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Benchè la natura sia stata nella generazione più feconda di varietà che in ogni altra forma della vita, il Darwin riduce tutte queste forme alla generalissima della pangenesi. Facendo tesoro delle immortali scoperte del Virchow, egli riconosce che ognuno dei mille elementi, che costituiscono un essere vivo, ha una vita indipendente, un modo particolare di nascere, di trasformarsi e di morire, per cui può anche generare un’altra cellula, un altro elemento eguale a sè stesso. E Darwin nell’opera della generazione vede questa grande autonomia degli elementi organici e crede che ognuno di essi generi una gemmula che lo rappresenti e lo riproduca. È un atomo potenziale che nella fecondazione cerca l’atomo fratello e si fonde con lui, riproducendo il padre o la madre. Le gemmule però possono trasmettersi in uno stato dormiente per lunghe generazioni senza svilupparsi. Quando il terreno le asseconda o quando la lotta dell’elemento maschio e dell’elemento femmina porge loro l’occasione dello sviluppo, allora i germi ascosi, latenti, si sviluppano e si fanno vivi, mostrandoci i fatti fin qui inesplicabili dell’atavismo. Dalla cellula che si scinde e genera due cellule, da un frammento di protoplasma, che dividendosi in tanti frammenti, crea altrettanti individui, fino alla genesi più complessa degli animali superiori per la via dei semi, le gemmule non fanno che riprodurre l’elemento che le ha generate. Le cento varietà del generare si raccolgono tutte sotto un unico tipo di riproduzione, che governa tutti gli esseri vivi.

A taluno parve la pangenesi una metafisicheria campata in aria, un logogrifo, un bisticcio; io l’ho sempre