Tempesta, naufragio, terremoto e quel che avvenne di Pangloss, di Candido e dell'anabattista

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Voltaire - Candido (1759)
Traduzione dal francese di Anonimo (1882)
Tempesta, naufragio, terremoto e quel che avvenne di Pangloss, di Candido e dell'anabattista
capitolo 4 capitolo 6

5. Tempesta, naufragio, terremoto e quel che avvenne di Pangloss, di Candido e dell'anabattista


La metà de’ passeggieri, languidi, e affranti dalle indicibili angosce che il tentennìo d’un bastimento produce ne’ nervi e in tutti gli umori del corpo agitati in contrarie direzioni, non avea nemmeno la forza di mettersi in pena del suo pericolo; l’altra metà gettava delle strida, e innalzava preghiere. Eran lacere le vele, gli alberi spezzati, sdruscito il bastimento. Lavorava chi poteva, non vi era chi s’intendesse, non vi era chi comandasse. L’anabattista dava un po’ di ajuto alla manovra; egli era sul cassero; un marinajo furioso lo colpisce malamente, e lo distende sulla coperta, ma dal colpo che diede a lui ebbe egli stesso una scossa sì violente che cadde a capo riverso fuor del bastimento. Restava egli sospeso e abbriccato a un pezzo d’albero rotto. Il buon uomo di Giacomo corre al di lui soccorso, e l’ajuta a risalire, ma dallo sforzo che fece è precipitato egli nel mare in vista del marinajo che non si degnò nemmeno di rimirarlo. Candido si accosta, vede il suo benefattore che ricomparisce a galla un momento, e resta inghiottito per sempre. Vuole egli gettarsegli dietro nel mare, il filosofo Pangloss lo ritiene, provandogli che la spiaggia di Lisbona era stata formata apposta, perchè quest’anabattista vi si annegasse. Mentre lo stava provando a priori, s’apre il bastimento e tutti periscono, a meno di Pangloss, di Candido, e del marinaro brutale che aveva affogato il virtuoso anabattista. Quel birbante nuotò fino alla riva, ove Pangloss e Candido furono trasportati anch’essi sopra d’un asse.

Ritornati che furono un poco in sè, presero il cammino verso Lisbona. Restava a loro qualche denaro con cui speravano di scampar la fame dopo aver scampato il naufragio.

Appena messo piede in città, piangendo la morte del loro benefattore, sentono tremare la terra sotto i lor piedi; il mare si solleva ribollendo nel porto, e fracassa i bastimenti che sono all’áncora. Vortici di fiamme e di cenere coprono le strade o le piazze, crollano gli edifizj, si rovesciano tutti sulle fondamenta, e le fondamenta dispergonsi. Trenta mila abitanti d’ogni età e d’ogni sesso restano schiacciati dalle rovine. Il marinajo fischiando, e bestemmiando dicea fra sè: - Qui v’è da buscar qualche cosa.

- Qual può esser la ragion sufficiente da’ un tal fenomeno? dicea Pangloss.

- Questa è la fine del mondo, esclamava Candido.

Il marinajo corre addirittura tramezzo alle rovine ad affrontar la morte per trovar de’ quattrini, ne trova, se ne impadronisce, s’ubbriaca, e avendo smaltito il vino, compra i favori della prima ragazza cortese che se gli para davanti, sulle ruine delle case distrutte, e in mezzo dei moribondi e de’ morti. Pangloss lo tirava intanto per la manica, "amico, dicendogli, la non va bene, voi mancate alla ragione universale, voi impiegate malamente il tempo." - Corpo di... sangue di... rispondeva l’altro, son marinajo e nato a Batavia; oh va che tu hai trovato il tuo, colla tua ragione universale!

Candido era stato ferito da alcune scaglie di pietre, e coperto di frantumi di rovine giacea disteso sulla strada. - Ahimè, diceva egli a Pangloss, procurami un po’ di vino, e un po’ d’olio, ch’io mi muojo. - Questo terremoto rispondeva Pangloss, non è cosa nuova; la città di Lima sofferse in America le stesse scosse l’anno passato: l’istessa cagione produce l’istesso effetto: bisogna che certamente sotto terra vi sia una striscia di zolfo da Lima fino a Lisbona - Non vi è niente di più probabile, diceva Candido, ma datemi per Dio un po’ di vino e un po’ d’olio. - Come probabile? replica il filosofo; la cosa è evidente, ed io la sostengo.

Candido perdè il lume degli occhi, e Pangloss gli recò dell’acqua d’una fontana vicina.

Il giorno dopo, avendo trovato qualche po’ di provvisioni con ficcarsi tramezzo alle rovine, si rinfrancarono un po’ di forze, quindi si posero come gli altri a lavorare per sollievo degli abitanti ch’erano scampati alla morte. Alcuni cittadini sovvenuti da essi gli diedero da desinare qual poteva apprestarsi in tanta sciagura. Era il pranzo veramente assai tristo, bagnando i convitati il loro pane di lacrime, ma Pangloss li consolava assicurandoli, che le cose non potevano andare altrimenti; perchè, diceva egli, tutto quel che è, è ottimo, imperocchè se vi è un vulcano a Lisbona non poteva essere altrove non essendo possibile che le cose non sieno dove sono; perchè ogni cosa è bene. Un omiciattolo moro famiglio dell’Inquisizione, che gli era accanto, prese civilmente la parola, e gli disse: - Al vedere il signore non crede al peccato originale; perchè se ogni cosa è per lo meglio, non v’è dunque nè caduta nè castigo. - Domando umilissima scusa a vostra eccellenza, rispose anche più civilmente Pangloss, perchè la caduta dell’uomo e la maledizione entravano necessariamente nell’ottimo de’ mondi possibili. - Vossignoria non crede dunque la libertà? riprese il famiglio. - Mi scusi vostr’eccellenza, replicò Pangloss, la libertà può sussistere, con la necessità assoluta, perchè era necessario che noi fossimo liberi, perchè finalmente la volontà determinata...

Pangloss era in mezzo a questo discorso, quando il famiglio fece un cenno al suo staffiere che lo serviva a tavola con del vino di Porto.