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Un altro difetto capitale si aggiungeva in quel libro: la mancanza d’ogni misura nella diagnosi delle nostre piaghe. Il vero tutti dicono d’amarlo; ma ei dev’essere un vero anodino, che non ci guasti le digestioni; un vero debitamente filtrato attraverso lo staccio dei partiti e degli interessi.

Ti concederanno, per esempio, di maltrattare un Tizio, purchè abbi cura di non rivelare le magagne di Cajo: e giura, anzi, che quelle sieno glorie e non magagne, e lascia tranquilli i potenti, sian pure prepotenti, anzi... appunto se tali.

Qui trovo che i critici hanno proprio ragione. Che diavolo! Siamo in un’epoca di serafica contentatura, e tutti facciamo il bocchino d’oro, ed abbiamo convertito in turiboli le fiere alabarde: quando in tal’epoca uno, invece di miele e di incensi, va in busca di bastonate e di beffe, per dirci che noi confondiamo la calma con l’apatia; che non si provvede sul serio al delitto coll’estendere la giurìa; e all’ignoranza con dei brani di carta sotto forma di legge; e alla questione sociale, dimenticando l’agricola; e all’agricola dimenticando i pellagrosi; che non si progredisce ripristinando le preistoriche cremazioni, oh! costui non conosce il suo tempo.

E mi si fa un appunto proprio di ciò, che