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del chiabrera 21

     Che fuor del petto mio spiegano l’ale;
     5Più forti andranno, che il cantar primiero
     Verso le glorie dell’Orsin guerriero.
A cui fortuna di gran gemme ed oro
     Riverite corone ornan la chioma;
     Ma per la Fè di Roma
     10Suo sangue sparso è sì gentil tesoro,
     Che rapina di tempo omai non teme,
     E sento invidia, che s’inaspra e freme.
Febo, da’ lampi ardenti, onde sì chiaro
     Il carro appar, che per lo ciel governi,
     15Degli almi strali eterni,
     Contra il mostro crudel vibra l’acciaro;
     Guardane il Duce, il cui supremo ardire
     Gli sdegni oscuri del Pelide e l’ire.
Che dove per gli Archivi argini immensi
     20L’Ettorea destra più cosparse il foco,
     Via più si prese in gioco
     Il diffuso fumar de’ legni accensi,
     E lieto Achille raccogliea le strida,
     Onde sonava Simoenta, ed Ida.
25Non tal sull’Istro il Cavalier sublime
     Dinanzi appari, che i sette colli onora,
     Di cui la fresca Aurora
     Fia quasi un aureo Sol fra le mie rime;
     Poichè d’acerbe morti al risco espresso,
     30Per farsi esempio altrui spronò se stesso.
Invan dell’arte impiagatrici, invano
     De’ metalli infocati uscì l’offesa;
     Che l’alta anima accesa
     Non s’arrestò: ben l’onorata mano
     35Ora è costretta a riposar sul petto;
     Ma la bella cagion gli fia diletto.
Nocchier, che vele per lo mare ha sparte,
     Vento desira a ben fornir sua strada;
     Che nasce a cinger spada
     40Di gloria ha sete negli orror di Marte,
     Alma virtude al sommo Ciel ne mena:
     Tesor quaggiuso n’accompagna appena.

XXVI

A MONSIGNOR

CINTIO ALDOBRANDINI

CARDINALE DI S. GIORGIO.


Non sempre avvien, che d’Ippocrene il fonte
     Lasciando, e Pindo, ove danzar son use,
     Mostrino i rai della celeste fronte
     Allo sguardo mortal l’inclite Muse.
5E quando l’alte Vergini rimira,
     Lor volge il Mondo ben sovente il tergo,
     Ond’elle piene il cor di nobil ira,
     Volgono i passi all’Eliconio albergo.
Ma, se destra real pronta si stende,
     10E lieta il coro peregrino accoglie,
     Ogni Diva la cetra in man riprende,
     E con fervido stil canti discioglie.
Dicesi allor chi fulminando in guerra
     Sparse di sangue ostil campagne e fiumi;
     15E con lodi si leva alto da terra
     Chi leggi scrisse, ed emendò costumi.
Quinci Cigni raccor prese consiglio
     In pace Augusto, e tra le schiere armate;
     Ed ebbe d’Argo a ben vedere il ciglio,
     20Che taciuto valor quasi è viltate.
Nè meno oggi a cantar veggonsi accesi,
     Che sul fiorir di quei beati tempi,
     Tua gran mercè, che di quei cor cortesi
     Sorge cortese a rinnovar gli esempi.
25Così pur dianzi in ammirabil note
     Udiva il Tebro altera tromba, e carmi,
     Onde a ragion di Giove il fier nipote
     Invidia l’ire di Riccardo, e l’armi.
Pregio sovran del duro secol nostro,
     30Pregio di te, che il suono alto sublimi;
     E benchè sacro tu risplenda in ostro,
     Fa che sì fatta gloria apprezzi e stimi.
Ostro, nè se di Tiro almo risplenda,
     Contra nebbia infernal non ha virtude;
     35Ma non avvien, ch’alma virtude offenda
     Nebbia infernal d’Acherontea palude.

XXVII

PER GIO. JACOPO TRIVULZIO

Fu alla battaglia del Taro, ed a quella di
Ghiaradadda, condusse eserciti per nuova
strada sull’Alpi.


Io ben tre volte dalla spoglia aurata
     L’eburnea lira mi recai davanti,
     D’ogni sua corda armata;
     Volea, che tra’ suoi canti
     5Sull’ali delle Muse alto levasse
     Del buon Trivulzio i vanti;
     Ma quanti colpi e quanti
     Passaggi in vario tuon l’arco tentasse,
     Un roco appena mormorío ne trasse.
10Forse le corde all’alta Esperia amiche
     Tacquer di lui, che fu perpetuo Marte
     Delle schiere nemiche;
     Ma distendendo in parte
     Tue vive glorie, Milanese Ulisse,
     15Farò mia solit’arte;
     Che pur vergò le carte
     Penna di Febo, ed altamente scrisse
     Di tal che irato anco la patria afflisse.
Nobile alma quaggiù fulminea spira,
     20Se grave ingiuria altrui la muove a sdegno,
     E di diaspro ha l’ira:
     Schivo dell’altrui regno
     Forte il Trivulzio armò l’arco Francese,
     E ’l suo Milan fe’ segno:
     25Or se chiamarlo è degno
     Forse crudel, mentre l’Italia offese,
     Certo non vil nelle guerriere imprese.
Adda se ’l sa, sallo sanguigno il Taro
     Nel dì crudel, che le togate genti
     30A loro angoscia armaro;
     Il Taro, allorchè intenti
     Eran di Carlo ad oscurar gli allori
     Gl’Italici frementi;
     Ma diè lor speme a’ venti,
     35Frenando ei sol col fiammeggiar degli ori
     Le destre pronte a trapassar ne i cori.