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viii

io speravo fosse un vanto: dell’avere tentato di sfrondare la leggenda rosea che involge e confonde la storia di alcuni idoli nostri. Oh! che, risponderei, non ne abbiamo abbastanza delle favole che dobbiamo ufficialmente accettare, perchè ammesse per vere dai più, da dovere aggiungervi anche quelle che passarono per la mente d’un romanziero, o fra i deliri d’un popolo che inneggia ad eroi che prima adorava, poi calpestava e derideva, sempre senza comprenderli.

A che servirebbero gli studi se dovessero tenere dietro e non precedere i portati della pubblica opinione? A che servirebbe una vita passata in mezzo a ricerche speciali, se non desse diritto a sorridere alle risa degl’ignoranti, e ad imporsi, senza spavalderia, ma senza esitanza, a coloro che, essendo colti negli altri rami, pretendono e nol sono nel vostro?

L’allontanarsi dalla leggenda non è, del resto, già per sè, sempre un progresso? E non ci permette di spiegarci dei fatti che, finchè vagoleggiano in un mondo nebuloso ed incerto, potran destare negli uomini volgari stupore ed anche diletto, ma rimanendo pei savi un muto ed inutile enigma?

Prendiamo, ad esempio, il Cola da Rienzi. Come, colla sua leggenda, connettere il suo principio colle