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Prefazione. ix

conterrò in modo, che alla nostra Italia non si possa fare un tale rimprovero. Degli stranieri, che per breve tempo vi furono, parlerò brevemente, e come sol di passaggio. Più lungamente tratterrommi su quelli, che quasi tutta tra noi condussero la loro vita, perciocchè, se essi concorsero a rendere o migliore o peggiore lo stato dell’Italiana Letteratura, ragion vuole, che nella Storia di essa abbiano il loro luogo.

Nè in ciò solamente, ma in ogni altra parte di questa Storia, io mi lusingo di adoperar per tal modo,che non mi si possa rimproverare di avere scritto con animo troppo pregiudicato a favore della nostra Italia. Egli è questo un difetto, convien confessarlo, comune a coloro, che scrivono le cose della lor Patria, e spesso anche i più grandi uomini non ne vanno esenti. Noi bramiamo, che tuttociò, che torna ad onor nostro, sia vero; cerchiam ragioni per persuadere e noi e gli altri; sempre ci sembrano convincenti gli argomenti, che sono in nostro favore; e mentre fissiamo l’occhio suessi, appena degniam di un guardo que’, che ci sono contrarj. Molti ancora de’ nostri più valenti Scrittori Italiani hanno urtato a questo scoglio; e io mi recherò a dovere il confutarli, quando mi sembri, che qualche loro asserzione, benchè gloriosa all’Italia, non sia bastantemente provata. Ma gli stranieri ancora non si lascian su questo punto vincer di mano; e i già mentovati dottissimi Autori della Storia Letteraria di Francia ce ne daranno nel decorso di quest’Opera non pochi esempj. Qui basti l’accennarne un solo a provare, che anche i più eruditi Scrittori cadono in gravi falli, quando dall’amor della patria si lasciano ciecamente condurre. Essi affermano1, che i Romani appresero primamente da’ Galli il gusto delle Lettere. L’opinion comune, che esamineremo a suo tempo, si è, che il ricevesser da’ Greci; e niuno avea finora pensato, che i Galli avessero a’ Romani insegnata l’Eloquenza e la Poesia. Qual pruova recano essi di sì nuova opinione? Lucio Plozio Gallo, dicono, fu il primo, che insegnasse Rettorica in Roma, come afferma Svetonio. Lasciamo

  1. Tom. I. pag. 53.