Avventure fra le pelli-rosse/25. La vendetta di Morton
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25.
La vendetta di Morton
Mentre ciò avveniva nella tenda di Randolfo, Morton veniva condotto nella capanna della medicina, una comoda abitazione costruita con tronchi d’albero ed abbellita con pelli d’animali, situata proprio nel centro del villaggio.
Sparsasi la voce che l’uomo bianco era un grande mago, quasi tutta la popolazione era accorsa, affollandosi intorno alla casa sacra.
Morton, riavutosi dal suo attacco nervoso, aveva subito capito che dalla sua nuova posizione poteva trarre un gran partito per giovare ai suoi compagni di sventura.
Sua prima cura era stata quella di persuadere i sottocapi, che si erano recati a visitarlo, di non aver avuta alcuna relazione cogli uomini bianchi che erano stati sorpresi nei dintorni del villaggio, volendo allontanare qualunque sospetto di complicità.
Egli aveva narrato che s’era trovato presente al combattimento per puro caso. Si era inoltrato fra le montagne per fare raccolta di erbe necessarie ai suoi medicinali e nulla di più.
Gl’indiani che non osavano mettere in dubbio le parole di quel grande mago, che perfino l’Avvoltoio Nero rispettava, avevano bevuto grosso in buonissima fede.
Anche il mago della tribù era andato a visitare il confratello bianco, per propiziarselo, quantunque avesse ben desiderato di vederlo lontano mille miglia temendo pel suo prestigio.
Morton aveva fatto a tutti buona accoglienza e fingendosi un inspirato, aveva predetto il destino ai sottocapi ed ai più famosi guerrieri della tribù guadagnandosi in pochi minuti dei regali considerevoli.
Aveva appena mandati via tutti quei seccatori, quando, girando gli sguardi intorno, vide in un angolo il suo fedele Piccolo Pietro. L’intelligente animale non aveva voluto abbandonare il suo padrone nella sua sventura e, approfittando della confusione, era scivolato silenziosamente nella capanna, celandosi dietro ad un mucchio di pelli.
Vedendolo, il quacchero non seppe frenare un moto di gioia.
— Vieni, mio Piccolo Pietro — gli disse con voce commossa. — Tu puoi ancora rendermi dei preziosi servizi.
Il cane gli si avvicinò dimenando giocondamente la coda e gli balzò sulle ginocchia, lambendogli le mani.
— Povero amico! — gli disse Morton accarezzandolo.
In quel momento il cane, che aveva alzata la testa verso la parete opposta, mandò un sordo guaito.
Morton guardò da quella parte e un pallore cadaverico si sparse sul suo viso, mentre un lampo terribile gli balenava negli sguardi.
Di fronte a lui, appese ad un palo trasversale, si vedevano sei capigliature: una appartenente ad una donna e le altre a cinque ragazzi.
Nel vederle, un rauco singhiozzo lacerò il petto dello scorridore.
— Le vedo — diss’egli, con voce semistrozzata. — Sono le capigliature della famiglia massacrata nella capanna del Rio Pecos, le capigliature dei miei figli e di mia moglie! Anche tu le hai riconosciute! Esse gridano vendetta! Scibellok non vi ha ancora vendicate, ma lo farà presto. Il vostro assassino fra poco verrà qui e morrà!
Preso da un terribile accesso di furore, Morton s’era rizzato in piedi, impugnando una scure che aveva trovata a portata della sua mano.
In quel momento non era più il tranquillo quacchero che diceva d’aver in orrore il sangue umano. Sembrava una belva feroce, pronta a sbranare qualunque preda.
Dopo alcuni istanti, calmatosi un po’, gettò via l’arma e avvicinatosi a quelle sei capigliature le baciò con trasporto, singhiozzando fortemente.
Il Piccolo Pietro guaiva ai suoi piedi, condividendo il dolore intenso del suo padrone.
Ad un tratto Morton fece cenno al cane di tacere, poi gli disse:
— Fuggi!
Il cane fece due salti e scomparve dietro un mucchio di pelli.
Un istante dopo la tenda si alzava e Wenouga, l’Avvoltoio Nero, entrava con passo lento, come conveniva ad un personaggio tanto importante.
Era dipinto in rosso e nero come se andasse alla guerra e alla cintura portava la scure.
Morton si era prontamente seduto sul tappeto di pelle di bisonte prendendo un’aria quasi stupida.
— Io sono Wenouga, il capo dei comanci — disse il guerriero. — Io ho combattuto più di cento volte contro gli uomini bianchi ed il mio solo nome fa tremare tutti, perfino gli abitanti delle foreste. Io sono la gloria della mia tribù e nessuna persona ha mai potuto dire che io abbia avuto paura. La morte non l’ho mai temuta e nemmeno le stregonerie dei maghi mi hanno fatto tremare. Io ho distrutti tutti i miei nemici, uno solo eccettuato: Scibellok, lo sterminatore dei miei guerrieri, lo spirito delle foreste. Egli è la maledizione della mia razza, e non so cosa darei per poterlo avere nelle mie mani e scalparlo.
«Colui che sapesse dirmi ove potrei trovarlo e ucciderlo, io lo adotterei come figlio e gli darei gran parte delle mie ricchezze. Mi hai udito, gran mago bianco?»
Morton l’aveva ascoltato in silenzio, dardeggiando sul vecchio guerriero uno sguardo feroce.
Quando Wenouga stette zitto, s’alzò lentamente, dicendo:
— Ti ho compreso, gran capo.
— Mi dirai tu dove posso trovare Scibellok?
— Vuoi proprio ucciderlo?
— Basta che io sappia dove si nasconda ed io partirò all’istante per andarlo a trovare.
— Scibellok è forte.
— Wenouga sarà più forte di lui.
— È tremendo.
— Io sarò più feroce.
— Scibellok ti ucciderà.
— Mi odia tanto?
— Quanto tu l’odii.
— Eppure io non gli ho fatto alcun male, anzi non l’ho mai veduto — disse il vecchio capo.
— Tu l’hai veduto.
— Quando?
— Molti anni or sono.
— Non me lo rammento.
— E gli hai ucciso la moglie e cinque figli.
Il gran capo aveva fatto un passo indietro. Morton aveva pronunciate quelle parole con tale voce da spaventarlo.
— Tu mi rammenti la strage di Rio Pecos.
— È vero — rispose Morton con voce fischiante.
— Tu sei un grande mago per sapere queste cose. Io però non credo che Scibellok sia il padre di quei cinque bambini ed il marito della donna che io ho uccisi e scotennati di mia mano.
— Perché? — chiese Morton.
— Quell’uomo, dopo aver attraversato il fiume, era stato assalito dai miei uomini ed accoltellato.
— Non scotennato però — disse Morton.
— Questo è vero.
— Allora ti dirò che quel povero colono non era stato colpito a morte. Caduto nel fiume, aveva avuto ancora la forza di giungere alla riva opposta e di mettersi in salvo.
— E tu mi assicuri che il terribile Scibellok era il colono del Rio Pecos?
— Sì, Wenouga.
Il capo indiano a quell’affermazione aveva provato, involontariamente, un fremito.
— Non importa — disse poi. — Io andrò a ucciderlo e la sua capigliatura andrà a tenere compagnia a quelle dei suoi figli e di sua moglie. Guarda: esse sono qui.
Il vecchio capo aveva strappato dai pali le sei capigliature disseccate, mostrandole, con un gesto trionfante, a Morton.
Questi era retrocesso mandando un urlo d’orrore.
— Miserabile!
Wenouga stupito aveva guardato Morton con vivo stupore.
— Tu mi offendi, cane d’un viso bianco — gli disse.
— E anche ti uccido.
Poi afferrata la scure che aveva vicino, si scagliò sul vecchio indiano, gridandogli:
— Io sono Scibellok ed ora ti uccido.
La scure cadde sul capo del vecchio guerriero, spaccandoglielo.
Il miserabile stette un momento ritto, poi stramazzò a terra.
Morton si curvò su di lui, gli denudò il petto e col coltello gli tracciò una croce sanguinosa, il suo segno.
Ciò fatto nascose la scure sotto la giacca, prese le sei capigliature celandosele sul petto e balzò fuor dalla capanna, uscendo dalla parte opposta.
Un corridoio metteva in una seconda capanna disabitata e questa si addossava al bastione di terra; stava per fuggire quando un pensiero gli attraversò la mente.
— Mi occorre la sua capigliatura — disse. — La mia comparsa farà tremare tutti.
Tornò prontamente indietro e con pochi colpi di coltello scalpò il vecchio capo, strappandogli nel medesimo colpo il becco dell’Avvoltoio Nero e le ali che portava come distintivo del suo alto grado. Giunto al bastione si vide improvvisamente dinanzi un indiano, messo colà a guardia.
— Il grande mago! — esclamò la pelle-rossa, retrocedendo con spavento.
Morton senza perdersi di spirito lo prese per un braccio, dicendogli:
— Va’ a dire alla tribù che si armi subito. Scibellok, lo spirito dei boschi è comparso nella tenda di Wenouga.
La pelle-rossa fuggì via correndo come una lepre.
Morton scese il bastione seguìto da Piccolo Pietro, attraversò il fiume senza che alcuno lo avesse veduto e giunto sulla riva opposta, si cacciava nel bosco.
— Pensiamo a loro — disse. — Non bisogna abbandonarli.
Alcuni cavalli pascolavano a poca distanza, in piena libertà.
Morton ne accostò uno, si prese in braccio il Piccolo Pietro e partì di carriera dirigendosi verso il Rio Pecos.