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un duello all’americana 27

— Che cosa vorreste tentare? Dove riprendere la nostra partita di boxe?

— Dove? Lo so io.

— Potremmo andarci subito? Io sono pronto a lasciar andare ancora dei fist-shoke.

— Ed io non meno di voi, signor di Montcalm, rispose l’yankee, quasi con ferocia, — però questo non è il momento.

Riprenderemo questo discorso quando saremo giunti ad Oswego, se non vi rincresce.

— Benissimo, mister Torpon, — rispose il canadese.

— Vi chiederei solo di fermarvi fino a domani.

— Ad Oswego?

— Sì.

— Accettato. —

Miss Ellen aveva prestato orecchio attento a quello scambio di parole, non nascondendo una certa inquietudine. Anche i partners, ai quali non era sfuggita una sillaba del dialogo, si erano guardati l’un l’altro con un po’ di ansietà.

— Mister Torpon, — disse la giovane americana, mi avete l’aria d’un cospiratore. Voi tramate certamente qualche cosa.

— Non un tradimento, in tutti i casi, — rispose l’americano, con un sorriso un po’ grossolano. — Anche fra i yankees si trovano dei gentiluomini, più gentiluomini di quei grandi europei ed anche dei loro discendenti.

— Ed infatti vi hanno chiamati orsi grigi, — disse il signor di Montcalm.

— Chi? — gridò l’americano, rosso di collera.

— I gentiluomini europei.

— Perchè noi siamo più ricchi di loro e dei loro blasoni malamente dorati.

— Vorreste alludere anche a me? — chiese il canadese.