Alessandro Manzoni (De Sanctis)/Appendice/I. Del romanzo storico e dei «Promessi Sposi»/Lezione I

APPENDICE
I. Del romanzo storico e dei «Promessi Sposi»
Lezione I

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I. Del romanzo storico e dei «Promessi Sposi»
Lezione I
Appendice - I. Del romanzo storico e dei «Promessi Sposi» Appendice - Lezione II

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Lezione I

Il romanzo storico è andato a poco a poco sciogliendosi nel romanzo intimo o contemporaneo, fuorché in Italia, dove è rimasto stazionario. Il che vuolsi attribuire alle condizioni politiche di questo paese. La vita pubblica era muta; né si concedeva di toccare altro che le cose passate; ogni allusione ai fatti presenti era punita. Onde il romanzo del Manzoni non è un monumento nazionale come la Divina Commedia, è un lavoro meditato nel silenzio del gabinetto, dove non troviamo la nostra vita, tutto ciò che ci agitava in quei tempi. Non solo ci manca il senso del presente, ma non è neppur lavoro di schietta ispirazione. L’autore ha trovato una critica bella e fatta intorno a questo genere e l’ha adottata. E però prima di passare all’esame del romanzo vogliamo darci conto di questa teoria critica, della quale si è valuto il Manzoni.

Fondatore del romanzo storico è stato Walter Scott. In mezzo ad un popolo tardi venuto a civiltà, che serbava ancor fresche le tradizioni dei suoi tempi eroici, egli se n’è lasciato ispirare, e raccoltele, ha edificato sopra questi materiali una serie di componimenti, che egli ha chiamato «romanzi storici». Di qui è nato un doppio impulso: nell’arte e nella critica. Da una parte ci fu un lavoro fecondo in Europa e in America, sicché per trent’anni siamo stati inondati di romanzi storici; dall’altra parte la critica s’impadronì di questa materia. [p. 314 modifica]
Perché questo nuovo genere di letteratura? E la critica rispose: — Per compiere e supplire la storia. La storia da una parte o non vi rappresenta l’uomo privato, o solo per isbieco e come accessorio; d’altra parte ti può raccontare i fatti, ma non esprimere ciò che si passa al di dentro, ciò che si passa nell’animo. A questi due scopi può satisfare solo il romanzo storico, il quale perciò è una azione inventata per farci conoscere un’epoca storica con maggior verità che non può fare la stessa storia — . Questa teoria fu accolta con tanto più favore, in quanto che a quel tempo era invalsa come una mania degli studi storici; sicché la critica si era messa a purificare la storia di ogni elemento poetico, indirizzo che dura ancora al giorno d’oggi. Non fa dunque maraviglia che fu subito accettata una teoria per la quale la poesia si fa vassalla della storia.

Il Manzoni pose mano al romanzo con questo scopo. La storia di Renzo e Lucia dee secondo lui valere a farci conoscere lo stato dell’epoca che egli ha scelto a trattare. E che cosa è avvenuto? Quello che per lui è un mezzo, il pubblico lo ha accolto come il tutto. Non è la storia di quel tempo, sono i fatti poetici che destano l’interesse del lettore. E quantunque il suo scopo non sia stato raggiunto, pure il suo romanzo è stato accolto come un capolavoro, tradotto in varie lingue e ricevuto come testo nelle scuole. Concorso di applausi, che è venuto ad interrompere lo stesso Manzoni pubblicando un suo discorso contro il «romanzo storico». — Non solo, egli dice, io non ho raggiunto il mio scopo, ma né Walter Scott né altri; non si è raggiunto perché impossibile a raggiungere, perché è uno scopo assurdo. In effetti, o voi non distinguete nel vostro lavoro lo storico dall’inventato, ed allora in che modo può esso darvi una rappresentazione esatta di un’epoca? o voi riuscite a segnare una differenza tra la storia e l’invenzione, e allora l’unità del componimento è rotta; i due elementi non saranno compenetrati insieme, rimarranno l’uno accanto all’altro; avrai un genere ibrido, non storia, non romanzo. Le conclusioni sono giuste; ma le premesse sono false.

È egli vero che il romanzo storico si proponga di farci [p. 315 modifica]conoscere un’epoca? Ma niente ci è che sia più repugnante alla natura della poesia.

La poesia è messa tra due estremi, tra la scienza e la storia, cioè tra l’idea e il fatto. L’idea ed il fatto separatamente presi sono due astrazioni; ciò che esiste è l’idea vivente, l’idea fatto. Ma l’idea non si realizza tutta nel fatto; considerata nella sua purezza ella si presenta a noi come tipo o esemplare, di cui non vediamo tutti i caratteri effettuati nel reale. Di qui il bisogno di una terza cosa — la poesia, la quale opera la conciliazione fra i due termini, trasformando il reale, spogliandolo di ciò che ivi è repugnante o indifferente, e conformandolo con l’idea; cioè a dire idealizzando il reale. Così la poesia trasforma l’idea in ideale ed il corpo in fantasma o idolo. Ciò posto, in che modo la poesia potrebbe proporsi per iscopo di rappresentare il reale? Gli è un domandarle che rinneghi se stessa; gli è come dire all’acqua: — Io ti permetto che tu mi caschi su, ma col patto che non mi bagni — . Il romanzo storico non può dunque avere per iscopo la conoscenza della storia. Che cosa è dunque? È la storia trasformata dall’arte, la storia idealizzata, come sono sempre stati soliti di fare i poeti. Omero, Dante, Ariosto, Tasso, Voltaire hanno preso per base la storia e l’hanno innalzata all’idea. E lo stesso Manzoni, senza avvedersene, volendo rappresentarci un’epoca storica, l’ha trasformata, l’ha fatta poesia.