Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere/Parte terza/Capitolo ultimo

Capitolo ultimo

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CAPITOLO ULTIMO

Come si possano facilitare gli espedienti predetti.

Resta, per dar fine a questa terza parte, trattare della facilitazione degli espedienti, del modo che si è promesso, in confuso, accennando solamente e non discorrendo come si è fatto, convenendo, cosí per ragione della materia e altri rispetti, non palesarli come si è fatto dell’altre cose discorse; e deve bastare [p. 229 modifica]assai e non poco aversi dimostrato e fatto conoscere tanti errori nelli quali l’intelletto si era ingannato, e con supposizione di veritá prodotti e moltiplicati sempre errori, e, ancorché in parte lo conoscesse, pure stesse nella prima confusione, né mai si ha possuto levare da quella. E non solo si è fatto conoscere l’errore, ma in breve tutte le cause che possono fare abbondare li regni di monete dove non vi sia miniera di oro o argento, e con piú essempi ed esperienze di diverse cittá d’Italia comprobato esser vere; che non dovria parer strano, a chi desia d’investigare e fatigar l’ingegno, contentarsi di questo e di aver detto quanto si è detto sopra li remedi tentati e proposti da altri, con accennar gli espedienti veri e in questo fine il modo, esplicando alcune contrarietá che par contenga detto modo.

Come si è detto, una delle cause che non permette vengano denari in Regno per l’estrazione della robba sono l’entrate che tengono forastieri; e si è concluso che o non sia possibile o non espediente, per il pericolo di maggior danno o altro, levar questa causa, e ancora esser proposizione vera che durante la causa dell’infirmitá duri sempre l’infirmitá. Da queste due conclusioni par che nasca consequenzia necessaria che non vi possa essere remedio mentre la causa non si può togliere, e, non togliendosi, il male ha sempre da durare. Bisogna resolvere questa contradizione. Alla quale si risponde che, ancorché la causa non si levi, non segue consequenzia che debba durare sempre il male, perché la proposizione che durante la causa dura l’effetto, o sia morbo o altro, procede nelle cause necessarie semplici e assolute, quali necessariamente producano l’effetto, come è il fuoco a rispetto del caldo; ché non sará mai possibile levarsi l’effetto del caldo non levandosi il fuoco, e sempre che ci sará il fuoco ci sará necessariamente il caldo. Ma nel particolare nostro è differente caso, ché l’entrate non sono causa necessaria né assoluta, ma contingente, la cui natura non produce di necessitá l’effetto, ma contingentemente e con condizione; sí che, se bene fusse impossibile o non espediente levar la causa, non per questo séguita che sia impossibile levar questo effetto o non ritrovarci espedienti, per la regola che durante la causa, ecc. Ché quella, come [p. 230 modifica]si è detto, procede nelle cause necessarie e assolute, e questo remedio può essere con alterar le condizioni e modi con li quali produce detto effetto, o impedirli per diretto o per indiretto; essendo verissimo in dette cause, con alterar il modo e le condizioni o impedirle, impedire e alterare ancora l’effetto; poiché, essendo della natura predetta la detta causa, segue che non sia come forma, che la privazione dell’effetto non si possa adempire per l’equipollente durante detta causa. E questo basti per far conoscere non esser remedio impossibile, né meno difficile per le ragioni predette.

Circa l’altre cause dell’industrie, il remedio contra quelle è piú facile, perché il medesimo remedio, che si opera per fare che la causa dell’entrata non produca l’effetto predetto, fará il medesimo a rispetto dell’industrie, essendo cause non solo d’una medesima natura e qualitá, ma poco meno che medesima; e, oltre ciò, si è concluso, quando si volesse in tutto togliere, non essere né impossibile né produrre danno alcuno al Regno levarla, anzi giovarli grandemente ed esser facile per piú strade (lo che non bisogna discorrere per le medesime ragioni), e il detto De Santis lo confessò nel suo Discorso, quando disse che non era danno alcuno al Regno quando non si cambiasse per la fiera di Piacenza o altre fuora Regno. E, per dare alcuna similitudine vicina in questa materia, come con alterare li mezzi o impedirli s’impedisca l’effetto, e per indiretto si ovvia che una causa contingente non lo produca, portarò la provisione fatta un tempo nel Stato di Santa Chiesa, quale dice il detto De Santis essere stata tolta dalla felice memoria di Clemente ottavo (dico l’ordine che si cambiava dalle fiere di Piacenza e altre in Roma in scudi d’oro con ducati d’oro di Camera, ordinando che si cambiasse in scudi d’oro dell’"otto stampe" e non in ducati predetti), lodando detta provisione del predetto pontefice, perché detto ducato d’oro non era moneta effettiva, ma figurata. Lo che non fu bene inteso dal detto pontefice con quanto discorso e maturo giudizio e prudenza fusse ordinato dal suo predecessore che l’ordinò, che non solo ordinò che il cambio in Roma non si pagasse eccetto con ducati d’oro detti [p. 231 modifica]di Camera (e la parola vecchia e nuova è stata agiunzione, dopo che incomminciorno ad abusare detto ordine, e li successori non conobbero l’importanza, e per questo poco se ne curorno e permessero che si pagasse un scudo d’oro con quelli baiocchi di piú che dice), ma volse ancora che si pagassero di detta moneta di docati di Camera tutti li deritti di dataria e cancellaria, con altre ragioni di Camera; quale ordine dopo si abusò, come si è detto. Né è vero che fusse moneta figurata e non effettiva, ma era moneta realissima ed esistente, ed era di oro puro, quale sempre si è fatta, infin che, non so per che causa, in Italia s’introdussero li scudi, alterando l’oro della sua bontá de carati 24 e reducendolo in 22, con mescolar o argento o rame o tutt’e duoi insieme, secondo diverse proporzioni, facendone scudi; de la quale moneta di docati di Camera predetti insin al tempo nostro se ne vede, che è un ducato d’oro puro, ma non del peso dell’ordinario, con una impronta d’una navicella, che volgarmente si dicono "della navicella". E dico che, quando il detto pontefice Clemente ottavo avesse inteso e conosciuto a che fine fu ordinato questo, e quanto beneficio possea causare di far venire denari in Roma, l’osservanza di quello avria tolto l’abuso di pagarsi, come dice, un scudo con un tanto di piú in luoco del ducato, e lo avria redotto nell’osservanza ch’era stata in tempo antico, con altre provisioni necessarie per farvela stare. Dico dunque che, sí come quel pontefice, che ciò ordinò, con una provisione giusta per indiretto venía a proibire alcuni disordini e cause che generavano penuria, nel suo Stato, di moneta, e con quella causava che l’accidente commune del trafico somministrasse la quantitá di denari che non somministrava in detto Stato conforme la qualitá del luoco, impedendo e alterando i mezzi co’ quali si causava detta penuria: perché con maggior facilitá non si può impedire in questo regno l’effetto che causano l’entrate o industrie che tengono forastieri in Regno, essendo molto piú disposto il Regno d’introdurre diversi e diversi mezzi, come si dirá, nel tempo detto di sopra?

Ma, circa l’espediente contra il retratto delle robbe che bisognano da fuora, pare impossibile, poiché bisogna in ogni conto [p. 232 modifica]pagare la robba a chi la vuole. Ma, si bene questo è impossibile a rispetto delle robbe naturali e necessarie, per l’artificiali non è cosí, e ancora per l’equipollente si può reparare alle naturali e necessarie; e non solo si può riparare con diversi modi e fare che non si causi l’effetto predetto della penuria, ma che operi il contrario, dico l’abbondanza. Né questo voglio tener celato, che il tutto si può fare introducendo gli accidenti communi che si possono introdurre in Regno, quali non solo son possibili introdursi, ma si devono dire facili, fuor dell’accidente del trafico, per la qualitá del sito, al quale non si può reparare direttamente, ma indirettamente. Quali introdotti, non solo si viene a mancar della penuria in tutto; ma, se non vi fusse l’accidente proprio della robba che nasce soverchia, pure vi si introdurria l’abbondanza, come l’esperienza lo dimostra con l’essempio di piú d’una cittá d’Italia. E, se ad alcuni paresse difficile l’introduzione di questi accidenti, l’intelletto di questi sará di quelli che dissi che conoscono la bugia per veritá o la veritá per bugia, o di quelli che estimano impossibile ogni cosa che loro non conoscono, non ostante tante e tante invenzioni nuove e antiche che si scriveno, quali da tutto il mondo prima di quelle erano state estimate per impossibili. Né in questo bisognaria che concorresse l’intenzione o volontá o conoscenza d’alcuna maggiore o minore parte di popolo, alla quale saria difficile persuaderli e farli conoscere quel che l’intelletto loro non conosce; ché basta di farlo l’ultimo accidente commune, quale, come si è detto, è come causa agente e superiore di tutti gli altri accidenti, e quelli può disponere, introdurre, causare, migliorare e mantenere con altre cose dette nella prima parte. Il cui soggetto, tanto nel particolare che risguarda la parte dell’intelletto, quanto nella parte che risguarda l’operazione della volontá, per essere in quella perfezione ed eminenza che per questo e altro si possa desiderare (lo che far conoscere né la materia lo ricerca, né l’autore è sufficiente, né al mondo è incognito, e perciò si lascia), non occorre dubitare che possa questi e altri espedienti di maggior difficoltá far riuscire, togliendo ogni defetto e facilitandoli, removendo ogni cosa che potesse ostare.