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740 memorie biografiche

dovuto finire. Quanto vien dopo, benchè vi si contengano tratti che svelano il genio dell’autore, non è, come opera, d’un carattere più elevato delle Memorie del capitano Singleton o degli altri viaggi immaginati dal de Foe.

Difficilmente si troverà un’opera tanto popolare quanto il Robinson Crusoe. La leggono con avidità i giovinetti; nè credo esservi una metà di essi tanto vuota d’immaginazione che non siasi fabbricata in sua testa una solitaria isola, non fosse altro che un cantuccio del collegio, per farla ivi da Robinson Crusoe. Per molti questo romanzo ha deciso del loro avvenire facendoli vogliosi di dedicarsi alla navigazione. Que’ giovani ingegni sono men colpiti dalle asprezze della posizione in cui si trova l’anacoreta navigatore, che non si sentano animati dai prodigiosi sforzi da esso fatti per superarle; e Robinson Crusoe porta la stessa impressione su gli spiriti fervidi e coraggiosi della giovinezza che il Libro de’ Martiri opererebbe su la mente d’un giovine divoto, o il Calendario delle Carceri di Newgate sopra un accolito di Bridewell; e l’una e l’altra specie di studenti sono assai meno atterriti dalle tremende conclusioni d’entrambi i libri, che animati da una certa simpatia pei santi o per gli scorridori, secondo che gli uni o gli altri sono i personaggi principali del libro letto. Nè una seconda lettura del Robinson Crusoe fatta in età più adulta diminuirà le prime impressioni della giovinezza. Le combinazioni di tale storia sono tali che ciascuno la può applicare a sè stesso; ed essendo essa possibile di sua propria natura, la squisita arte del narratore l’ha resa altrettanto probabile quanto interessante. Ha in oltre il merito di quella specie di elaborate pitture che, guardate e tornate a guardare, offrono sempre nuovo diletto.

Nè l’ammirazione tributata a quest’opera rimase confinata nella sola Inghilterra, se bene Robinson Crusoe col suo grezzo ma retto discernimento, co’ suoi medesimi pregiudizi, con la sua indomita risoluzione di non lasciarsi opprimere dalle avversità che sembravano maggiori d’ogni sforzo per superarle, presenti, più che altra cosa, in sè stesso un non cattivo modello del vero gentiluomo inglese. Il furore d’imitare un’opera tanto popolare parve s’aumentasse al grado della frenesia; e per uno stravolgimento d’intelletto men solito a tal razza di servum pecus, gl’imitatori non si studiarono già di applicare il far dello stile narrativo di Daniele de Foe a qualche caso o posizione di diversa natura, ma tutti afferrarono e posero in caricature il navigatore naufragato e la deserta sua isola. Si è fatto il calcolo che in quarant’anni dopo la pubblicazione dell’opera originale, non sono saltati fuori meno di quarant’uno Robinson bastardi, oltre a quindici altre imitazioni con titolo diverso. Tanta è la voga in cui crebbe tale romanzo che persino (e questa non sarà forse agli occhi di qualcheduno una grande raccomandazione) l’antisociale filosofo Rousseau non permette al suo Emilio altri libri fuori del Robinson Crusoe. In una parola, e altrettanto improbabile che quest’opera perda la sua celebrità, quant’è inverisimile che un’altra della stessa natura l’agguagli nell’eccellenza.


fine dei cenni biografici.