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laghi, presenta una superficie liscia e dura siccome pietra su cui si corre liberamente senza pensare agli abissi che le stanno di sotto.

Ma non mi convenne d’intraprendere un viaggio cosiffatto nel verno. Io avea bisogno, come ho detto, di cercar l’Inghilterra non la Moscovia, il qual primo scopo io poteva raggiugnere in uno di questi due modi: o andarmene con la carovana finchè fossi a Jaroslaw e di lì, tenendomi a ponente di Narva, attraversare il golfo di Finlandia per rendermi a Danzica, ove avrei vendute le mie merci della China con grande vantaggio; ovvero, lasciare la carovana ad una piccola città situata sul Dwina, donde mi bastavano sei soli giorni di viaggio d’acqua per trasferirmi ad Arcangelo. Giunto che fossi a questo porto, non mi sarebbe mai mancato un imbarco per l’Inghilterra o per l’Olanda o per Amburgo.

Ma! imprendere o l’uno o l’altro di questi due viaggi durante il verno non mi conveniva. Già a Danzica non ci doveva pensare, perchè essendo gelato allora il mar Baltico, tutte le vie per acqua mi sarebbero state disdette nel disgiungermi dalla carovana, e il camminar per terra in que’ paesi è cosa anche men sicura che il trovarsi fra i Tartari Mongoli. Col portarmi ad Arcangelo in ottobre, avrei trovato vuoto affatto di bastimenti quel porto; e gli stessi trafficanti che vi dimorano la state, appena hanno veduto salpare i vascelli mercantili, cercano il più meridionale soggiorno di Mosca. Non ci avrei dunque trovato altro che freddo eccessivo con minori modi di ripararmene, carestia di viveri e la molestia di rimanere in una città deserta tutto quanto l’inverno. Fatti pertanto tutti questi conti, vidi che la meglio era per me il lasciar andare la carovana e provvedermi per passare la fredda stagione a Tobolsk in Siberia sotto la latitudine circa di sessanta gradi. Qui almeno aveva la sicurezza di tre cose: copia di que’ viveri che somministra il paese, stanza calda e combustibili per serbarmela sempre tale, ottima compagnia.

In che clima mi trovava ora io diverso dalla diletta mia isola ove non sentii mai freddo che quando ebbi la febbre, ed ove al contrario stentava a portare ogni sorta di panni in dosso nè accesi mai fuoco se non fu, e anche all’aria aperta, per cucinarmi il mio cibo! Qui mi riparavano il corpo tre buone camiciuole e sovr’esse tre zimarre che mi scendevano alle calcagne, con le maniche abbottonate quasi sino alle dita, e tutt’e tre foderate di pelliccia perchè mi tenessero sufficientemente caldo.