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latine iscrizioni e sulle greche medaglie, inteso come era ad un’opera per la quale tornavano indispensabili cognizioni immense della più svariata natura. Egli stesso da vero dotto modestamente lo confessa; e trova nel Cavedoni un uomo che con pari modestia ne corregge e compie le osservazioni. Se un’iscrizione è stata ommessa, egli l’aggiunge: se una appartenente alle cristiane è stata posta fra le pagane, egli l’avverte; se il Kirchhoff si è scostalo dagli Apografi egli ne indica l’errore; se una formola greca ha il suo riscontro in un’epigrafe latina, egli lo trova con inattesa facilità. Egli arricchisce da solo l’opera di un consorzio di dotti di tutte le rettifiche e schiarimenti che in gran copia gli vengono suggeriti dalla critica, dalla storia, dall’antichità figurata, dai sacri e da’ profani scrittori; e quei dotti accolgono con affetto riconoscente le sue correzioni ed aggiunte, le approvano, le ristampano, e le pongono in fine a quell’opera monumentale, come degnissimo complemento1.

Le congetture e le ipotesi sono parte accessoria ed essenziale ad un tempo del patrimonio di ciascuna scienza, e come ad esse ricorre lo studioso della natura, e il seguace di Galileo che estatico contempla la volta stellata del firmamento, così se ne vale l’archeologo eziandio, avvezzo a sperimentare che pur fra lo squallore d’ipotetiche deduzioni, spunta rigoglioso il fiore della verità, e cresce robusto l’albero della scienza, come quello descritto da Platone, la cui cima più ardua tocca il cielo e riceve nutrimento d’eterea rugiada. Non poteva il Cavedoni sottrarsi a tal legge: ma non solo fu remotissimo dalle audaci e fantastiche ipotesi, più facilmente accarezzate dai compatrioti del Cartesio e dell’Hegel che da quelli del Vico, bensì soleva, con un linguaggio pieno di riservatezza, sotto-

  1. [p. 42 modifica]Si vegga l’opera suddetta sotto il titolo Addenda et corrigenda.