Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/167


robinson crusoe 141

forse era più felice in questa solitaria derelitta posizione, di quanto sarei forse stato mai in ogni altra relazione con la società; e fermo in tale pensiero io volea ringraziare il Signore per avermi condotto in quest’isola. Pure non so dire come ciò fosse: sentii nel pensiero stesso qualche cosa che ripugnava, onde queste parole di ringraziamento non ardii profferirle. «Come puoi tu essere ipocrita, dissi ad alta voce a me medesimo, al segno di ringraziar Dio per averti posto in una condizione dalla quale, per quanti sforzi tu faccia alla tua ragione per trovartene contento, pregheresti con tutto il cuore di essere liberato?» Qui mi fermai; ma benchè io non fossi buono a ringraziar Dio per aver permesso ch’io mi trovassi in quest’isola, gli resi grazie sincere per quelle afflizioni di qualunque genere con cui piacque alla sua providenza aprirmi gli occhi, affinchè vedessi qual fu il primo tenore di mia vita e piangessi su la mia perversità e me ne pentissi. D’indi in poi non ho mai aperta o chiusa la Bibbia ch’io non ringraziassi il Signore e per avere inspirato a quel mio amico inglese di mettere, senza alcun avviso mio anticipate, questo divino libro entro le cose del mio fardello, e per avermi indi assistito tanto che lo salvai dal naufragio.

Così ed in tale disposizione di mente io cominciai il mio terzo anno; e benchè nel descrivere il secondo io non abbia recata al leggitore la molestia della minuta descrizione d’ogni mio lavoro, come feci nel primo anno, ciò non ostante egli può generalmente persuadersi ch’io rimaneva in ozio ben rare volte. Io aveva già ripartito regolarmente il mio tempo a proporzione con le giornaliere faccende dalle quali io non potea dispensarmi: primieramente i miei doveri verso Dio, e la lettura delle sacre carte, chè io mi teneva in disparte quanto tempo bastava perchè seguisse tre volte ogni giorno: in secondo luogo l’andarmene attorno col mio moschetto per procurarmi il vitto, occupazione che generalmente parlando, e se non pioveva, mi tenea tre ore d’ogni mattina: per ultimo l’ordinare, l’allestire, il conservare, il cucinare gli animali ch’io aveva uccisi o presi pel mio sostentamento. Ciò portava via una gran parte della giornata, perchè fa d’uopo in oltre considerare che al mezzogiorno, quando il sole stava sullo zenit, l’eccesso del caldo era troppo grande da permettere di far nulla; per lo che quattro ore della sera erano tutto il tempo che si potea supporre dato al lavoro. Tale ripartimento va soggetto alla eccezione cagionata dall’aver io talvolta permutate le