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SULLE FRONTIERE DEL FAR WEST 35

— L’Uccello della Notte era forse tuo fratello? —

La piccola indiana si serrò indosso, con maggior forza, il mantello, poi ripetè per la terza volta:

— Non lo so.

— Non eri presso una donna tu?

— Sì.

— La figlia del sakem Moha-ti-Assah? Yalla?

— Non so come si chiamasse, — rispose l’indiana.

— Alta, bruna, con due occhi di fuoco?

— Mi pare.

— Parla una buona volta! — gridò il colonnello, furibondo.

— Io non so nulla: sono troppo giovane.

— Dimmi almeno che cosa fanno gli Sioux.

— Sono in armi: ecco tutto.

— Ed aspettano di congiungersi coi Chayennes e gli Arrapahoes per continuare le loro stragi, è vero?

— Oh, io non so! —

In quell’istante si udì al difuori lo scalpitìo di alcuni cavalli, poi la voce dell’indian-agent:

— Signor Devandel, noi siamo pronti a partire. —

Il colonnello fu lesto ad uscire dal wigwam.

John ed i due scorridori della prateria erano là, armati fino ai denti.

— Le vostre ultime istruzioni, signor Devandel, — disse l’indian-agent. — Sbrigatevi, perchè pare che gli Sioux si preparino a forzare la gola.

Eh, la nottata sarà cattiva per tutti, credo!

— Salva i miei figli e null’altro, — rispose il colonnello. — Se non potrai difendere la fattoria, abbandonala agl’Indiani e cerca di raggiungermi al più presto.

— Se la morte non ci coglie, voi li rivedrete, signor Devandel, — rispose l’indian-agent, con voce commossa. — È vero, amici?

— Contate su di noi, colonnello, — risposero i due scorridori della prateria.

— Grazie, amici: che Iddio vi protegga!...

— Ah! E la piccola indiana? — chiese l’indian-agent. — Dov’è?

— Te la mando subito.

— Il colonnello fece ai tre valorosi un gesto d’addio e rientrò nella tenda.

Non si era ancora voltato, quando si sentì assalire alle spalle e conficcare nel dorso una lama.

Il dolore era stato così intenso che cadde subito, senza pronunciare una parola.

Minnehaha, la piccola indiana, l’aveva attaccato colla ferocia selvaggia d’un giaguaro, e gli aveva piantato nelle carni un machete