Aridosia/Atto primo/Scena prima
< Aridosia | Atto primo
Questo testo è completo. |
Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto primo
Scena prima
Scena prima
◄ | Atto primo | Atto primo - Scena seconda | ► |
Marcantonio e Mona Lucrezia sua moglie
- Marcantonio
- Certo è com’io ho detto, che la maggior parte dei costumi dei giovani, o buoni o cattivi che si siano, procedono dai padri e madri loro, o da quelli che in luogo di padre o di madre li custodiscono.
- Lucrezia
- Egli è vero che i padri o fattori o i maestri lo possano fare, ma le madri no; perchè sendo donne, in questo come nelle altre cose del mondo hanno pochissima parte.
- Marcantonio
- E pur talvolta si sono visti esempi in contrario, che le donne più abbiano potuto ne’ figliuoli che i padri, e non solamente ne’ figliuoli, ma ancora ne’ mariti loro; e per non avere a cercare esempio più discosto, ti devi ricordare come Aridosio mio fratello e io fummo allevati in un medesimo tempo e dai medesimi padre e madre, e nel medesimo tempo pigliammo moglie, della quale egli ha avuto Tiberio, Erminio e Cassandra, e noi ancora nessuno. D’allora in qua esso cominciò a diventare avaro, e a posporre ogni piacere e ogni onore allo accumulare, tanto ch’egli è ridotto meschino come vedi. Io, Dio grazia, mi sono mantenuto con quello stile di vivere che da mia madre mi fu lasciato, e di questa mutazione non si può allegare altre ragioni, e non si può pensare che sia stato altro che la moglie, la quale tu sai quanto era meschina, perfida e da poco; e mai non ebbe Aridosio la maggior ventura, che quando ella si morì, benchè a lui paresse di fare grandissima perdita, perchè già s’era accomodato a’ suoi costumi.
- Lucrezia
- Oh infelici donne le quali a detto vostro son causa di tutti i mali; e solo allora fanno felici e avventurate le case, quando inaspettatamente si muoiono.
- Marcantonio
- E che vuoi tu che sia stato causa di tanta mutazione, e che di liberale l’abbia fatto miserissimo? perchè in fin a questo tempo sai come era vissuto; però io ringrazio la sorte che più presto a lui che a me abbia mandato tanto male, la quale nelle cose del mondo può il tutto; chè io mi ricordo nostro padre più volte dubitare, se a me o a lui te o lei doveva dare. Poi si risolvette in modo che io m’ho da lodare grandemente e egli da dolere, e sebbene esso ha avuto tre figliuoli, che certo è gran felicità, e io nessuno, egli volentieri ci ha dato Erminio suo minore, e noi lo tegniamo, e come se fatto lo avessimo lo amiamo, e più forse, perchè nè tu nè io di lui abbiamo avuto quei fastidii, che dei putti piccoli si hanno.
- Lucrezia
- Non dite così, chè quelli non son fastidii, ma secondo che io penso, son cure da far passare i fastidii; pure io ringrazio Iddio, che dappoi che non gli è piaciuto, che io abbia figliuoli, ha fatto che ci siamo imbattuti in un giovane, qual è Erminio, al qual sebben noi abbiamo a lasciare la roba nostra, e nella fede sua e al suo governo ci abbiamo a rimettere, quando più vecchi saremo, se l’amor non m’inganna, mi pare di potere da lui sperare ogni bene; ma io ho paura, Marcantonio mio, che tu non gli lasci troppo la briglia in sul collo, e che poi a tua posta non lo possa ritenere, perchè tu lo lasci senza pensieri e di studii e di faccende; solo attende a’ cavalli, a’ cani o all’amore, onde mi dubito, che, passato questo fervore della sua gioventù, forte si abbia a pentire di avere invano consumato il tempo, e forse si dorrà di te, che non gli provvedesti, quando potevi.
- Marcantonio
- Io mi maraviglio assai, e di te, e di tutti quelli che pensano che i figliuoli si possano ritrarre dalle loro inclinazioni, o con busse, o con minaccie, perchè sappi certo che, se io volessi ad Erminio proibire tutti i suoi piaceri, farei peggio, ma bisogna col concedergli una cosa che importa poco, e che a lui sia a cuore, proibirgliene un’altra che importa assai, e così avvezzarlo, che ei m’ubbidisca non per paura, ma per amore, perchè quelli che fanno bene per paura lo fanno tanto quanto e’ pensano che si possa risapere; quando pensano di far male, nascosamente lo fanno: guarda Tiberio come suo padre gli ha le mani in capo continuamente, lo tiene in villa con la sorella, perchè non ispenda, e perchè non pratichi nella città, dove dice che son molte comodità di far male. Nientedimanco son poche notti ch’ei non venga in Firenze, e pur questa ho inteso che ci è stato, e ha messo mezzo a rumore questa città per avere una schiava del Ruffo qui vicino a voi, e fa delle cose molto peggiori di Erminio, perchè gli è necessario che la gioventù l’abbia il luogo suo. Se adunque questo i giovani hanno a fare, quanto è meglio avvezzargli che non si abbiano a vergognare dai padri, ma da loro istessi facendo cose brutte? Pensa però Aridosio per tenerlo in villa, che non voglia spendere, e far le cose da giovane? Io so ch’ei fa e l’uno e l’altro senza rispetto, e quel buon uomo con ogni estrema miseria attende a cumulare, lavora infino alla terra di sua mano, e s’ei sapesse che venisse la notte in Firenze, o che egli spendesse pure un soldo, si darebbe al diavolo, e così vivono tutti malcontenti, infino a quella povera figliuola, la quale è già grande da marito, che è disperata, perchè per non si avere il padre a cavare di mano la dote, non le vuol dar marito, e trovasi contanti in un borsotto due mila ducati, li quali porta sempre seco, e ha una cura estrema, che io non gli vegga, perchè non fo mai altro che sgridarlo, che lascia invecchiarsi in casa la mia nipote; egli mi risponde che è povero, e che non le può dar la dote. Credo che vorrebbe che io ne la dessi del mio, e quando si duol meco di Tiberio, e che Erminio lo svia, gli dico che gli dovrebbe dar moglie, ed ei mi risponde che bisogna considerare molto bene a questi tempi mettersi una bocca vantaggio in casa, che importa un mondo, e insomma non pensa ad altro che ad avanzare, e allora gli parrebbe bene, che l’avesse fatto simile a’ suoi costumi.
- Lucrezia
- Io non vorrei già che tu fossi strano verso Erminio com’è Aridosio verso Tiberio, ma vorrei bene li vietassi certe cose, come sarebbe a dire, io ho inteso, non so se si è il vero, ch’egli è innamorato di una monaca di Santa Osanna: parti egli che sia conveniente a far queste cose, le quali, e a Dio e agli uomini dispiacciono? Sappi ch’ella gli dà gran carico, e a te che la comporti.
- Marcantonio
- Di questo non ne so alcuna cosa, e certo quando ei fosse vero non me ne parrebbe molto bene, e con ogni rimedio cercherei stornelo benchè alla gioventù si comportino più cose che tu forse non pensi, ma io ho caro che me n’abbia fatto avvertito, perchè ne voglio ritrovare l’intero, e di poi piglierò quel partito, che meglio mi parrà, ed ecco appunto di qua il suo servo Lucido, che sa ciò che ei pensa, e ciò che ei sogna, ed egli molto meglio che alcuno altro me lo potrà dire.
- Lucrezia
- Te lo faresti ben prima dire a questa porta; tu non conosci Lucido, eh?
- Marcantonio
- Pur proverò, ma vattene in casa, che più da te che da me si guardano, e poi ti ragguaglierò.
- Lucrezia
- Così farò.