Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/137


robinson crusoe 113

Doppia guarigione.



28.


R

istorato alcun poco dall’aver dormito, e cessata affatto la febbre, mi alzai, perchè, quantunque grandi fossero il ribrezzo e l’atterrimento rimasti in me dopo il mio sogno, pensai che l’accesso della febbre sarebbe tornato il dì seguente e che per conseguenza mi conveniva apparecchiare alcun che, per aiutarmi e sostenermi meglio quando più il male mi opprimerebbe. La mia prima operazione si fu d’empiere d’acqua un gran fiasco riquadro, che posi su la tavola in modo da arrivarci con la mano stando in letto. Per correggere la natura cruda e febbricosa di quell’acqua la mescolai col quarto circa di una foglietta di rum. Preso indi un pezzo di carne di capra, lo arrostii su le brage, ne mangiai per altro ben poco. In appresso feci un giro, ma breve, perchè spossato oltre modo e col cuore abbattuto così dall’accorgermi della miserabile mia condizione, come dal timore della febbre ch’io m’aspeltava alla dimane. In quella sera la mia cena fu di tre uova di testuggine cucinate sotto la cenere, o come sono dette, affogate; e fu questa la prima vivanda su cui, a mia ricordanza, aveva implorata la benedizione divina da che era al mondo. Finita questa cena mi provai a fare una passeggiata, ma mi sentiva sì debole che poteva a stento portar meco il mio moschetto; chè non sono mai andato attorno senza di esso. In conseguenza, fatto ben poco cammino, mi adagiai su l’erba contemplando il mare che, mite e placidissimo in quell’ora, mi stava rimpetto. Ecco allora quali pensieri mi si presentarono.