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che, se avessimo seguita la via che anche secondo i nostri medesimi computi appariva da preferirsi, saremmo stati inevitabilmente perduti. Dietro queste considerazioni e molt’altre della stessa natura, io mi formai una regola: che quando cioè io sentiva certi secreti istinti od impulsi a fare o non fare una cosa o a seguire una via piuttosto che l’altra, io non mi mostrava mai renitente alla voce di tali misteriosi dettati, benchè non conoscessi altra ragione al mio operare fuor di questi istinti od impulsi preponderanti su la mia mente. Potrei citare molti esempi di buoni successi derivatimi da tale condotta in tutto il corso di mia vita, ma specialmente nella seconda parte di quella che ho trascorsa in quest’isola sfortunata, indipendentemente da tutti quei casi di cui avrei potuto accorgermi, se avessi vedute le cose con gli stessi occhi onde ora le vedo. Ma a divenir saggi non è mai troppo tardi per noi; nè io posso se non suggerire ad ogn’uomo che medita, la cui vita vada accompagnata da casi straordinari al pari o anche meno dei miei, il parere di non trascurare tali segreti cenni della Providenza, qualunque poi sia l’intelligenza invisibile da cui derivano. Non è questo un punto ch’io imprenda a discutere, nè che fossi probabilmente atto a comprendere; ma certamente sta qui una prova di un consorzio spirituale, di una segreta comunicazione tra l’intelligenza corporea ed una intelligenza incorporea, e prova tale cui sarà mai sempre impossibile il resistere; ed io avrò l’opportunità di offrirne molti notabilissimi esempi nel rimanente del mio soggiorno in quest’isola malaugurata.