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splendenon solo per eletta e inesauribile erudizione, ma ancora per quella poesia della realtà, ottimo antidoto alle esagerazioni rettoriche e ai giuochi di figure, che fanno paralitica la letteratura dei popoli e degli uomini oziosi. Anche Henry Martin diede un ottimo saggio di critica filosofica nei suoi commentarii sul Timeo di Platone, esaminandovi la più famosa tradizione geografica dell’Antichità, quella dell’Atlantide, e mostrando come da essa non abbia potuto Colombo trarre indizio e incoraggiamento alcuno alla sua impresa. Ma le ricerche del Martin troncano un solo nodo della molteplice controversia; e gli studii dell’Humboldt procedono impacciati quasi dalla loro ricchezza medesima, come quelli che seguono compiacentemente tutte le ambagi di una svariatissima erudizione: sicchè non è senza difficoltà, nè senza fatica, che si possa ritrovare il filo delle idee in siffatto labirinto.

Forse per questo ci avvenne di vedere, anche in opere pregevoli e recenti, ripetuti antichi e volgari errori; fra i quali piacemi ricordare ad esempio quella favola di una statua equestre che i primi navigatori portoghesi trovarono sul lido di Madera col braccio teso, quasi ad invito, verso le plaghe occidentali; monumento misterioso di cui parla ancora il Villemain nelle sue lezioni sulla Letteratura del medio evo, benchè si sappia che niun’altra origine ebbe quella marinaresca tradizione se non una certa rupe fantasticamente stagliata e sporgente sul mare. Ma di queste minute circostanze e, quasi direi, curiosità della vita di Colombo, non mette conto parlare. Il dramma, a cui vorrei farvi assistere, è quello delle idee, che, come germi nascosi, passano d’età in età, favorite talora dalle stesse alterazioni che vi porta l’ignoranza, finchè nuovi bisogni e nuovi tempi le svolgano e le