasso, non mi perdo via coi giovanotti, tiro dritto per [p. 8 modifica]la mia strada; ma però; cosa serve nasconderlo? Ho un bersagliere.

Aveva pronunciato bresagliere, poi aveva messo fuori un gran sospirone, come per dire: “È fatta!„

Questo bersagliere abbuiò subito, coll’ombra delle sue piume, la fronte di mio padre, che disse crollando il capo:

— Uhm. Ho paura che non facciamo nulla. Ogni volta che andrete fuori avrete il bersagliere intorno...

L’Amalia sospirò melanconicamente:

— Oh! questo non è possibile. Il Re l’ha mandato in Cicilia.

Mio padre che era un vecchio Piemontese devoto alla monarchia ed alla casa Savoia, approvò vivamente quella disposizione del Re. E l’Amalia, vedendolo sorridere, riprese fiduciosamente.

— Serviva anche lui alla Pometta, ma allora non era bersagliere. Abbiamo [p. 9 modifica]cominciato a parlarci, dalla finestra della cucina che guardava nell’orto, perchè lui era ortolano. E che bel giovine! Se vedesse signor padrone, alto come lei, e più diritto di lei, perchè quello è giovine, e lei no, pover’uomo! Però noi si sapeva che doveva andare soldato e ci promettemmo di aspettarci finchè lui avesse finito il suo tempo. Sono quattro anni che gira per la Cicilia, ed io intanto servo, per mettere un po’ di quattrini da parte; poi, dopo tre anni ancora, tornerà col suo congedo risoluto e mi sposerà.

Dacchè il bersagliere era messo al sicuro di là dal mare, mio padre ammise l’Amalia ad un mese di prova, dopo il quale ella tirò via a servire senza che nessuno sollevasse la menoma obbiezione.

Era una donna attiva, intelligente, pulita, e sempre allegra. Diceva casa no[p. 10 modifica]stra, diceva noi, nominando collettivamente se stessa ed i padroni, faceva un mondo d’accoglienze ai visitatori che venivano, e s’informava della loro salute come se fossero suoi amici; ma, in una famiglia alla buona come la nostra, queste dimestichezze si potevano perdonare. Imparava ogni cosa con molta facilità, e trovava tempo per la cucina, per stirare, per tenere in ordine la casa, ed anche per correre ogni giorno alla posta a domandare se c’erano lettere del bersagliere.

Ne parlava continuamente. Tutti i vicini di casa, padroni e servitori, i nostri conoscenti, i portinai, i bottegai della contrada, sapevano che l’Amalia aveva un innamorato bersagliere; ed appena la vedevano le domandavano ridendo:

— E così, Amalia? ha scritto il bersagliere? [p. 11 modifica]

Il pollaiolo le regalava dei mazzi di penne di cappone, che lei metteva da parte giubilando per “mandarle in Cicilia alla prima occasione„. Provava ad inalberarle da un lato del suo capo calvo, e, diceva:

— Come staranno bene sul cappello del bersagliere!

Per se stessa non comperava mai nulla. Riceveva col salario i vestiti e le scarpe, come si usa in provincia, ed il denaro delle sue mesate lo metteva tutto da parte per quando avrebbe sposato il bersagliere. S’era fatta lei stessa, col suo filato, varie pezze di tela che serbava preziosamente nel baule, e non ne avrebbe staccato da farsi una camicia per nulla al mondo. I doni che le si facevano lungo l’anno, le strenne di Natale, tutto riponeva per quel giorno desiderato e lontano. [p. 12 modifica]

Ma aveva l’amore gaio; non la si udiva mai rimpiangere la lontananza dell’innamorato. Era sicura di quell’amore come di respirare e di vivere; il più lieve dubbio non era mai sorto nel suo cuore onesto; e quel pensiero del bersagliere la colmava di gioia.

S’egli tardava a scriverle, la sola supposizione che l’Amalia faceva era che fosse malato; e allora s’impensieriva e moltiplicava le corse alla posta. Se incontrava il portalettere, erano sempre delle scene. Voleva che esaminasse ad una ad una le soprascritte, fin all’ultima; poi le domandava se era ben sicuro di non avere altre lettere in tasca, o di averne perduta qualcuna per via.

Appena la lettera aspettata giungeva poi, era un delirio di giubilo. Non sapeva leggerla, ma cominciava fin dalla posta a dire agli impiegati: [p. 13 modifica]

— È del bersagliere! Viene nientemeno che dalla Cicilia, e c’è su Cara speranza! E rideva, rideva, finchè le cadevano le lacrime.

Poi correva verso casa, ed in capo alla contrada alzava la lettera, la faceva sventolare gridando:

— C’è la lettera del bersagliere! C’è la lettera del bersagliere!

Era sempre qualche bottegaio che gliela leggeva. E l’Amalia si piantava in faccia a lui, ridendo anticipatamente di gioia e guardandolo bene in viso, come se fosse il bersagliere stesso che parlasse, e lei volesse vederne il senso delle parole nell’espressione del volto. E, prima che si cominciasse a leggere, domandava tutta gongolante.

— C’è “Cara speranza„ in cima?

Cara speranza„ c’era sempre; e le lettere si somigliavano tutte; ma l’Ama[p. 14 modifica]lia esultava, si torceva le mani durante la lettura per comprimere le grida di piacere. Poi pigliava il foglio e saltava in mezzo al gruppo d’amici che si erano stretti intorno, e si agitava tanto, che l’aureola degli spilloni minacciava di strapparle, nella violenza dei rimbalzi, quei pochi capelli che la reggevano. E baciava la lettera, e rideva, rideva da perderne il fiato, e per parecchi giorni tutto il casamento era assordato dalla canzone favorita dall’Amalia:

O mamma famm el lett,
Che mi faroo la cuna,
L’amor del bersaglier
L’è sta la mia fortuna.

Tutti compativano la schietta affezione della povera giovane; quell’amore gioviale faceva piacere; e poi si sapeva che era onesto. Col mare in mezzo, i due innamorati miravano al buon fine. [p. 15 modifica]Senza questo in provincia non avrebbero tollerato tanto.

Quella passione immensa arrivò una volta a dare alla contadina una specie di divinazione. Era qualche tempo che il bersagliere non scriveva. Quando giunse la lettera, nell’aprirla se ne vide cader fuori un centesimo. Si fecero molti commenti nel vicinato:

— Cosa vorrà dire?

— Una moneta è un simbolo d’amore.

— Ma non così intera; si deve tagliarla in mezzo, e portarne al collo metà per ciascuno.

— Ma che! È perchè possiate giocare a croce e lettera per vedere se vi vuol bene.

Ed il pollaiolo, che era il più istruito, e non credeva nè a talismani, nè ad oroscopi, e rideva delle sentimentalità amorose, diceva con sussiego: [p. 16 modifica]

— Non istate ad almanaccar tanto: non è altro che uno scherzo. I soldati sono uomini di mondo; amano ridere...

Ma l’Amalia rise meno del solito, e baciò la lettera più amorosamente; ed il domani, quando venne a ricevere gli ordini per la cucina, mi domandò come si potesse fare per mandare cinque lire fino in Sicilia. Poi disse:

— Il bersagliere ha messo un centesimo nella lettera, poveretto. Vuol dire che ha bisogno di quattrini.— E spedì a Catania un vaglia di cinque lire.

Infatti voleva dire così; il suo cuore amoroso aveva indovinato.

Appunto per quella sua rustichezza affettuosa e bonacciona, l’Amalia dava nel genio a tutti i nostri parenti ed amici, che coglievano volentieri l’occasione di farle qualche regaluccio, di darle delle mancie o delle strenne. In tre [p. 17 modifica]anni le riuscì di raggranellare parecchie centinaia di lire ed un baule di roba.

Il denaro l’aveva alla Cassa di risparmio, e tratto tratto veniva da me col libretto, perchè facessi il conto, a che somma era salito il suo capitale coll’aumento dei frutti. Bastava che potesse contare una lira più della volta precedente, per essere contentissima. Diceva:

— È la dote del bersagliere. È il tesoro del bersagliere. Tutto quello che ho è per lui.

E scoteva il capo con un’affermazione così energica che la pettinatura le batteva il cranio come il mantice d’una timonella sgangherata.

Quei tre anni, durante i quali era stata bene alloggiata e ben nutrita, non avevano quasi punto invecchiata l’Amalia; ma non erano neppur riusciti ad abbel[p. 18 modifica]lirla. Pareva la stessa del primo giorno che l’avevamo veduta.

Soltanto, a misura che s’avvicinava il ritorno del bersagliere, la gioia che le traspariva dagli occhi, dal ridere beato, da tutta la persona, la rendeva quasi bella.

Non mancavano che quindici giorni all’arrivo del bersagliere quando io mi ammalai d’una febbre intermittente e dovetti stare a letto. Mio padre che, sebbene fosse molto burbero, mi voleva bene, chiamò subito il medico, e mi curò come se si fosse trattato di una malattia grave. La povera Amalia, che m’aveva preso tanto affetto, era spaventata all’idea che dovessi ancora stare in letto quando sarebbe tornato il bersagliere.

Domandava dava ansiosamente al medico:

— Potrà alzarsi per il giorno quindici? [p. 19 modifica]

Il quindici di novembre era il gran giorno che lei aspettava da sette anni.

La mattina del dieci si alzò lei con una guancia enormemente gonfia. Ma diceva di non soffrire affatto, era semplicemente una flussione.

— Purchè il bersagliere non mi trovi col viso storto!

Era la sola cosa di cui si desse pensiero. Poi soggiungeva:

— Gli farebbe troppo dispiacere di trovare ammalata la sua: “Cara speranza„.

Non era la vanità che le stava in mente, era il desiderio che nulla turbasse la gioia del suo fidanzato. Quando venne il medico, e l’Amalia andò ad aprirgli sfigurata a quel modo, egli la interrogò sul suo male, le tastò il polso, poi la mandò a letto, ed entrò da me tutto serio ed accigliato. [p. 20 modifica]

— Quella donna, mi disse, non istà punto, punto bene. Or ora la visiterò...

Infatti andò a vederla a letto, e disse che, oltre alla risipola che le gonfiava il volto, c’era pericolo che le si sviluppasse il tifo. Proibì assolutamente ogni comunicazione con me, e fece chiudere tutti gli usci, perchè le nostre camere erano separate soltanto da un corridoio stretto.

La sera l’Amalia aveva realmente il tifo, e la mattina dopo, colla scusa che la sua camera non aveva aria bastante, che l’ammalata infettava la casa, che agitava me colle sue grida deliranti, il medico indusse mio padre a farla portare in una camera particolare dell’ospedale.

Avrei voluto vederla prima che se ne andasse, ma assolutamente non permisero nè che mi alzassi, nè che la portassero nella mia stanza. Mentre attraver[p. 21 modifica]sava il corridoio udii che diceva colla sua voce giuliva:

— Andiamo incontro al bersagliere! Tutta la roba mia è pel bersagliere. Cara Speranza! Ed intonava la solita canzone:

O mamma famm el lett,
Che mi faroo la cuna...

Domandai al medico impaurita:

— Guarirà?

— Può darsi. Vedremo come passa la prima settimana.

Non poteva togliermela dal cuore un minuto. Avevo dei presentimenti tetri. E d’altra parte pensavo:

— Ma finora non ha fatto che lavorare, senza distrazioni, senza affezioni di famiglia (perchè i suoi l’avevano mandata a servire a dodici anni e non se ne erano curati più), senza benessere, senza sod[p. 22 modifica]disfazioni di vanità; ha vissuto per una speranza, s’è appagata d’una promessa e non ha invidiato nessuno. Bisognerebbe dire che non c’è giustizia se quella promessa non le fosse mantenuta...

Infatti non le fu mantenuta. La sera del giorno quattordici morì. Ma morì in un’estasi di gioia credendosi nelle braccia del suo bersagliere; ed il suo cadavere rimase sorridente colle labbra aperte sui poveri denti spezzati e radi.

Poche ore dopo, giunsero i suoi fratelli, che mio padre aveva fatti chiamare.

Io sapeva che la povera donna aveva sempre destinato quanto possedeva al bersagliere; tutti lo sapevano; ma non c’era nulla di scritto; non aveva neppure potuto dirlo formalmente a voce prima di morire, perchè era delirante. E quei parenti, due villani, lenti, freddi ed avidi, [p. 23 modifica]che non avevano fatto mai nulla per lei, si portarono via il frutto delle sue fatiche e privazioni, la dote del bersagliere, il tesoro d’amore, che la poveretta aveva impiegato tredici anni a raccogliere.

Il giorno quindici arrivò il bersagliere e venne direttamente da noi.

Era in viaggio da parecchi giorni, e non sapeva nulla della malattia dell’Amalia. Mio padre era all’ospedale presso la morta; dovetti far entrare il soldato nella mia camera, e quasi ne ebbi piacere per potergli dare la nuova dolorosa colla maggior dolcezza possibile, e dirgli qualche parola di conforto.

Era appunto quello che i contadini chiamano un bel giovine; oramai però era uomo fatto, una grande e grossa persona massiccia, col collo corto, i capelli fitti e duri come setole, e ritti sopra la fronte stretta, gli occhi piccoli, il [p. 24 modifica]naso corto, il viso largo, e stupido; ecco quel personaggio adorato.

Cominciai a dirgli che l’Amalia s’era ammalata, ed egli rimase impassibile. Aggiunsi che s’era ammalata gravemente, molto gravemente, che l’avevano portata all’ospedale.

E lui, duro come un muro, ed egualmente freddo.

Forse era soggezione, forse quello stupido amor proprio della gente rozza, di non lasciar scorgere la commozione che considerano come una debolezza.

Allora presi coraggio e gli annunciai tutta la disgrazia.

Si fece rosso rosso, girò nervosamente fra le mani il cappello piumato, ma non disse nulla.

Lo esortai ad esser forte, a rassegnarsi, aggiunsi che era una grande sventura; che tutti la sentivamo, e che fin all’ul[p. 25 modifica]tima ora la poveretta, anche delirando, aveva pensato a lui... E gli stesi la mano in atto di amichevole conforto.

Egli la vide, ma non si mosse, non la prese, e disse soltanto facendosi anche più rosso:

— Si può andare a vederla?

Gli risposi di sì, gli diedi un biglietto per mio padre che era laggiù a disporre i funerali, e gli indicai la strada. Egli ascoltò tutto in silenzio senza guardarmi, poi fece goffamente il saluto militare, e, sempre muto, se ne andò.

All’ospedale non domandò di mio padre nè diede il biglietto; però il babbo era presente quando entrò nella camera della morta.

Stavano per metterla nella cassa; le avevano tolti gli spilloni, il capo era scoperto, e la bocca sdentata sorrideva ancora del suo buon sorriso. [p. 26 modifica]

Il bersagliere s’accostò adagio adagio al cadavere, coll’aria impacciata, senza osare di guardar nessuno; poi, vedendo dall’altro lato del letto il fratello della morta, che altre volte aveva conosciuto, lo salutò con un cenno del capo serio, e disse:

— Accidenti! com’era vecchia!

Ma non c’era nessuna perfidia in quella parola. Era un’impressione che riceveva, e la esprimeva in tutta sincerità. Se l’Amalia fosse stata viva l’avrebbe espressa ugualmente a lei, senza per questo cessare di chiamarla, nel linguaggio artifizioso delle lettere Cara Speranza.

Infatti, quando stesero la morta nella bara, egli si fece il segno della croce rapidamente e come di soppiatto, ma arrossì molto, e gli luccicarono gli occhi. Poi uscì ed andò ad aspettare il corteg[p. 27 modifica]gio funebre a cinquanta passi dall’ospedale, fingendo di leggere un affisso. Lasciò sfilare il funerale modesto, poi si mise a seguirlo di fianco come se camminasse da quella parte per pura combinazione, e con quel mortorio non avesse nulla a che fare. Però giunto al cimitero entrò dietro gli altri, e rimase un po’ in disparte col capo chino finchè fu coperta la fossa.

Nel ritorno l’altro fratello della morta gli si accostò, e senza saluti nè parole di benvenuto, gli disse guardandosi la punta degli scarponi:

— Sicchè la povera Amalia se n’è andata...

Egli crollò il capo, scosse le spalle, come per cacciarsi un gruppo dalla gola, poi rispose:

— Ma!

E gli voltò la schiena. [p. 28 modifica]

Mio padre raggiunse il soldato, e gli spiegò come a lui non fosse toccato nulla della piccola eredità, in causa dei fratelli. Ma che, per riguardo a quella povera anima, noi avevamo ritenute le lettere di lui, e che poteva venirle a prendere.

— Oh! sono sciocchezze!

E diede una grande scrollata di spalle. E, per quanto mio padre lo interrogasse, non ci fu verso di fargli dire se voleva riaverle, o se s’avevano da bruciare.

E le bruciammo noi, mio padre ed io, nel fuoco del caminetto tutte le care speranze che avevano consolata quella vita povera, laboriosa ed onesta.