Alcippo (1615)/Atto secondo

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Atto secondo

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.


Clori, e Leucippe.

Clo.
M
Eno, ch’io non sperai,

Fatto hò soggiorno con Licasta, e meno
Di quel, che paventai,
Perdo di questo giorno;
Ella annoiata da la febbre amava
Solitario riposo,
E sì come pur suole
Un’anima dolente
Malamente soffriva
Altrui detti, e parole;
Hor contra mio pensiero
Goderò per le selve
Parte di questo giorno,
Che perder tutto intiero
Fermamente io credea;
Forse alcuna Cervetta
Fuggirà l’arco in vano,
Che per lei tenderà questa mia mano.
Leu.O meraviglia, o sdegno,
Che nel petto di Clori io veggo acceso
Tosto, ch’ella l’intenda.

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Clo.Ecco Leucippe; et odo,
Che di me parla; e parmi
Turbata nel sembiante.
Ove ne vai Leucippe? e che favelli
Teco medesma? e quale
Cagion sì ti conturba?
Leu.O carissima Clori,
Parti credibil cosa,
Che sotto gonne, e feminili bende
La tua cara Megilla
Sia trovata esser maschio?
Clo.Vaneggi tu Leucippe?
O pur così scherzando
Vuoi di me prender gioco?
Leu.Ne scherzo, ne vaneggio;
Racconto verità, che con questi occhi
Ho veduto pur dianzi
In compagnia de l’altre Ninfe; cosa,
Onde esse son ripiene
Di pensiero, e d’affanno:
E non senza ragion; che s’altri ardisce
Contaminar l’honor di queste selve,
La nobil vita, e gli honorati studi
De l’Arcadica gente
Dilegueran come ombra.
Clo.Vado fuor di me stessa
Pur ciò pensando: hor dimmi
Dove fù? come avvenne?
Leu.Haveva il Sol de la celeste via
Corso via più ch’el mezo, e consigliava
Con l’ardor de’ suoi raggi a riposarsi;
E già le nostre Ninfe, altre tendendo

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Gli archi contra il fuggir de lupi alpini,
Altre contra le damme; erano giunte
Ove tra belle quercie
In solitario campo, e puro, e queto
Allarga l’onde il lago di Melampo.
Sai quanto egli è sereno, e come invita
A rifrescarsi nel suo chiaro argento
Gli stanchi peregrini; a pena Nisa
Il rimirò, che rallentando il cinto
A spogliarsi prendea; e con l’essempio
Confortò le compagne; Anfigenea
Lenta non era a dislacciar la gonna;
Ne lenta era Terilla; ogn’una in somma
S’apprestava a lasciare
In quella onda tranquilla
Il sudore, e la polve; in quel bisbiglio,
In quel vario tumulto
Megilla fea sembiante
Non scender volentier ne le belle onde;
Et havea fosco il ciglio;
Videla Filli, e con gentile sforzo
Le corse addosso, e similmente ogni altra
Con dolce violenza la spogliava;
Et ella contrastava: e nel contrasto
Hora accendeva di rossor le gote,
Et hora impalidiva: il rimirarla
Così turbata conturbò la mente
D’alcune Ninfe, e le pigliò sospetto
Non forse costringesse alcuna colpa
Megilla a non mostrare il ventre ignudo;
E però si guataro
Alquanto in viso: consigliolla al fine

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Nisa a spogliarsi, et ella mosse i piedi
Atto facendo di partirsi; all’hora
Tutte le furo intorno; e tesero archi,
Et abbassaro spiedi; e finalmente
La dispogliaro; e per tal guisa apparve
La cagion chiara, ond’ella fu ritrosa.
Grande ira sorse: e fù chi da la corda
Già spingeva lo strale a darli morte
Ma diventollo Nisa, ella commise
Che fosse rivestita; indi legarle
Fecer le braccia; et Aritea fù scelta
A ben cauta menarla
A queste sue capanne,
E molto ben guardarla; et io men vado
Mandata da le Ninfe a ritrovare
Montano, e Tirsi; essi daran sentenza,
E sù lo strano ardir di quel malvagio
Doveran giudicare;
Clo.Nova cosa ad udirsi.
Ma rispondimi tù; non dimandaro
Perche sì s’adobbasse? e sconosciuto
Quì fra noi dimorasse?
Leu.Il dimandaro; et ei sinceramente
Confessò, che l’amore
Fervido d’una Ninfa il persuase:
Disse, ch’egli era amante, e non sperando
Mirar per altri modi
Quelle amate bellezze, ei si condusse
A così fatte frodi
Clo.Disse, ch’egli era amante?
O foreste d’Arcadia, e quando mai
Tentossi per alcun di fare oltraggio

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A la vostra honestade?
O ardimento degno
Di severa vendetta
Per grande essempio altrui;
Ma de le Ninfe qual fu sì possente
Ch’infiammasse costui?
Leu.Tu quella fosti o Clori.
Clo.Mi motteggi Leucippe?
Leu.Non già per certo: ei così disse, e tutte
Il choro l’ascoltò de le compagne:
Clo.Ah cor villano: indegno
Di far soggiorno in questi monti: io dunque
Son tal, che do speranza
A pensieri d’amore?
Ma s’alcun forse prende
Di me sospetto, e pensa,
Che ’n questo habbia peccato,
Io farò sì, ch’ognuno
Vedrà, ch’io son nemica
Di questo scelerato.
Leu.Non ti dar questa pena:
Clori non è chi ne sospetti, e vano
Fora l’altrui sospetto.
Clo.È legge ferma, antica
De le nostre foreste,
Che s’altri guasta, o tenta
Guastar per alcun modo
L’honestà de le Ninfe, egli legato
Si tragga in mezo l’Erimanto, et ivi
S’abbandoni sommerso:
Non cesserò con Tirsi,
Ne con Montan fin che dannato a morte

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Ne i gorghi di quel fiume
Non sia questo perverso;
Spegnerassi l’ardore,
Che sì l’accese malamente: giusto
Sarà tal refrigerio
Al foco di quel core.
Leu.Non t’accender: ben sai,
Che Montano, e che Tirsi
Pastori son d’immenso senno: et hanno
Eguale esperienza
A la lor gran bontade;
Essi daran sentenza,
E faran tal governo,
Che questi monti fioriran non meno
Per l’avvenir, che per l’adietro: io vado
E troverolli: e quì farò venirgli;
Tu poi con esso loro,
Per commune salute
Farai quelle parole,
Che parran convenirsi a tua virtute.
Clo.Ove lasciasti dimmi
Le nostre Ninfe? io voglio
Farmi tra lor sentire;
E che siano infiammate
A dare essempio altrui con la vendetta
D’un così fatto ardire.
Leu.Nel bosco de le quercie io le lasciai
Vicino al lago di Melampo: io stimo
Ch’ivi le troverai.

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SCENA SECONDA.


Clori sola.


I
N che tempo, in che loco

Questa finta Megilla io mi vedessi
Sì che de l’amor mio
Rimaner presa ella potesse, io certo
Col pensier non ritrovo:
E da quel dì, che nelle nostre selve
A me si fe compagna
Fino a quest’hora ritrovar non posso
Un suo minimo detto,
Ond’io creder potessi,
Che d’amor foco le scaldasse il petto:
Un segno, un atto, un guardo
Non vidi uscir da lei,
Il qual fosse argomento,
Ch’ella quì si vivesse
Vaga de gli amor miei:
Ben la vidi cortese, e di maniere
Tutte gentili adorna,
Et amabile molto: onde m’assalse
Del suo rischio mortale
Non picciola pietade:
Non per tanto io ne sgombro
Tutto il cor, tutto il petto,
Per zelo d’honestade;
Vuò, che si vegga in prova
Da tutta quanta Arcadia,
Che ’n me non si ritrova ombra d’Amore:

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E che contra costui
Di rabbia, e di furore
È per esser mai sempre
In questo sen tutto rigonfio il core;
Ecco dove conduce
L’amorosa ferita;
Costui correndo appresso i suoi desiri
È per perder la vita
Con dishonore eterno;
E pur non si rimane in ogni parte
Di seguir follemente
Una cieca vaghezza,
Che dal dritto sentier l’huomo diparte;
O d’Amor face, e dardi
Miseria de mortali,
Ma da lor conosciuta
E senza frutto, e tardi;
Fallace arciero d’invisibile arco
Io ti sprezzo, io ti scherno;
In van m’attende al varco,
In van la face accendi;
Per la mia libertade
In van la rete tendi; io chiaro il dico
Sempre il nome di te fia mio nemico.