<dc:title> Le canzoni di re Enzio </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Giovanni Pascoli</dc:creator><dc:date>1908</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation></dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Canzoni_di_re_Enzio/La_canzone_del_paradiso/Il_re_morto&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20120719200304</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Canzoni_di_re_Enzio/La_canzone_del_paradiso/Il_re_morto&oldid=-20120719200304
Nella città con la canestra in capo
va sotto i neri portici e le torri
dal sole accese, appiedi dei palagi
cinti di merli, ingombri di baltresche,
in mezzo al rombo di campane a festa.5
In una piazza ella riposa un poco,
depone un poco la canestra, e guarda.
In alto guarda, e si ravvia sul capo
i ricci pésti dal corollo.
Dalla finestra uno la chiama: «Ehi! tosa!»10
S’avvia la tosa con le dolci frutta
e con li odori, e sulla porta un vecchio
vestito a festa: «Va pur su» le dice:
«è misèr Piero, Pier de li Asinelli».
Dice Zuam Toso; ed ella ascende, ed entra15
in una sala piena di signori,
seduti, in piedi; e ode basse voci
gridare, Azar! a tavoliere.
Sur una panca giace un cavaliere,
con gli occhi chiusi, bianco il viso, bionde20
ciocche scorrenti tutto intorno a onde.
«Re Falconello?» ella domanda; e Piero,
scegliendo fiori e frutta: «Falconello,
coi geti al piede!» Dorme il re: d’un tratto
sente un odore di verziere e d’orto,25
e vede fiori frutta alberi strade,
e vede campi e fiumi, e il sole!
Sorride un poco, apre le nari, e dorme.
E Flor d’uliva scende più leggiera
e più pensosa. Pensa al Falconello30
coi geti al piede, così bello e blondo.
Ritorna, e canta nel ritorno, e in cielo
soffiano i lampi e qualche tuon bombisce.
E dice alcuno che il maltempo esplora:
«Par di sentire l’allodetta santa,35
che in cielo, tra due tuoni, canta».
Lunga è la via, non è la via dell’orto! Deh! la gran pieta del Re Morto! Elli era bello, or è più bello. Zase scoperto in t’un lavello;40 una fontana i geme appresso. E sul lavello un arcipresso tene una secchia appesa ai rami, che dice: Vuoi ch’e’ viva e t’ami? empi me di lagrime amare.45
Cascano già gocciole rare e grosse. Chi ha tante lagrime amare? Ed ecco un dì vene una sclava, e vede il Re morto che amava, né il Re lo seppe a la so vita.50 Prende la secchia intarmolita, e se la pone tra i ginocli: tre dì vi mesce giò da li ocli, l’ha quasi empita del so planto.
Rimbalza su la polvere che odora.55 Si specchia allora nel so planto: si vede sozza, scarna, trista. «Deh! como sosterrà mia vista? Eo vuo’ lavarmi alla fontana». Vi va, chè la non è lontana;60 si lava: anche i cavelli scioglie; si mira; anche due flori coglie; fiori di menta e di ginestra.
La pioggia scroscia sulle larghe foglie. Flori di timo e di ginestra,65 flori per una ghirlandetta; poi torna al so gran planto, in fretta, che forse non ne manca un dito... La secchia è colma, il Re sparito! Un’altra sul suo pianto ha pianto;70 ha tratto il morto Re d’incanto, con quattro lagrimette stente. Con quattro lagrimette stente s’è tolta ’l blondo Re ch’ell’ama, ed ella, oisé dolente e grama!75 le ha plante, per l’amor suo, tutte. Non plange più, le ha plante tutte dal core per l’amor so bello: rimane lì presso ’l lavello, con le so lagrime rimane:80 ... le so lagrime vane.