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Capitolo IV.


Il rifugio degli ultimi Atabask.


L’indian-agent ed i suoi compagni, temendo un improvviso assalto da parte di quelle belve, avevano armate e puntate prontamente le carabine, ben decisi a difendere la giovane indiana.

Precauzione inutile: nè gli orsi grigi, nè quelli neri, nè i giaguari nè i coguari e tanto meno i lupi osarono muoversi, anzi si lasciarono avvolgere tranquillamente, senza protestare, nè con un fremito, nè con un ruggito, nè con un ululato, da quella pioggia di scintille, che la intrepida indiana faceva cadere addosso a loro.

— È meraviglioso! — esclamò l’indian-agent. — Avete mai veduto voi una cosa simile?

— Io no — rispose il signor Devandel.

— E nemmeno noi — dissero ad una voce Harry e Giorgio.

— Chi sarà mai questa giovane indiana? — domandò il signor Devandel.

— Lo sapremo più tardi. Io invece desidererei prima di tutto conoscere quei due visi pallidi che l’hanno messa lassù su quel pino, e che hanno avuto tanto fegato, da sbarcare su quest’isolotto pieno di bestie feroci. —

La giovane indiana, dopo aver fatto cadere sugli orsi e i felini ed anche sui lupi, che son così paurosi del fuoco, una vera pioggia di scintille, ritornò verso i suoi salvatori e disse:

— Come vedete, non avete nulla da temere dai miei amici.

— I tuoi amici! — esclamò l’indian-agent.

Uno strano e misterioso sorriso comparve sulle labbra della squaw, poi con voce dolcissima disse:

— Non vi occupate di loro: volete ora seguirmi nell’antica dimora degli ultimi Atabask? Si trova sopra la rapida, ma da quando il Grande Spirito ha rotto i fiumi è sempre rimasta tale e quale.