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34 poesie

     Per quell’aria venir Borea nevoso;
     Ei giù dal sen sdegnoso
     60Era pronto a soffiar spirto crudele,
     E le selve atterrar sull’alte sponde,
     E ne’ regni dell’onde
     Rompere in un momento ancora e vele
Ma quell’alta bellezza appena ei scôrse,
     65E riguardolla appena
     Che per ogni sua vena
     Alto incendio d’amor subito corse.
     Nè lungo tempo in forse
     Tenesti nuovo amante il tuo pensiero.
     70Anzi pien di desir, pien di vaghezza
     La bramata bellezza
     Fosti a rapire, indi a fuggir leggiero.
Felice appien, che dell’amato aspetto
     Empiesti i desir tuoi;
     75Via più felice poi,
     Che di vergine tal godesti il letto:
     Deh se dolce diletto
     Per sì care memorie al cor ti riede,
     Questa cetera mia, che le rinnova,
     80Gli spirti tuoi commova
     Sì, che io vaglia impetrar qualche mercede.
Mira siccome il Sol v’avventa strali
     Fiammeggianti infocati,
     Mira, che arsi infiammati
     85Omai posa non trovano i mortali:
     Deh vesti, o Borea, l’ali,
     E l’aure chiama, e va volando intorno;
     E di là sgombra il non usato ardore,
     Ove del mio Signore
     90La carissima Donna or fa soggiorno.
Fa, perchè al guardo suo dolcezza cresca,
     Ne’ prati i fior più vivi,
     E ne’ fonti, e ne’ rivi,
     Ov’ella suol mirar, onde rinfresca;
     95O che dal mar se n’esca,
     O che dall’alto ciel raddoppi il lume;
     O che s’inchini il dì, tempra l’arsura,
     E per la notte oscura
     Lusinga i sonni suoi con le tue piume.

L

AL SIGNOR

CRISTOFORO BRONZINO

Che fornisca il ritratto della signora
Francesca Caccini.

Mentre di più color per te nascea
     Il viso desïato,
     Sempre ti vidi a lato
     Con le sorelle sue star Pasitèa:
     5Nè mai tratto pennel, nè mai fu tinta
     Sulle tele distesa,
     Che non fossa contesa
     La vera sembianza, e la dipinta;
     lo tenea di stupor le labbra mute,
     10Veggendo in uom mortal tanta virtute.
Or, dicea poi fra me, s’unqua è fornita,
     Immagine felice!
     È pure or mi si dice,
     Che di fornirla è la tua man pentita;
     15Forse il vigor del tuo sublime ingegno
     Sprezza volgare gloria;
     E l’antica memoria.
     Del buon Pigmalïon ti move a sdegno;
     Nè puoi soffrir che al tuo valor si neghi
     20Quel che già di colui si diede a i preghi.
Bronzin, per adescar l’uman pensiero
     Cantan l’Aonie Dive;
     E se parla e se scrive,
     In gran parte Parnaso è menzognero;
     25Ma se vuoi dar credenza a ciascun detto,
     Che su Pindo s’ascolta,
     Non far ch’oggi sia tolta
     Alle mie voci, anzi le serba in petto;
     E fa che sian tua scola i sensi loro,
     30Che consiglio d’amico è bel tesoro.
Ippolito di Teseo altera prole
     Fu stella di beltate,
     Ma pur di castitate
     Agli occhi della Grecia apparve un Sole,
     35Fedra fiera madrigna a quei bei rai
     Colse tanto di foco
     Che in prima a poco a poco
     Perdea la vita, e si struggeva in guai:
     Poi disciogliendo alla vergogna il freno
     40Mostrò le fiamme che ascondeva in seno.
Formò suoi preghi, e d’amoroso mele
     Ben cosparse gli accenti:
     Varco aperse a i lamenti,
     Trasse lunghi sospir, fece querele;
     45Ma quale a tempestar d’onda marina
     Mantiensi alpestre scoglio,
     O qual sprezzar l’orgoglio
     Suol d’Aquilon pianta robusta alpina,
     Tale Ippolito il cor saldo mantenne,
     50E l’amante nemica alfin divenne,
Femmina disprezzata avvampa d’ira,
     D’ira che altrui funesta.
     Men reo per la foresta
     Rugge leon che i figli orbo sospira.
     55Adunque Fedra, ove il gioir dispera,
     Prende atroce consiglio;
     D’incesto accusa il figlio
     Appresso il padre, inesorabil, fiera;
     Ed ci credendo, ah miserabil sorte!
     60E lo bestemmia, e lo condanna a morte.
Atene contristò pena infinita
     Per gli atti acerbi e crudi;
     Ma raffinò suoi studi
     Tanto Esculapio, che tornollo in vita,
     65E sen pentì. Giove sì mal sofferse
     Quel gran sapere umano,
     Che con armata mano
     Nel profondo del Tartaro il sommerse,
     E chiaro dimostrò, che mortal gente,
     70Non stando a’ segni suoi, fassi dolente.