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pensiero e ad esso abbiamo consacrato le ore più innamorate della nostra vita, sentiamo di aver perduto qualcosa colla morte di lui. Questo consenso di rimpianti, questa concordia di dolori mi fa quasi superbo di esser uomo e mi persuade con angosciosa speranza, che se il trionfo del pensiero sopra tutte le altre forze della natura umana è ancora molto lontano da noi, lo vedranno però senza dubbio i figli dei figli nostri. Darwin era da molti e molti anni un faro acceso nel grande oceano dell’ignoto: a lui guardavano i discepoli per avvicinarlo, a lui guardavano gli avversarii per evitarlo; si poteva combattere quell’uomo, si poteva odiarlo, ma tacerlo era impossibile. Egli era entrato nell’ambiente della scienza universale, egli era nel cervello di tutti. Oggi quel faro s’è spento e ci pare che una guida sicura ci manchi, che qualcosa di nostro se ne sia andato lasciando in noi il brivido della morte, che se rispetta la materia, distrugge però tanta parte di forma.

Dunque il pensiero anche in questo secolo di cabale economiche e di fornicazioni politiche ha ancora degli adoratori, dunque anche la scienza ha sacerdoti. Sulla tomba di questo grand’uomo, che è scomparso dalla nostra faccia per sempre, andiamo superbi di questo fatto così onorevole per l’umana natura. Pochi anni or sono un dotto tedesco visitando Darwin nella sua casa campestre di Down se lo vedeva venire incontro appoggiato al braccio di una signora e più ancora ad un bastone che avrebbe potuto essere una stampella e il grande filosofo, mostrandolo al visitatore, diceva: Ecco i miei trofei guadagnati nelle battaglie della