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sava per la via. Io senza avvedermene seguitavo a correre, e dietro a me correva la catena d'oro, e dietro alla catena d’oro si messe a correre anche l’orologio. Lei sa come son fatti gli orologi: quando cominciano a correre, non si fermano più! Allora fui menato dinanzi ai giudici, laddovechè raccontai ingenuamente la storia del bottone: ma i giudici, tutta gente di buon umore, si posero a ridere e mi condannarono a quarantacinque giorni d'inferriata. E fosse stata almeno l’ultima! Dopo quella prepotenza, ne ho dovute inghiottire in pochi anni altre diciotto. Loro le chiamano recidive, ma io le chiamo prepotenze, perchè privano il libero cittadino del più prezioso de' suoi diritti, che è quello di non andare in prigione.

Del resto, io che leggo anche i giornali e che vado tutti i giorni alla Corte d’Assise per istruirmi e per imparare a difendermi e a ragionare, ho detto sempre che è inutile parlare di libertà, fin tanto che in questo mondo ci saranno i carabinieri e i questurini. Bisogna addirittura abolirli. Una volta levato di mezzo questo scandalo, lo creda a me, finirebbe quell’odio di partito e quella guerra fraterna fra ladri e galantuomini, che è la vergogna de’ nostri tempi e la rovina d’Italia. Me ne appello ai Guelfi e ai Ghibellini.


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Discendente in linea retta dal genovese Balilla, per la ragione, come dice il poeta, che «i figli d’Italia son tutti Balilla», il ragazzo di strada